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La biblioteca dei Conventuali di Teano

 

Il portale d’ingresso della Chiesa di S. Francesco (Teano - Piazza Municipio)

 

Al tempo delle leggi napoleoniche, emanate da Giuseppe re di Napoli, sulla soppressione dei conventi con meno di 12 frati, nel 1807, anche il convento dei francescani di Teano venne soppresso. I locali nel 1855 vennero in seguito utilizzati dapprima come cancelleria e sede della truppa di Teano, poi come sede del comune. Una parte del convento venne adibita dopo un restauro a Teatro comunale nel 1856, questa parte in seguito viene adattata a scuola.
Nel convento era annessa una biblioteca i cui volumi nel 1807 furono inventariati, elencati e l'elenco trasmesso a Capua perchè lì si facesse una cernita dei libri che interessavano per la costituzione della grande biblioteca nazionale in formazione a Napoli. Il resto dei volumi sarebbe restato in loco e utilizzato per le scuole o altro.
Questi elenchi sono conservati nell'Archivio di Stato di Caserta e così possiamo gettare uno sguardo indiscreto nella biblioteca del convento di Teano e conoscere quali volumi la componevano e anche la sua consistenza numerica.
L'elenco fatto da chissà quale frate è composto di 526 volumi ed è in ordine alfabetico, ma diviso per materie: Teologia Scolastica, Morale, Istoria e libri vari, Scritture e SS. Padri, Filosofia, Prediche e discorsi, Panegirici. Questi sono i campi di interesse che hanno generato la formazione di questa biblioteca.
La pubblicazione dell'elenco di questa biblioteca, oltre a fornire un quadro più preciso della cultura che circolava nel convento, riesce a dare anche notizie su volumi che sono oggi di difficile reperimento. Il tutto è però complicato dal fatto che spesso il frate compilatore traduce a suo modo in latino il titolo del volume, o al contrario lo italianizza a suo modo, tra l'altro non è mai citata la sede di pubblicazione o notizie che riguardano il tipografo e l'anno di edizione, oppure sintetizza di testa sua il titolo. A questo si aggiungano gli errori veri e propri e le storpiature dei nomi degli autori. Per tutto ciò l'individuazione esatta del volume non è sempre agevole, ma si è fatto ogni possibile sforzo per la sua precisazione.
Non sono molto frequenti i lavori di questo genere sulla consistenza di biblioteche pubbliche o private nel Regno di Napoli e quindi il fortunato reperimento di questa lista contribuisce ad accrescere quel che si conosce su questa materia.
Come si vedrà sono presenti nella biblioteca le opere dei vescovi di Teano, dal Boldoni, a Squillante ma vi sono anche le opere di mons. Antonio de Guevara, zio del vescovo di Teano Giovanni, autore di opere molto lette, tra le quali si cita il Libro di Marco Aurelio, le Lettere, il Monte Calvario, ma vi sono anche anche quelle del nipote Giovanni de Guevara, vescovo di Teano, il rarissimo De interiore sensu e il fortunato Horologio spirituale de'principi. Vi sono anche le opere degli autori delle diocesi vicine da Sessa, come i discorsi del Florimonte, a Carinola, con l'Armario del sacerdote del carinolese Pergameno.
Grande e soverchia importanza viene data alla filosofia. Anche se i francescani, non hanno una scuola nel loro convento, però dovevano egualmente essere al corrente della battaglia che l'ordine da sempre combatte contro un nemico molto potente: la logica di San Tommaso d'Aquino. I francescani, come anche gli agostiniani del resto, credevano che il mondo delle verità rivelate non avesse nulla a che vedere con il mondo delle verità materiali. Non c'era alcuna relazione tra teologia e filosofia naturale. Erano convinti che il bene prevalesse sul vero e credevano nel primato della volontà sull'intelligenza. Infine per loro era dogma imprescindibile l'impossibilità della creazione ab aeterno del mondo. Il tomismo invece era molto più aderente ad Aristotele e alla sua dottrina e Tommaso criticava a sua volta il linguaggio troppo simbolico della metafisica degli ordini più contemplativi. Il problema di Tommaso fu quello di trovare un sistema per mettere d'accordo l'uomo e il mondo con la rivelazione e la fede. In questo la filosofia scolastica e in special modo la tomistica si distinse dal pensiero classico, che non contemplava la fede e quindi rimaneva immanente e quasi prigioniero della ragione umana. Il fondamento della speculazione di Tommaso è appunto la ricerca dell'armonia tra la natura e la grazia, tra la ragione e la fede. Philosophia ancilla Theologiae. Con l'adozione entusiasta della dottrina di Aristotele, che finalmente è conosciuto nella sua opera autentica anche se attraverso i suoi traduttori arabi ed ebrei, Tommaso può dare una sistemazione adeguata del sapere attraverso l'uso della logica. Conseguentemente anche la teologia tende a presentarsi con una forma scientifica, adottando le stesse tecniche della logica aristotelica, come il sillogismo. Subito dopo il ritorno in Italia di Tommaso la cattedra di Parigi venne però conquistata dai francescani e iniziò subito la critica della filosofia tomistica con Sigieri di Brabante, uno dei grandi commentatori dell'arabo Averroè, ed Enrico di Gand. Allora Aristotele era conosciuto soprattutto attraverso le versioni e gli accomodamenti fatti dai filosofi arabi, che poi erano stati tradotti dai dotti ebrei della Spagna moresca. Contro il Brabante, averroista convinto, che pretende la fedeltà assoluta al testo non solo di Aristotele ma anche a quello del commentatore per eccellenza si scaglia Tommaso, chiamando Averroè corruttore dello spirito aristotelico. Sulla stessa cattedra del domenicano fu poi il francescano Bonaventura e poi ancora l'agostiniano Egidio Romano, il quale con i suoi confratelli Giacomo da Viterbo, Gregorio da Rimini e Paolo Veneto, avevano proseguito nella opera di ridimensionamento del tomismo. Si era in pratica dopo diciotto secoli riprodotta l'antica divisione tra scuola platonica e i peripatetici seguaci di Aristotele. Da una parte erano i francescani e gli agostiniani che si definivano neoplatonici e dall'altra i domenicani seguaci di Aristotele, ma più che altro difensori della loro gloria Tommaso. A parte era Sigieri di Brabante le cui tesi eterodosse specialmente riguardo all'origine del mondo, sull'anima e sul libero arbitrio vennero confutate da tutte e due le scuole. Fu soprattutto il francescano Duns Scoto, professore anche lui a Parigi, dopo di esserlo stato ad Oxford, il doctor subtilissimus, dotato di grandissima ironia, a sottoporre ad una sottile critica distruttiva la filosofia tomistica. Tommaso d'Aquino veniva chiamato da Scoto il bue muto di Sicilia, per la sua mole enorme e l'aria perennemente assente e particolarmente strampalata. Si raccontava che Tommaso aveva sempre la testa tra le nuvole, perduto nella costruzione della sua enorme cattedrale gotica, la Summa e nelle sue cervellotiche e ingarbugliate questioni quodlibetali e non. Del resto, commentava a volte lo Scoto, lui stesso se ne era accorto.  Un giorno il suo collaboratore, frate Reginaldo da Piperno, che il papa gli aveva messo accanto per servirlo in tutte le sue necessità, lo aveva trovato in chiesa stordito, come fulminato da una rivelazione improvvisa. Cosa è successo gli domandò e Tommaso rispose, in un impeto di scoraggiato disorientamento: Paglia, tutta paglia, (ma io sono sicuro che pronunciò in stretto vernacolo napoletano: pampuglie) ho scritto una montagna di cazzate. Da allora non scrisse più nulla, lasciando incompiuta anche la sua opera più grande, la Summa teologica. Il francescano Bonaventura che resse la cattedra a Parigi di Teologia dopo di lui mal sopportava tutti quegli ipse dixit, con cui i tomisti si riferivano ai sacri testi di Aristotele, quasi fossero testi rivelati anch'essi. Secondo Bonaventura la vera conoscenza deve essere illuminata dalla rivelazione e dalla fede. Il cammino mistico che l'anima deve compiere per giungere fino a Dio è non altro che la meditazione interiore di Agostino. Duns Scoto giunge ad affermare che tra credente e sapiente non c'è nulla in comune e la ragione può lavorare soltanto su sé stessa. Pertanto la verità della fede è estranea a quella della scienza perché la teologia non può avere dimostrazione. In seguito anche Guglielmo da Occam distingue il campo dell'esperienza da quello della fede. Nessun problema metafisico o teologico, che poi è la stessa cosa può essere dimostrato razionalmente. Occam è il più grande logico del medio evo. Due scuole inconciliabili dunque, come avete visto, e i due ordini contemplativi avrebbero messo in seria difficoltà tutta la costruzione logica della metafisica tomistica, la quale trovò un sostegno nella rapida beatificazione e successiva santificazione di Tommaso d'Aquino. In conseguenza anche la sua filosofia fu messa al sicuro diventando quasi dogma della chiesa. Per converso furono proprio i francescani a correre seri pericoli, con tutte le loro correnti spiritualistiche, che non poche volte sfociarono in veri movimenti deviati, dichiarati eretici. Di questa polemica risente la composizione della biblioteca che accanto alle opere di filosofia classiche della dottrina tomista, presenta anche i grandi filosofi del Cinquecento dai laici come il sessano Agostino Nifo, a quelli della chiesa rappresentati dal Suarez e da Bartolomeo Amici, ambedue gesuiti, anche le numerose opere di Duns Scoto e dei suoi illustratori della stessa religione, da Mastrio de Meldula al napoletano Angelo Volpe, che fu anche sanzionato donec corrigetur dalla Congregazione dell'Indice, ma che però è conservato nonostante tutto nella biblioteca del convento. Tra i libri di fiosofia spiccano per la loro rarità i probabili incunaboli di Giovanni Canonico e di Pietro Ispano.
Abbondano i classici della morale, dalla Summa armilla a Bartolomeo di San Fausto, da Reiffenstuel al gesuita Sa, dal manuale del Bonacina, alla Summa Diana, che non manca in nessun convento, dal Becano al cardinal Gaetano Tommaso de Vio, alla Summa Navarri di Martino Navarro. Numerosi sono i commenti e le opere di ermeneutica e di illustrazione delle Sacre scritture e dei Vangeli e anche qui non mancano i classici da Ugone di Santo Caro, da Domenico Gravina a Gregorio da Rimini, a Dionigi Cartusiano o Saint Denys de Chartrouye, e poi non manca il Dispregio del mondo di Diego Stella. Naturalmente numerose sono le opere di predicabili, omilistica e panegirici, che dovevano servire per la educazione dei frati predicatori, che nell'occasione della Quaresima, della Settimana Maggiore e in quella dell'Avvento usavano con la loro oratoria praticare questa forma di educazione delle masse, atterrendo i peccatori con la descrizione dei terribili castighi ultraterreni, oppure ammansendo le anime con gli esempi della vita di Cristo. Le interpretazioni canoniste sono egualmente rappresentate così come le raccolte e bullari sia dell'ordine che del Concilio di Trento.
Mi piace pensare che vi sia stata la edizione dei Sermoni di Roberto da Lecce nel suo incunabolo rarissimo de 1478, così rara è anche la edizione del Savonarola sui Salmi del 1516.
Tra le opere di cultura generale si cita il Purgatorio di Dante, il Goffredo del Tasso, che conserva ancora il suo titolo originale, prima che venisse mutato in Gerusalemme liberata, l'opera del Garzoni, una sorta di enciclopedia, il Cannocchiale aristotelico del Tesauro altro classico dell'epoca, le opere poetiche del gesuita napoletano Giannattasio, detto Partenio. Presente anche il Pastor fido di Giovan Battista Guarini e spicca la presenza delle opere del Ruzante, chissà se legato alla presenza di qualche frate del veneto. Importante da sottolineare due opere politiche il De regimine principis di Egidio Romano, edito nel 1502 da Andrea Torresani il suocero di Aldo Manuzio, e la Ragion di stato del Botero.

Dobbiamo pensare alle biblioteche come ad opere vive e non come a sepolcri che contengono cose morte: i libri sono le cellule, gli agglomerati di vita in esse e con l'epoca della loro appartenenza stanno lì a testimoniare come una biblioteca sia viva, sia restata viva nel processo diacronico del tempo. Una biblioteca si adegua a mode e culture diverse, si trasformata con il gusto che cambia. Mancano nella nostra biblioteca quasi del tutto le opere del Settecento riformatore, sia quello francese che quello nostrano e napoletano che non sembra aver influenzato molto il pensiero e la cultura di questo convento, manca lo spirito dell'Enciclopedie. Così come si trova appena un'eco del probabilismo e della orazione mentale che tanto invece hanno permeato il clero e il laicato napoletano sul finire del Seicento e inizio del secolo successivo, con il volume di Antonio de Molina, del 1678. Tutto sommato mi sembra che la biblioteca si sia come arrestata nella sua adesione e rimodernamento attorno alla metà del Seicento e alla inchiesta pontificia sul patrimonio librario del 1651. Forse l'ordine francescano conventuale attorno a questa epoca inizia un parziale depauperamento che si nota anche nel mancato ammodernamento del pensiero espresso nelle opere che vengono acquistate e conservate nella biblioteca. Il fenomeno è analogo a quanto accade contemporaneamente nei due conventi francescani, sia quello conventuale di S. Giovanni a villa  che quello osservante di S. Francesco a Sessa, dove al momento della soppressione non si trovano raccolte di libri, mentre al contempo questo non avviene sia per gli agostiniani  di Sessa, che possiedono una biblioteca notevole di oltre un migliaio di volumi, con notevoli presenze, e quindi aperture, sia verso la scuola francese di Pascal e del giansenismo di Portroyal, Antoine Arnaud e Pierre Nicole, i più grandi pensatori giansenisti, Bossuet, autore celebrato, così come del Genovesi di cui possiede quasi tutte le opere come dell'illuminismo napoletano. Al contrario, come testimoniato anche dalla mancata soppressione, una forma di dinamismo sembrano possedere i conventi dei cappuccini di Sessa e quello di S. Reparata di Teano. La biblioteca cappuccina di Sessa che si conosce per la successiva soppressione posteriore all'unità italiana e i cui libri per la maggior parte sono divisi tra la biblioteca del liceo e quella diocesana, sulla metà del Settecento e andando avanti si arricchisce di volumi anche per l'opera di un buon bibliotecario come padre Antonino da S. Maria. Il nome si conosce dalle note di possesso dei volumi, scritte sulle guardie dei libri ancora conservati. Debbo dire in conclusione che di tutti i 526 volumi, a parte naturalmente quelli di interesse locale, dei quali molti non possiedo, mi piacerebbe avere nella mia biblioteca un libro che mi attrae molto già dal titolo. Si tratta dello Specchio dei mormoratori, [composto per il dottor Carlo Tapia: nel quale si discorre la gravezza del peccato della mormoratione, per li danni, che fà, e per li castighi, che Iddio gli ha dato, e si danno le regole per fuggirlo, e per non ascoltar li mormoratori. L'opera è della fine del Cinquecento e Carlo Tapia il suo autore non è certamente il marchese di Belmonte, reggente della corte della Sommaria agli inizi del secolo seguente. I mormoratori, in dialetto quelli che murmuleano, quegli infingardi che non avendo il coraggio di affrontare a viso aperto le questioni, ti parlano dietro, a voce bassa e spesso con intento malevolo. Piaga di ogni tempo e piaga delle nostre plaghe ancora oggi.

(da Il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 12 Dicembre)


Foto di Mimmo Feola

 

Foto di Mimmo Feola