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Indice Giampiero Di Marco
 
 

Domenico Colessa, detto Papone.

Il Masaniello di Terra di Lavoro.
La rivoluzione del 1647-48 in Terra di Lavoro.
(V parte)
 

 

Il 24 Papone è di nuovo a Sessa, dove è stato fatto dai giovani nobili un tentativo di liberarsi, disarma la città depositando tutte le armi nel castello, passa in rassegna la gente armata di Roccamonfina e con essi, ripresa la via per Teano, assale e prende la Torre di Francolise.
Una parte di popolari con Papone si dirige alla volta di Venafro, che non si arrende e non cade, allora torna sui suoi passi verso Teano.
Dice De Santis: Papone accampato nel bosco delle Pentime ben voluto da quei paesani assaltò Venafro ma fu costretto a ritirarsi (50). Gabriele Cotugno, storico di Venafro, riprende la notizia dal De Santis, aggiungendo soltanto che tra il 28 dicembre e fino al 1 gennaio accampato nel vicino bosco delle Pentime e ben voluto da que' paesani, assaltò Venafro ma per la gagliardia dei cittadini fu costretto a ritirarsi con perdite notevoli (51).
Sulla fine dell'anno le truppe di Papone riescono a impadronirsi anche di S. Germano. Un riassunto dei fatti viene redatto da Erasmo Gattola: (il nuovo abate) undique commeatibus armisque loca munierat, cum quorumdam Sangermanensium perfidia, quorum hic nomina famae posterum consultari reticemus. A porta Pedismonti, seu S. Ioannis post fuit Dominicum colessa vulgo appellato Papone qui sese Generalem Serenissimae Neap. Reipublicae jactitabat, atque suessam, soram atque loca plurium suorum manu ceperat. Urbam S. Germani post longam obsidionem vix ingressus, sindicos, regimenque mutavit, ac quaedam facta cum suibus iniit die prima Januarii an. 1648 ut instrumento constat die 14 martii ejus a notario Antonio Pagliaro Sangermanensi rogato in quo syndici et cives Sangermanenses ante Hyeronumo de Philippis Auditorem exercitus regii haec asserunt: come lo passato mese de gennaio di questo presente anno essendo venuto in questa Fedelissima città di S. Germano Domenico Colessi alias Papone con infiniti numero di genti collettitia, che infestavano questi paesi convicini con violenze et barbarie piene di inumanità in prejuditio di NS Iddio Benedetto e di S. M nostro signore procurando fare acquisto all'obbedienza della sonniata repubblica et illegittimamente pretesa et ingiusta et erroneamente talmente nominata, benché essa città per la fedeltà che ha sempre conservato et conserva si defendesse da principio animosamente, volendo più toto spargere il sangue che minorare la sua antica et dovuta fede, nulladimeno fu sì numeroso il stuolo dell'inimici, che scorgendo inutile e vana la difesa e che resistendo più tosto disperatamente che efficacemente avrebbero cagionata la totale rovina delli lor campi, poderi e della città tutta minacciata a sangue e fuoco da Paone e suoi seguaci, furono forzati, con grandissimo loro dolore, cedere alla violenza et imminente forza e con questo secondatre il voto del medesimo Papone e suoi ingiusti ministri, li costrinsero a scrivere capitolazione tra di essi e lui, in nome di detta sonniata repubblica di Napoli, continentino molti capi, e conventioni, qual conoscendoli essi ingiusti, nulli et invalidi et acciò non comparissero mai a vista del mondo, ne meno li ha distesi in protocollo et adesso per loro maggior cautela e per suo ordine li consignano alla corte di esso Regio Auditore dell'esercito d. Girolamo de Filippis.
Dei patti conclusi per la resa di S. Germano che il notaio si rifiuta persino di riportare, Erasmo Gattola invece ci fornisce qualche nota.
In pactis cum Papone initis a Sangermanensibus plura continebantur Cassinatibus intensissima, quae inter pistrine, montesque coenobii Casinensis illis concedebantur.
Ancora essendo il Colessa ammonito secondo le censure contenute in Bulla Coenae Domini che sarebbe incorso nell'ira de titolari di M. Cassino se avesse dilapidato i beni del convento. Papone dichiarò il 6 gennaio 1648, penes acta Antonii Pagliari, nolle se ullam iniuriam coenobio Casinensi ejusque bonis illatam iri.
Da questo strumento.
Die 6 mensis januarii prime indict. 1648 S. Germano etc. D. Dominicum Colessi Generalis Sereniss. Reipublicae Civitatis Neapolis, cum iuramento, tactis licteris dixit asseruit et declaravit concessiones factas Universitati S. Germani non includi nec abesse debere ullo modo ut supra dicti Sacri monasterii juribus, actionibus, prerogativis, possessionibus et jurisdictionibus vel nec alio modo….
In questo strumento vi sono otto testi tra i quali anche UID Ottaviano e Bartolo Sabellico (52).
Non vi sono qui cenni al disegno di uccidere l'abate di Montecassino Andrea di Parma, da parte del Papone, cosa che invece è riportata dal Tutini nel Racconto della sollevatione del regno (53).
Ottavio del Pezzo esce da Teano con un piccolo contingente e cerca di liberare Calvi. Da Capua nel frattempo il comandante Tuttavilla spedisce il duca di Maddaloni in aiuto di Teano e del tentativo per Calvi, ma il Maddaloni per vendicarsi del vescovo di Calvi Gennaro che apparteneva alla famiglia Filomarino, ed era fratello del cardinale di Napoli, invece di andare verso Calvi, piega verso Pignataro che mette a sacco (54).
Il saccheggio di Calvi intanto che, nonostante tutto e senza l'aiuto del Maddaloni, Ottavio del Pezzo riesce a riprendere il giorno 7, è terribile, il vescovo fugge a Pignataro, la casa vescovile fu quasi diroccata e l'Archivio incendiato (55).
Le masserizie predate a Calvi arrivano persino sul mercato di Capua, che dice De Sivo, riempivasi delle vettovaglie predate neppure il bacolo e la mitra del vescovo andarono salve (56).
Capecelatro riporta il saccheggio di Pignataro operato dalle truppe del Maddaloni, con l'uccisione di molti abitanti. Il bottino inviato a Capua comprende 3000 staia di frumento e molti altri d'orgio (57).
Questo accade il 4 gennaio. Nicola Borrelli ricorda anche un vecchio canto popolare da lui raccolto nelle campagne di Pignataro nel quale è conservato ancora il ricordo di quegli avvenimenti. Il canto dice Borrelli, esalta gli effimeri poteri di uno dei rivoltosi, il capitano Troncone cioè Cola Trocone, o Roncone, un luogotenente di Papone, che però in seguito si arrende nella mani di Roccaromana tradendo la rivoluzione.
Ebbiva ebbiva capitan Roncone/se la pigliau cu'principi rumani/se la pigliau cu'Muntilione/li fici stari cu'cappiello 'n mano/tantu valea la forza de Roncone/pè quanto vale nu vasciello 'a mmare (58). Roncone è una famiglia ancora attestata a Sparanise, che allora era parte di Calvi.
Il giorno 5 secondo la cronaca sempre abbastanza precisa del Perrotta, Papone è di nuovo sotto le mura di Teano, però abbiamo visto come ancora il 6 egli si trova dinanzi al notaio in S. Germano.
Intanto le truppe di Diomede Carafa, dopo il sacco di Calvi e di Pignataro, invece di rientrare in Aversa, forse per accompagnare sua moglie, si porta alla foce del fiume Volturno, per farla imbarcare verso Gaeta. Aversa anche per questo cade la notte del 6 e Tuttavilla con la truppa a sua disposizione si ritira in Capua.
Riprendono vigore gli attacchi dei popolari. Il 13 gennaio Caserta innalza il vessillo popolare, qui si dichiara governatore in nome del Guisa Roberto Marsigli che invia un banditore ingiungendo ai capopopoli, sindaci ed eletti di riconoscerlo (59).
A Maddaloni il 13 gennaio i cittadini nominano capitano della Università il magnifico Giovan Battista de Agostino e per consultore Tommaso Visconte e mastro d'atti Scipione de Core. Il giorno dopo uno degli eletti Giovan Angelo Tenderello si reca in Aversa per raggionare all'eccellenza del signor Barone di Modena con tre altri cittadini. Mentre un altro Eletto Giovanni Cannata era ito in Napoli con il magnifico Giovan Litterio d'Andrea per alcuni negotii. Il Modena a detta del De Sivo era venuto insieme al duca di Guisa.
Papone intanto torna all'attacco di Teano, la città chiusa nelle sue mura non vuole sentire ragioni di resa. Papone, nonostante la sua armata raccolga almeno 5-6000 persone, è pur sempre a capo di un'armata di fanti armati alla meno peggio con picche e bastoni, pochi fucili, pochissimi i cavalli. Teme che la città possegga anche qualche pezzo di artiglieria e quindi è molto cauto.
Il 12 gennaio una ambasceria di teanesi si reca a Capua a chiedere soccorso contro i popolari che dimorando in Sessa con continue scorrerie li molestano (60). Il lunedì 13 di buon mattino da Capua per Teano il principe di Roccaromana con il capitano Marco Antonio Sanseverino, il capitan Velasco, Domenico Durante al quale viene data la compagnia del morto marchese di S. Giuliano, inoltre 100 fanti tedeschi e il mastro di campo Cavaselice che era nipote del vescovo di Carinola (61).
Queste truppe entrano in Teano il 14 gennaio, in questo stesso giorno partono verso Teano il capitano Cesare di Capua, con la sua compagnia di cavalli, il capitano Medici e Guglielmo Tuttavilla che con le loro compagnie si portarono a Castellamare sul Volturno dove doveva giungere per mare Luigi Poderico su una galera (62).
Lo stesso giorno Papone con 25 cavalli si porta al convento dei cappuccini di S. Reparata e vi si fortifica, il principe di Roccaromana assalta il convento per tutto il giorno senza risultato e col sopraggiungere della sera e del grosso della gente di Papone si ritira nella città di Teano, lasciando a presidio del borgo di S. Antonio 50 alemanni.
Il giorno seguente Papone attacca la porta superiore, quella che si apre verso Vairano e si fortifica nell'osteria della Fontana. Un'osteria famosa che si erge nei pressi della fontana delle sette cannelle. Da questo posto e dalle numerose feritoie aperte nelle mura, provoca una grandine di colpi di moschetto sui difensori della porta.
Il Roccaromana invia un soldato a cavallo per chiedere soccorsi al comandante Tuttavilla, il quale ordina l'immediata uscita di 60 soldati del Tercio di Prospero Colonna e alcuni cavalieri. Nel frattempo invia polvere da sparo, 60 fanti del Tercio di colonna condotti dal capitano Matteo Capece e Ettore Venuto col tenente di cavalleria Magnicco. Intanto Papone si fortifica anche sul colle Pino e nel convento di S. Antonio e qui alza un bastione. Il Roccaromana per non farsi chiudere nella città, esce con le sue truppe, promettendo ai teanesi che sarebbe restato nella piana di Santa Croce aspettando i rinforzi da Capua.
Il giorno 16 le forze popolari di buon mattino calano dal monte con forti grida, suono di tamburi e trombe e si avvicinano minacciosamente al borgo fuori porta Napoli, dove però sono respinte dal tiro preciso e micidiale dei pochi alemanni lì appostati. Papone si spinge avanti sotto le mura del palazzo del vescovo, fortificandosi nell'uliveto di Ortoceraso.
A questo punto Giuseppe Galluccio con un'azione coraggiosa e disperata di commando, esce dalle mura con 25 moschettieri, alcuni cittadini e altri cacciatori abruzzesi e accende una mischia furibonda. La mossa riesce e Galluccio nonostante che sia stato ferito alla coscia ottiene il ritiro di Papone da quel luogo. In questa occasione secondo qualcuno viene ferito anche Papone e gli viene sottratto il moschetto.
Termina la giornata del 17 con un nulla di fatto, l'assedio continua. Intanto si registra che altri nobili sono passati dalla parte popolare, come il duca di Collepietro, il Palma e il duca di Sangro. Fu sospettato anche don Carlo Gaetano governatore di Capua, che viene dimesso immediatamente e sostituito con Fabrizio Acquaviva figlio del duca d'Atri.
Si teme la perdita del regno. Il giorno 18 arriva una compagnia di cavalli e altri 25 moschettieri mandata da Luigi Poderico, perché intanto è cambiato il comandante realista. Da Tuttavilla era arrivata anche una compagnia di croati, venti moschettieri e munizioni al comando del capitano Lucacchio.
Essi trovano il ponte di S. Paride, quello fuori le mura, sulla strada per Calvi, presidiato da 40 popolari, lo prendono d'assalto vincendo facilmente la resistenza popolare.
Così si riuniscono alle forze del Roccaromana e insieme anche ai teanesi al comando di Ottavio del Pezzo, uscito dalla città con numerosi cittadini, assaltano tutti insieme la osteria della Fontana di Marzo e la prendono con la perdita di un solo sergente spagnolo. Fanno anche molti prigionieri, molti popolari fuggono e si ritirano nel convento dei cappuccini. Ma anche da qui sono ben presto scacciati e fuggono disordinatamente, lasciando armi, polvere e 40 cavalli.
Alcuni popolari si arrendono al capitano Matteo Capece. Molti altri fuggirono attraverso un foro nel muro posteriore e si salvarono dalla parte del giardino, lasciando solo 5 compagni, un barile di polvere, quantità di armi e 140 cavalli. Lo stesso ben presto avviene nei fortini del monte e nel bastione del colle di S. Antonio.
Anche qui i popolari si danno alla fuga abbandonando le robe.
Secondo il Piacente l'errore commesso da Papone fu quello di non occupare il borgo fuori la porta Rua che si trova sulla strada per Capua, quando cerca di porvi rimedio non riesce a prendere il posto difeso dagli alemanni.
Papone ripara a Pontecorvo, dove viene rimproverato dal Guisa per aver accettato la battaglia con Roccaromana senza aver prima radunato tutte le squadre.
Il duca di Vairano Antonio Mormile, sconfitto presso Teano dovette fare atto di sottomissione ed entrare come capitano di cavalleria nella compagnia del Roccaromana.
È la vittoria che i teanesi attribuiscono al favore della protezione di S. Paride e portano in processione il busto di S. Paride e le reliquie di S. Reparata e il braccio di S. Terenziano. Appunto nel duomo nella cappella del Soccorso di S. Paride viene eretto un marmo con un'iscrizione. Sempre nel duomo viene conservato il moschetto di Papone, andato in seguito perduto nei fatti del 1799 (63).
Dal Capecelatro conosciamo una lettera inviata dal principe di Roccaromana la sera stessa del sabato 18 gennaio, giorno della vittoria: sto quasi morto di stracchezza per aversi peleato otto ore dalle quattordici sino alle ventidue, e per grazia di dio e della Santissima Annunziata mia avvocata si è data al nemico una rotta campale, con lo acquisto di cinquecento cavalli e prigionia di cento e più di loro che ancora non sono contati, morti infiniti con acquisto di tutte le munizioni loro e bagaglie, scacciandoli dalli conventi, posti e fortificazioni, e fuga di Papone e compagni alla disperata, me ne rallegro con vostra eccellenza quanto devo e posso, essendo risultato il tutto dal suo amparo. Delli nostri è morto l'Alfiere spagnolo e tre altri soldati e due feriti. Signore tutti han mpstrato gran valore, essendo arrivati sotto le mura degli edifizii, dove si erano fortificati i nemici ad attaccar fuoco alle porte a petto scoverto. Il Sergente Mignale Garcia Lares merita la piazza dell'Alfiere morto, ed io ce l'ho promessa. V. E. facci complirlo Degli altri non so distinguere perché hanno fatto il manco di tutto. V. E. perdoni se io son breve, che scrivo dentro una spezieria e digiuno da ventiquattro ore appresso questa sera le scriverò più distinto per li ordini necessari ed a V. E. bacio le mani e quanto desiderava ed ha comandato, tutto si è fatto (64).
Si distinsero per valore nello scontro, assalto e incendio delle porte e presa del convento dei Cappuccini il capitano Matteo Capece di fanteria, Ettore Venuto e tra i capitani di cavalleria il Latino e Marco Antonio Sanseverino che assale il duca di Vairano, gli fa cadere il cappello con fitti colpi di spada incalzandolo mentre fuggiva con obbrobriose parole rimproverandogli la commessa fellonia.
Il giorno 20 Ottavio Del Pezzo invia 56 prigionieri alla volta da Capua e il 21 da Capua vengono mandati a Napoli, tranne uno che era un disertore del Tercio di don Prospero Colonna e fu impiccato a Capua e dopo gran pezza fu riconosciuto vivo e spiccato e messo all'Ospedale ove di lì a due giorni morì (65).
Intanto le bande popolari del fiume Volturno, forse quelle comandate da capitan Troncone cercano di posizionarsi ai mulini di Triflisco.
Il 22 gennaio da Caiazzo un contingente di 500 popolari assalta il convento di S. Maria in Gerusalemme dove erano appostati l'aiutante del Poderico Giordano con 34 fanti e 40 alemanni e sarebbero stati spazzati via, se non fossero per caso sopraggiunti il duca d'Andria, Minervino, mons. d'Aversa, Cesare di Capua e altri cavalieri che assaltano i popolari che si ritirano sulla collina perdendo così il bestiame del principe di Colubrano che avevano sequestrato (66).
Secondo la cronaca ms. A: in Sessa risedevano da cento persone di guardia ed il cancelliere Francesco Volpone che attendevano a far denari e strage. Molti cittadini dubitando di qualche sacco e altri mancamenti se deliberarono di fare unione e fatto ragionamento fra certi capi, si concluse di attaccare le guardie alle Porte come alli 23 di gennaro di giovedì si radunarono per tempo al vescovado con arme da cento persone di Sessa e fecero venire da Cascano da 30 persone di notte nella casa di Geronimo Zitello, onde risoluti di riuscire nell'impresa nell'uscita ritrovarono capitano Claudio e Sebastiano Ciaraldo di Valogno alias Baiano, appostati con dieci altri che tirarono archibugiate, ciò vedendo con grande animo uscirono et ammazzarono detto Bajano e capitano Claudio si diede in fuga e si buttò dalla parte del Tribunale, vi furono sopra e li ferno la festa, andareno alle porte e dopo alquanto combattimento se diedero in fuga e da trenta che rano nel Castello si resero e furono carcerati, li morti diece e così fu liberata Sessa ma con gran timore, perché l'inimici minacciavano gran stragge e così spedirono corrieri in Napoli per questo fatto e dalli reggi se ne fece gran allegrezza, che don Giovanni de Austria ne scrisse alla città con gran contento, lodando la bizzarra risolutione, offrendosi a fare ogni piacere alla città, s'addimandò aiuto e venne il Principe di Roccaromana con trecento cavalli e altrettante fanterie. Tutti furono alloggiati da cittadini e fece mostra di tutta la città ed elesse sei capitani con patente cioè Lelio Ricca, Leonardo Niffo, Geronimo Zitello, Cesare Pollano, Scipione Piscitello, e Giovan Camillo Zitello. Il detto Giovan Camillo Zitello il 9 agosto 1648 nominato dal vicerè di Napoli capitano di Sessa.

Fin qui la cronaca. Qualche particolare in più aggiunge il Castaldo, che deriva dal Perrotta essenzialmente. Sessa è ancora in mano popolare, quando uno di casa Gattola cerca di prendere accordi con Luigi Poderico.
I giovani della nobiltà ricevono assicurazioni che stanno per giungere in aiuto 500 soldati da Gaeta e altri da Teano. Si riuniscono nella notte del 23, introducono nella città alcune persone di Cascano, la mattina insorgono, assaltano il presidio, uccidono il cancelliere di Papone e anche Giovan Battista Testa, prendono prigioniero il padre di Papone che viene inviato in carcere a Capua, uccidono anche un nipote e un fratello di Papone.
La cronaca del Piacente, molto romanzata, informa che a Sessa governava in nome di Papone Claudio Rivera, commissario militare. Otto giovani nobili congiurarono di ucciderlo, fanno esporre di notte il SS.mo Sacramento nella chiesa dei francescani riformati, il Rivera si reca sul posto dove i giovani lo uccidono a colpi di archibugi.
La cronaca ms. A invece sostanzialmente dice che Sessa fu aiutata dai cascanesi che in numero di 30 entrano di notte nella città e si nascondono nella casa di Girolamo Zitello.
Per inciso la cosa è perfettamente credibile, perché la casa in questione è oggi quella dei fratelli Gaetano e Giuseppe Bencivenga in via delle Rose. Quindi è molto vicina al muraglione che difende Sessa in via S. Nicola le cui case sono costruite sulle mura.
Forse la casa aveva una comunicazione sotterranea con gli orti della Maddalena, o forse il cunicolo si trovava in qualche altra casa di via S. Nicola, e da questo i congiurati erano penetrati in città.
Il mattino dopo giovedì 23 gennaio (secondo altri il 24, il Capecelatro addirittura scrive in data 28, forse quando ne ha notizia) i 30 uniti a 100 armati sessani nascosti nel Duomo assaltano i popolari, uccidendo i due luogotenenti Claudio Rivera e Sebastiano Ciaraldo (uno di Roccamonfina e l'altro di Valogno).
Rivera fugge dalla parte del Tribunale cioè verso la piazza, ma viene ucciso. 30 uomini sono trucidati, altri 30 che difendono il Castello si arrendono. Scrive Capecelatro in data 28 gennaio nel suo Diario: Luigi Poderico avuta intelligenza coi gentiluomini di Sessa, gl'indusse a dar sopra i popolari che erano in Sessa e di essa felicemente li scacciarono.
Nei fatti di Sessa aggiunge: vi furono diversi morti e tra gli altri il padre, la madre, un nipote e altri parenti del Colessa e il suo cancelliere (67).
Sopraggiunge a questo punto, a cose fatte ormai, il principe di Roccaromana con 500 uomini che occupa la città e nomina i sei capitani. Il presidio militare però impone una taglia di 100 ducati al giorno per le spese militari.
Una lettera inviata da padre Flaminio Magnati al cardinale Brancaccio il 3 febbraio informa che il padre di Papone fu condotto in prigione a Capua e non ucciso.
Il principe di Roccaromana si dirige il 31 con le sue truppe verso Roccamonfina che era ancora presidiata dai popolari. Seguiamo in questo momento la cronaca del Perrotta, che è originario proprio di Roccamonfina, il quale afferma di aver raccolto le notizie anche con l'aiuto del canonico Giovan Battista de Quattro teanese che stava scrivendo anche lui una dottissima opera dal titolo Sidicino risorto, Storica descrizione della città di Teano.
Al seguito del Roccaromana si trova anche il nobile teanese Luigi Martino des Carles, che già abbiamo conosciuto nella difesa della sua città, ma partecipano anche molti sessani. Le truppe regie si fermano fuori della Terra di Roccamonfina nello largo del Pantano, facendo ingiungere alla Terra di arrendersi, dopo tre ore senza risposta, si ordina l'assalto.
Secondo la versione del Galeazzo Gualdo, il sacco fu dovuto alla resistenza dei cittadini (68). Ma Perrotta nega, affermando che tutta la popolazione era fuggita nei monti e nel convento dei Lattani, dove si trovavano anche i paponiani che erano comandati da fra Bonifacio e fra Marcellino, due frati del convento dei Lattani.
Quindi il sacco della città non era giustificato, tanto più che secondo il Perrotta esso fu dovuto tutto alla plebe sessana che seguiva il Roccaromana. La rivalità tra le due città del resto è antica.
Nell'archivio parrocchiale di S. Pietro di Roccamonfina si legge che in quel giorno, essendo morto Felice Zannino non si potè trovare qualcuno che lo trasportasse in chiesa, dove venne portato dalle donne di casa aiutate dal rettore della chiesa don Stefano Palmieri parroco, che ci lasciò la notizia nel Liber mortuorum.
Venuto a conoscenza della liberazione di Sessa e dei fatti che riguardano i suoi congiunti accorre Papone da Pontecorvo e incendia il villaggio di Lauro. Dopo si scontra con i soldati del Roccaromana e i sessani al comando di Antonio Sanseverino. Questo scontro però avviene il 4 febbraio secondo alcuni. Intanto viene a Sessa il Roccaromana dopo aver incendiato due villaggi di Roccamonfina. Papone viene abbandonato dai duchi di Vairano e Presenzano e si ritira. Nella fuga forse risale il Garigliano e lo passa più a monte, distrugge dietro di se un ponte, forse all'altezza della scafa di Suio. Roccaromana che lo incalza assalta e saccheggia Sipicciano, piccolo casale di Galluccio, che si mantiene ancora dalla parte dei popolari.
Intanto Papone raccoglie nuovi armati e intende muovere di nuovo contro Sessa che però riceve cento archibugieri da Gaeta e la cavalleria da Capua. Le forze di Papone allora deviano verso Mondragone e poi indietro verso Itri che riprendono e avrebbero ripreso anche la Torre di Sperlonga se avessero potuto incontrarsi col duca di Maddaloni che giungeva per mare e fu cannoneggiato dalla costa. Gli spagnoli a questo punto riprendono Fondi anche per la discordia insorta tra i D'Arezzo e il comandante francese.
La città di Sessa ricorre con una memoria scritta a firma di G. Loredano, avvocato della città, contro l'imposizione dei 100 ducati al giorno per ottenere che almeno essi pesassero anche sus las tierras convicinas, ecco risorgere sempre il solito problema dei casali, e per la conferma dei privilegi cittadini e della camera riservata.
Un altro reclamo è fatto per le spese di foraggio delle milizie di presidio, la corte della Sommaria autorizza la città a prelevare 300 ducati dal bottino sequestrato dei beni di Papone e Rivera. A Sessa ora è presente una guarnigione di 500 tedeschi oltre le truppe di Roccaromana (69).
In questo momento si distingue la figura di Pietro di Lorenzo. Lo avevamo lasciato al momento della fuga nei territori pontifici dopo la rivolta di Carinola. In seguito fu alle dipendenze del principe di Roccaromana e venne autorizzato a trattative segrete verso i paponiani. Fu autorizzato ad assoldare uomini e nominato capitano della sacchetta, ossia della cavalleria. Un rapporto del 23 febbraio, riportato anche in De Masi, lo descrive impegnato: Per servire S. M. con cavalleria a proprie spese portandosi da Aversa per presidiare Sessa, cacciando la numerosa guarnigione che in essa vi teneva il bandito Papone, assalendo molte volte per sconfiggere e porre in fuga il Papone uccidendo e prendendo molti della di lui banda e riducendo a obbedienza Roccamonfina, Galluccio, Marzano, Rocca di Mondragone, Carinola e Traetto, aprendo il cammino da Sessa a Capua al Generale Poderico.
Fu nominato capitano a guerra di Sessa, Traetto e Mondragone. Questa carica, una sorta di dittatura militare amministrativa fu trasformata in quella di primo dei tre sindaci di Sessa, carica che mantenne per sette anni. Questo riferisce il Castaldo, ma la notizia è destituita di ogni fondamento almeno per quanto riguarda la carica di primo sindaco.
Pietro di Lorenzo è primo sindaco della città di Sessa con la sua carica di capitano solo nel 1648-49. Lo sarà di nuovo molto tempo dopo nel 1660-61, e poi ancora nel 1672-73 e 1673-74. Questo è il periodo in cui secondo il Castaldo accoglie presso di se, fornendo lavoro, Sallustio e Tommaso Cornelio esuli da Roveto di Cosenza.
Secondo De Santis il Roccaromana lascia Pietro di Lorenzo al governo di Sessa che gli era stato mandato dal Poderico il qual temeva un nuovo rivolgimento della città, per aver il nipote di esso di Lorenzo ucciso un fratello d'uno dei sindaci e vi inviò anche don Francesco Tassis (70).
Altra importante ammissione di una storia, quasi sempre taciuta e sottovalutata, del coinvolgimento nella rivoluzione anche di ceti non propriamente ultrapopolari. Di quale sindaco si tratta non si riesce a sapere. Per il 1647-48 erano in carica i sindaci Cesare della Marra, Francesco Traetto e Vincenzo di Bartolo.
Il Castaldo riporta una lettera del duca di Caivano alle autorità sessane da lui letta nell'Archivio della città. In questa, datata 1 febbraio 1648, il duca dichiara di aver ricevuto dal principe di Roccaromana e questi dal Poderico, alcuni diplomi di immunità e privilegi per Pietro di Lorenzo e altri, e tra questi Francesco Gentile, Antonio Aiuto e il sacerdote Giovanni Franco.
Per i primi due, che fanno parte del gruppo di congiurati che si adoperano nella liberazione di Sessa, il Poderico scrive in data 28 gennaio 1648: Considerati i segnalati servigi che Francesco Gentile e Antonio Aiuto an fatto a S. M. nelle correnti rivoluzioni e quanto abbiano travagliato coll'aiuto dei gentiluomini di Sessa in ridurre quella città occupata dal bandito Papone all'obbedienza di S. M. esponendo la propria vita per la difesa di quella, da che ne risultò la morte del capitano De La Vera (Claudio Rivera), uno dei principali compagni del detto Papone, e convenendo rimunerarli, conforme merita la loro fedeltà, ci è parso eleggere e nominare i predetti, capitano di campagna della comarca della detta città di Sessa. E vi diremo che arruolato il maggior numero di gente che potrassi, dobbiate andare in cerca del detto bandito Papone e della sua comitiva e contro tutte quelle terre e luoghi che non staranno all'obbedienza di S. M. e faranno atti di ostilità. E acciocchè possiate attendere anche ai servizi con maggiore animo vi concediamo tutte le robe dei ribelli che piglierete eccettuandone li beni stabili i quali si applicano a beneficio del Real Patrimonio. E ordiniamo a tutte le terre e luoghi di detta comarca che sotto pena della vita essi debbono darvi ogni aiuto e tutte quelle genti che vi faranno bisogno e del tutto starete all'ordine del Principe di Roccaromana. E ordiniamo ai sindici e agli eletti della detta Fedelissima città di Sessa che vi debbiano dare cosa gratis e che da oggi in avanti le vostre persone e quelle di Giovanni di Girolamo siano franchi, immuni ed esenti da qualsiasi gabella, tassa, imposizione, navi, importi, seta, e altri quali pesi, posti e imponendi della predetta città di Sessa, quanto per altre imposte del Regno di Napoli dove andaste ad abitare.
Molti furono i ricompensati per mano del principe di Roccaromana ma anche del duca di Caivano e di Marianella, Francesco Barrili, principe di S. Arcangelo e inoltre anche da Cesare Caracciolo. Carte che si trovavano nell'Archivio di Napoli e che sono andate perse nell'incendio del 1943 a S. Paolo Belsito.
Tra i ricompensati si cita ancora Michele de Felice, forse di Sessa che anch'egli arruola gente a sue spese andando contro Papone.
Benedetto Pezzulli dal suo canto riporta la patente rilasciata in data aprile 1648 a Bartolomeo d'Angelo dove si descrive il servizio da questi svolto per cinque mesi continui come comandante di una delle compagnie teanesi (71).
Intanto la rivolta non è certo finita, anzi con il favore della Francia la guerra rinvigoriva. Papone in questo momento è a Pontecorvo e pensa sempre a riprendere Sessa.

(fine V parte)

NOTE

(50) DE SANTIS T., Storia del tumulto(..), cit. p. 137.
(51) COTUGNO G., Memorie istoriche di Venafro compilate da Gabriele Cotugno canonico teologo della maggior chiesa di quella città, Napoli, Nella Stamperia Filomatica, 1824, p. 233.
(52) GATTOLA E., Ad historiam Abbatiae Casinensis Accessiones, cura et labore D. Erasmi Gattula cajetani Abbatis S. Matthaei Servorum Dei et celeberrimo Casinensis Archivii custodis. Pars secunda, Venetiis, apud Sebastianum Coletum, 1734, p. 653.
(53) TUTINI C.-VERDE M., Racconto della sollevatione di Napoli accaduta nell'anno 1647, a cura di P. Messina, Roma, 1997, p. 343 e sgg.. Cfr. anche GALASSO G., Il baronaggio in armi, le Province in rivolta, in Storia del Regno di Napoli, cit. III, pp. 464 e sgg.
(54) BORRELLI N., Memorie pignataresi, S. M. Capua Vetere, Tip. Di Stefano, 1940, p. 57.
(55) ZONA M., Santuario Caleno, Napoli, per Michele Morelli, 1809, p. 210.
(56) DE SIVO G., Storia di Calazia campana e di Maddaloni, Napoli, 1860-65, ristampa a cura della Biblioteca comunale di Maddaloni, Napoli, Alfredo Guida, 1996, p. 222.
(57) CAPECELATRO F., Diario (..), cit. II, p. 399.
(58) BORRELLI N., Un protagonista della sollevazione napoletana, in Folklore, 4, 1928.
(59) DE SIVO G., Storia di Calazia (..), cit., p. 222.
(60) CAPECELATRO F., Diario(..), cit. II, p. 436.
(61) Ivi, p. 437.
(62) Ivi, p. 438.
(63) BROCCOLI M., Teano Sidicino Sacro antico e moderno del decano Michele Broccoli, Napoli, presso Pasquale Tizzano, 1822, p. III, pp. 50 e sgg. Nelle note Broccoli dice di aver attinto notizie anche dalle scritture di Luigi Martino des Carles e da un giornale autografo di Luigi, nel quale si parla delle operazioni del principe di Roccaromana Andrea Francesco di Capua di cui Luigi era aiutante.
(64) CAPECELATRO F., Diario (..), cit. II, p. 445.
(65) DE SANTIS T., Storia del tumulto(..), cit. p. 159.
(66) DE SANTIS T., Storia del tumulto (..), cit. p. 160.
(67) CAPECELATRO F., Diario (..), cit. II, p. 486.
(68) GUALDO G., Dell'historia del conte Galeazzo Gualdo Priorato nella quale di contengono tutte le cose universalmente occorse dall'anno 1645 sino all'anno 1649, Francoforte, 1651.
(69) CAPECELATRO F., Diario (..), cit., III, p. 486.
(70) DE SANTIS T., Storia del tumulto(..), cit. p. 201.
(71) PEZZULLI B., Breve discorso (..), cit. p. 227 e sgg.

Giampiero Di Marco
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 8 Agosto)