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Indice Giampiero Di Marco
 
 

I "viaggi" delle streghe

 

C’erano una volta le streghe anzi nel secolo XVII ci fu sia in Europa che nell'America del nord una forte ripresa dei processi per stregoneria cui seguivano spesso, molto spesso, i roghi nei quali venivano bruciate queste donne. Perché soprattutto di donne si parla. I numerosi processi ci parlano anche di confessioni orribili, certo estorte sotto tortura. C'è una linea comune in queste confessioni, tutta una serie di cose come il sabba, la festa, il baccanale dove le streghe si recano in volo a cavallo della scopa, in Italia l'albero di noce di Benevento, poi nel Sabba l'unione con il diavolo rappresentato sotto forma di caprone e altre cose di questo genere sono confessate da tutte queste donne. Probabilmente i domenicani inquisitori per eccellenza seguivano un manuale negli interrogatori, avevano uno schema e quindi le confessioni tendono a essere uniformi. Un po' come quelle dei pentiti delle organizzazioni criminali o terroristiche che finiscono per dire quello che gli inquisitori già pensano di sapere e vogliono farsi confermare. Il manuale classico usato come guida era quello scritto da Nicolas Eymerich, famoso Inquisitore, autore del Directorium inquisitorum f. Nicolai Eymerici Ordinis praed. Cum commentariis Francisci Pegñae sacrae theologiae juris vtriusque doctoris. In hac postrema editione iterum emendatum & auctum, & multis litteris apostolicis locupletatum. Accessit haeresum, rerum et verborum multiplex, copiosissimus index, pubblicato anche Romae : in Aedibus Populi Romani, apud Georgium Ferrarium, 1587. Accanto a questo manuale a Napoli ci si poteva avvalere dell'opera di Pietro Piperno, de Magicis affectibus, libri VI, medice, stratagemmatice, divine, cum remediis electis, exorcismis, phisicis ac curiosis, et de Nuce beneventana maga, Neapoli, ex typis Jo. Dominici Montanari, 1635. Opera sempre letta e ricercata per la sua accuratezza era Disquisitionum Magicarum Libri sex , quibus continetur accurata curiosarum artium et vanarum superstitionum con futata, Venetiia, Vincentium Florinum, 1616 del famoso gesuita Martin Del Rio dove appunto vengono descritte quelle cose che venivano confessate sotto tortura. Ora ammettiamo pure che non è proprio comodo essere stesi sul letto di Procuste dove le corde legate alle mani e ai piedi permettono all'inquisitore che pone le sue domande aiutato dai suoi servitori di dare un tratto di corda quando le risposte non arrivano. Un tratto di corda, che bella espressione per dire che attraverso la corda vengono esercitate delle pressioni sempre maggiori sulle articolazioni della spalla e dell'anca come del ginocchio e del gomito per cui proseguendo, a forza di tratti, tutte le articolazioni si disarticolano, cioè le ossa escono dalla cavità acetabolare ad esempio dell'anca o dell'omero. Magari oggi qualcuno che soffre di schiena potrebbe trovare qualche giovamento dallo stiramento delle vertebre, ma non c'era da scherzare allora. Di fronte a questo letto di tortura non c'è neanche bisogno come dice Massimo Troisi in una sua famosa scena che ti torturino, basta che ti minaccino di torturarti. Massimo avrebbe confessato tutto, anzi glielo avrebbe scritto, e se non capivano gli avrebbe fatto un disegno. Ma prima di Massimo famosa è la reazione di Galilei che subito dietro la minaccia di ricorrere alla tortura rinuncia alle sue idee. Quelle povere donne avrebbero confessato tutto quello che l'Inquisitore voleva seguendo lo schema che prevedeva appunto il Sabba, la riunione sotto la noce di Benevento, la festa, il baccanale, il bacio dell'ano del diavolo, il caprone, la possessione diabolica, il vino nei calici, e la gozzoviglia, la messa nera, il sangue della vergine e chi più ne ha ne metta. Ma siamo veramente sicuri che sia tutto soltanto opera della tortura, che quello che veniva confessato erano solo divagazioni frutto della mente contorta degli inquisitori? Diamo un po' di credito a tutti questi onesti e castigati Predicatori che si dedicavano con tanto impegno alla sconfitta del diavolo. È molto probabile che le confessioni delle donne, contengano una certa forma di verità nascosta. Forse sono anche il racconto dei loro viaggi allucinatori provocati dall'uso di giusquiamo, stramonio, belladonna, verbena, arthemisia e altre sostanze, dei trip veri e propri. Noi oggi conosciamo l'effetto delle sostanze stupefacenti, forse dobbiamo ai viaggi con l'assenzio le poesie di Baudelaire e quelle di Apollinaire, così come forse dobbiamo all'LSD “lucy in the sky with a diamond” dei Beatles e anche “Imagine” di John Lennon, come sicuramente dobbiamo a qualche sostanza psicotropa le canzoni di Jim Morrison e l'allucinata e ossessiva “the end”. Non mi dilungo sulla letteratura fumata west coast americana, da “on the road” a Lawrence Ferlinghetti, a Bukowski perché il discorso ci porterebbe lontano. La farmacopea strigimagarum, cioè quel complesso oscuro di cui conosciamo poco ma che costituiva il bagaglio culturale, il background delle ricette delle streghe e dei maghi prevedeva l'uso di alcune erbe particolari. La prima di queste è l'Elleboro nero, conosciuto volgarmente anche con il nome di rosa di Natale. Questo serve anche tra l'altro alle streghe per incantesimi potenti, si crede che le renda invisibili, quando entrano nelle case per rapire i neonati che servono per il Sabba e le Messe nere. La verbena specialmente è stata molto usata dalle magare per ogni tipo di malattia. La verbena ha una lunga storia, era conosciuta e usata già dai sacerdoti Druidi nella Gallia per la cura di tutte le malattie. Veniva utilizzata dalle fattucchiere per annullare il malocchio e anche nella cura dell'epilessia, per l'itterizia e per i gonfiori di milza, per le malattie dei reni e anche per la terzana e quartana. Era efficace anche contro le febbri malariche e di altra natura. Veniva usata come febbrifugo. Anche lo speziale di medicina poi a qualche donna ne preparava un filtro d'amore, mettendo a macerare i petali con il miele in una coppa di vino per sette giorni, poi il composto veniva filtrato e dato a bere alla persona amata. La verbena era considerata da sempre come un simbolo magico, l'erba usata per gli incantesimi. L'altra erba magica, buona anch'essa per tutte le malattie, l'erba delle streghe per eccellenza era l'Artemisia absinthium, l'assenzio. Era usata per regolare le mestruazioni, per scacciare i diavoli e la jettatura, era chiamata dagli antichi che ne conoscevano le proprietà stupefacenti l'erba dell'oblio e anche erba santa. Buona nelle crisi epilettiche e nel mal di luna. Dall'assenzio si ricava un olio che risulta abbastanza efficace contro le febbri, nell'avvelenamento da piombo e anche nell'anemia ha un buon effetto. L'assenzio però causa allucinazioni, delirio e perfino la morte se uno ne beve grande quantità. Era detta anche erba del paradiso terrestre, i viaggiatori ne portavano in tasca una piccola quantità come forma di protezione durante il viaggio. Di sicuro la portavano con se i pellegrini sulla via di Santiago de Compostela. Appesa poi a mazzetti dietro la porta di casa costituiva una protezione contro i fulmini. Infine proteggeva le donne durante il parto. Altra erba terribile era lo stramonio o erba del diavolo i cui fiori si aprono di notte e hanno cattivo odore, si dice che è il cibo preferito delle streghe durante il sabba. Potente allucinogeno può essere mortale. Lo stramonio insieme alla belladonna e alla mandragora serve alle streghe per alzarsi in volo con la scopa per andare al sabba. Il giusquiamo è l'altra droga allucinogena capace di provocare convulsioni simili alla epilessia, delirio e perfino la morte se si esagera. Contiene scopolamina e quindi provoca perdita di controllo della mente, tanto da potere essere usato come siero della verità. Ha anche un discreto potere ipnotico. Il giusquiamo è alla base di molti intrugli fatti per i sortilegi, come ad esempio la mistura di giusquiamo, lauro e giglio con latte di pecora. Il tutto mischiato insieme e messo in una pelle di agnello, serviva alla strega per far perdere il latte a tutte le pecore del circondario. Tra queste erbe magiche infine è da ricordare la mandragora, la cui radice viene cercata nei cimiteri o come si vuole da alcuni ai piedi degli impiccati. La mandragora rende invisibili ed è usata dalle streghe per entrare nelle case a rapire i neonati. La radice a volte ha una forma simile al priapo, è un narcotico e anche velenoso, di odore nauseabondo che procura malessere e allucinazioni. Usata a volte anche come afrodisiaco. Quella delle erbe era una conoscenza, se non una scienza, usata dalle fattucchiere che numerose ci campavano all'epoca, come in tutte le epoche. Intanto come si può notare la differenza tra la farmacopea delle streghe e quella ufficiale è minima e anzi se si deve fare una scelta, colui che vi sta facendo conoscere questa storia propende personalmente a favore delle fattucchiere che in genere usano le erbe e non tutte le diavolerie anche ributtanti della spezieria dell'epoca che ha commercializzato ogni tipo di deiezione umana e animale, tra l'altro completamente inefficaci. Inoltre la conoscenza delle erbe viene alle fattucchiere da una antica cultura. Le streghe, come anche le chiamano, sono le donne che aiutano a partorire e poi assistono le mamme, conoscono i rimedi per inciarmare i dolori di pancia del lattante, per scacciare i vermi, per le piccole affezioni quotidiane. Chi non conosce il prezzemolino al culo del lattante? Soprattutto non costano molto, le fattucchiere si accontentano di una regalia, mentre medico e speziale hanno un costo che la gente del popolo in genere non si può permettere. In un'epoca misera come quella, il popolo ricorre agli stregoni e agli sciamani, alle fattucchiere e agli acconciaossa. Questi soltanto sono i loro medici. Certo ogni tanto una strega bisogna bruciarla, fosse anche come una forma di sacrificio, offerto dalla comunità al dio di turno per ingraziarsi un propizio raccolto Anche l'uso di queste sostanze stupefacenti viene da lontano, nelle religioni misteriche, da quelli eleusini a quelli orfici e dionisiaci, dai misteri di Iside, alle Baccanti, leggere a proposito l'opera di Euripide, alla Pizia dell'oracolo, è diffuso l'uso di sostanze stupefacenti che danno la trance e la conoscenza. Le donne di cui stiamo parlando sono anche la patente dimostrazione della persistenza, a distanza di così tanti secoli, di forme di paganesimo mai definitivamente scomparso e legato soprattutto al mondo contadino, che resta tribale e di antichi riti legati al culto di Diana. Le streghe da noi si chiamano janare, cioè dianarie, e non sono altro che le eredi spirituali delle antiche sacerdotesse di Diana, che è anche Ecate, lunare dea della notte, ma anche Lucina, la dea che assiste ai parti che porta alla luce. La luce è la luce della conoscenza, quella degli illuminati, coloro che più sanno, e che forse questa conoscenza hanno tratto da sogni e allucinazioni fatte e avute sotto l'influenza di qualche droga potente. Il trip di qualcuna di loro che ha sognato di volare, che poi sappiamo da Erica Jong il significato sessuale del volo, a cavallo di una scopa, altro chiaro simbolo fallico e di essersi trovata in una valle ubertosa con acque che scorrono, altro simbolo sessuale che allude all'organo femminile, in un'orgia liberatoria di cibo e di sesso, ebbene questo racconto magari estorto sotto tortura è stato poi abbellito, arricchito di mille altri particolari da altre donne, che sempre sotto tortura confermavano anche loro di essere andate al sabba. I pazienti domenicani che interrogavano, trovavano conferme convergenti alle loro precedenti informazioni e andavano avanti con nuove confessioni sempre più particolareggiate. Questo in sostanza è quello che tutta questa storia ci vuol dire.

Giampiero Di Marco
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 10 Ottobre)