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Indice Giampiero Di Marco
 
 

Un inedito di Michele Broccoli. La statistica di Vairano

 

La nascita di un Servizio di Statistica si deve alla rivoluzione francese.
Nel Regno di Napoli la necessità di conoscere le condizioni economiche del paese erano state sostenute già da Antonio Genovesi (1713-69) nella memoria: Altro ragionamento sopra l'agricoltura, quando l'abate ipotizza la costituzione di una scuola d'agricoltura e un'accademia composta di membri appartenenti a tutte le province del regno che abbia e si assuma il compito di scrivere la storia naturale del regno.
Genovesi si dilunga ancora sull'argomento chiedendo che in questa inchiesta vengano descritti i metodi di coltivazione dei cereali, l'olio, le piante e gli alberi fruttiferi, il vino, gli animali, il luogo dove nascono, le qualità della terra, il tempo proprio a ciascuna lavorazione, le regole, le macchine e gli strumenti usati, la quantità dei prodotti.
Uno dei primi studi fatti in questo senso è quello di Giuseppe Maria Galanti con la sua Descrizione geografica e politica delle Sicilie (1794-96).
Tra i primi ad interessarsi di Statistica nel regno di Napoli fu Luca de Samuele Cagnazzi (1764-1852), arcidiacono di Altamura, poi professore di Economia politica nell'Università degli studi di Napoli.
Con il passaggio del regno di Napoli a Giuseppe Napoleone, prima, e a Gioacchino Murat, poi, e in conseguenza dell'estensione del Codice napoleonico alle province meridionali, si prescrive la nomina in ogni Comune di un funzionario per la tenuta dell'Anagrafe civile, atti di nascita, morte, matrimoni.
Il decreto del 1808 prescrive l'obbligo di tenere tavole annuali e decennali della popolazione. Ogni anno deve essere censita la popolazione comunale.
Nel 1809 viene istituita una Officina di Statistica che conserva i prospetti pervenuti e ad essa viene preposto proprio il Cagnazzi. Nel 1813 viene istituita la Commissione per il Censimento della città di Napoli.
Già nel 1806 a Napoli era sorta una Real Società d'incoraggiamento delle scienze naturali, che si prefiggeva lo scopo di studiare la storia naturale del regno.
Da questa società viene elaborato un questionario in quattordici quesiti nei quali si invita a rispondere sulla qualità e forma del suolo, meteorologia della regione, quantità e qualità delle acque correnti, utilizzazione delle acque dei fiumi, torrenti, laghi, paludi e mezzi per disseccarle, acque piovane, produzioni, piante, insetti, animali selvatici, metodi di caccia e pesca. Il questionario però non ebbe particolare seguito, anche perché la Società viene messa in ombra quando nel 1808 si fonda la Società Reale di Napoli di Scienze, filologia e arti. Con l'ascesa al trono di Murat, gli scopi della Real Società d'incoraggiamento vengono ripresi direttamente dal governo che non solo ne attua le direttive, ma riesce anche ad avviare la prima inchiesta ufficiale sul regno di Napoli.
Organizzatore della Statistica è ancora il Cagnazzi, che viene incaricato della direzione dell'Ufficio di Statistica dal ministro Zurlo.
Con una circolare del 15 maggio 1811 gli Intendenti provinciali vengono incaricati di proporre tra le persone delle Società di agricoltura o anche fuori di esse i redattori di ogni provincia. Questi sono incaricati di rispondere ai seguenti quesiti: Natura del suolo e del clima, Popolazione, Pubblica sussistenza e conservazione della popolazione, Agricoltura e pastorizia, Arti e manifatture. Alla fine di maggio le istruzioni e le domande sono stampate e i questionari inviati in tutte le Università.
Ai redattori viene assegnata una gratifica mensile di 25 ducati, di cui 10 per indennità di spese. Gli intralci non furono pochi, la brevità del tempo assegnato, la mancanza di strumenti per le rilevazioni orografiche e meteorologiche, la lentezza a rispondere da parte dei corrispondenti, la necessità di indagini più approfondite sulle acque.
Solo da poco tempo del resto si era data alle stampe la cartografia del regno commessa a Giovanni Antonio Rizzi-Zannoni, uno dei maggiori geografi e astronomi del tempo.
Celestino Ricci riduce in questo periodo la carta del regno di Napoli in 14 piccole carte di più comodo uso.
Nell'ottobre del 1812 fu pronta appena la stesura della prima Sezione della Statistica e passarono ancora tre anni per avere la terza.
Dovunque furono nominati redattori dei privati cittadini, tranne che a Napoli dove viene incaricato ufficialmente l'Istituto di incoraggiamento.
Questo al suo interno ha una Commissione di Statistica della quale fanno parte tra gli altri: Aurelio Alessio Pelliccia, lo storico casertano Francesco Daniele, l'abate Romanelli, il geografo Rizzi-Zannoni, Michele Tenore, Pietro Napoli Signorelli, Giovanni Battista Gagliardo, Vincenzo Cuoco, Luca de Samuele Cagnazzi, Giuseppe de Cesare, Davide Winspeare.
Redattore per la Provincia di Terra di Lavoro fu nominato il canonico Francesco Perrini, membro del Consiglio generale della Beneficenza della Provincia di Terra di Lavoro e socio corrispondente della Commissione di Agricoltura. Nel 1812 il Perrini chiede una prebenda teologale vacata nel capitolo metropolitano di Capua senza essere sottoposto a concorso perché occupato alla Statistica e non ha il tempo di prepararsi. Fu anche Vicario capitolare della Arcidiocesi di Capua.
Quali erano e quanti i quesiti cui dovevano rispondere le singole province?
Si legge in un documento che risale al 1815 che la compilazione della Statistica era stata divisa in sette sezioni: Suolo e clima, Popolazione, Pubblica sussistenza e conservazione della popolazione, Agricoltura e pastorizia, Arti e manifatture, Commercio interno e esterno, Istruzione, costumi, abitudini e spirito pubblico.
A quell'epoca si erano già avute le risposte delle prime cinque sezioni, delle altre due il Commercio era sottoposto ad enormi vincoli, e anche per l'Istruzione non era compiuto il sistema. Nel 1811 gli Intendenti furono incaricati di proporre i redattori e gli estensori delle risposte per le singole Università tra le persone delle Società di Agricoltura, e di nominare un redattore statistico in ogni provincia.
Francesco Perrini redattore per Terra di Lavoro lamenta che sempre nel 1811 da parte della Società Agraria che era stata chiamata a contribuire alla stesura dell'inchiesta non è stata rimessa alcuna memoria e solo tra i suoi soci Nicola Pilla di Venafro ha presentato una giudiziosa statistica su la valle di Venafro, dal distretto di Gaeta ho ricevuto una sola memoria che si restringe al circondario di Traetto.
Solo nel mese di ottobre 1812 fu pronta la stesura della prima Sezione e passeranno ancora tre anni per completare la terza. Nel 1817 viene approntata dalla Società economica la sola prima parte della Sezione quarta, e l'anno seguente la seconda parte.
Oltre al nome del Redattore provinciale della Statistica per Terra di Lavoro, Francesco Perrini, si conoscono anche i nomi di alcuni redattori locali tra i quali Nicola Pilla per Venafro, Francesco Antonio Notarianni di Lenola per il comprensorio di Gaeta, Vincenzo di Lorenzo per Sessa, Gennaro de Quattro per il circondario di Teano, il canonico e storico Michele Broccoli per Vairano, Fabrizio d'Amore per Roccamonfina, Michele Fusco per Mondragone, ed altri ancora come Filippo Duratorre di Castelforte, Francescantonio Notarianni di Lenola illustre scienziato e celebre medico della Campania Felice come viene descritto da Giovanni Sannicola.
Notarianni relaziona sulla struttura fisica e socio-economica di Gaeta, Fondi e Sessa.
Nicola Pilla redattore per Venafro aveva scritto nel 1795 un Saggio litologico su i vulcani estinti di Roccamonfina, Sessa e di Teano. Michele Broccoli è uno storico molto noto in seguito ma, al tempo, ha pubblicato da poco i Discorsi di varia letteratura in due volumi, degli altri redattori si conosce poco o niente(1).
Le relazioni generali provinciali sono state pubblicate a cura di Domenico de Marco in quattro ponderosi volumi stampati dall'Accademia dei Lincei.
Le relazioni locali sono sempre di grande interesse e di esse soltanto qualcuna è nota.
Il ritrovamento nell'Archivio Broccoli giacente presso la Biblioteca del Museo Campano di alcune relazioni locali redatte per la grande Statistica del regno offre la possibilità di aggiungere ancora qualcosa alla conoscenza di questa inchiesta. Qui si presenta la Relazione inedita fatta da Michele Broccoli per il circondario di Vairano, mentre ci ripromettiamo di pubblicare quella molto più ponderosa e interessante di Gennaro de Quattro per Teano. Broccoli si era prodotto anche in precedenza con un interessante saggio sull'Agricoltura, che apre il secondo volume dei suoi Discorsi di varia letteratura, pubblicato a Napoli, nel 1807 per i tipi di Angelo Coda(2). In esso il canonico sulla guida della lezione del Genovesi si dilunga in special modo sulla coltivazione del grano, e sulla sua conservazione, continuando poi attorno al miglioramento della coltivazione, concimazione e rotazione delle colture, la triplice pastinazione, la scelta dei semi e via dicendo. Molto probabilmente per questa sua opera divenne il socio corrispondente della Società di Agricoltura e venne incaricato di redigere la Statistica per il circondario di Vairano. Si ricorda che negli stessi anni 1804-07 e per gli stessi tipi di Angelo Coda era stata pubblicata in venti volumi la Biblioteca di campagna ossia raccolta di memorie, osservazioni ed esperienze agrarie compilate da Giovan Battista Gagliardo, il più grande scrittore di agronomia del Regno di Napoli(3). Il gioiellino che si presenta qui costituisce una vera perla di questo tipo di letteratura didascalica e rappresenta comunque una descrizione del territorio in questione.

Da Vairano il 10 dicembre 1811(4).

La estensione territoriale che mi si commette rediggere, ella si restringe dentro una linea che partendo dall'osteria di Torricella, sale per la montagna della Rocchetta e per la cima di Montemaggiore dal lato orientale di S. Croce, e Rocca Romana si dirigge verso il Volturno. Da questo punto retrocedendo va per la grande strada a chiudersi di bel nuovo a Torricella. Pare che la sua figura resti quella di un triangolo equilatero. La sudetta estensione abbraccia in se sei non grandi Comuni. Riardo, Pietra Melara, S. Felice, Pietravairano, Vairano e Marzanello tutti componenti il numero non più di settemila anime circa. Niuna delle sudette Comuni ha una posizione locale in perfetta pianura. Perloppiù dall'alto scendono alla base come per un piano inclinato. Ammeno di S. Felice e Marzanello che hanno abitazioni sopra colline bastantemente elevate. Il suolo è generalmente piano. A Mezzogiorno queste comuni han Montemaggiore, e il Trebolano a Settentrione. Monti di mole ragguardevole. Questi stessi prendono denominazioni particolari dal luogo, dalla figura o altra circostanza. Difatti il Trebolano non presenta che un gruppo di varie colline a forma triangolare. V'han pure de' monti isolati. Son tali il Monticello a Pietramelara, la Petrosa tra S. Felice e Pietravairano, la Verdesca a settentrione tra Vairano e Pietravairano, Cajerola e S. Angelo tra Vairano, Pietravairano e Marzanello. Il loro colore è verde bruno, quasi sempre a cono troncato nelle loro figure. Son vestiti d'erbe, felci, querce e castagne che ad onta di qualunque rigida stagione non sfrondano mai. La montagna così detta di S. Angelo alla parte di Mezzogiorno è nuda, né vi allignano degli alberi. Alle falde vi si è sperimentato la piantaggione degli ulivi, ma non con grande successo. La loro interna figura è tutta di natura calcarea interamente. La loro altezza perpendicolare non è più di tre stadi dal suolo. Presso a poco la stessa dal mare. In queste montagne vi allignano molte erbe spontanee buone per pascolo d'animali grossi e per la gregge minuta. Vi si trova pure il cisto, il ginepro, il lentisco. Valevole il primo a detta di Muller e Tissot a consolidare le piaghe e ne' flussi disenterici, il secondo a confortar lo stomaco, usato l'ultimo come un astringente e fortificante e conosciuto altresi come dentifricio. Il suolo perloppiù è granitoso, ma di secondaria origine. Il terreno che lo copre in parte argilloso dove è alto tre, dove cinque 'palmi. L'agricoltura in questi luoghi non ha di che invidiare i più bei luoghi di Terra di Lavoro. La raccolta è ben fertile e mai l'industre colono viene defraudato dei suoi penosi sudori. Il terreno è capace di qualunque produzione grani, granone, biade, legumi, canape, vini, oli, bambagia son de' prodotti ordinari che corrispondono in ragione diretta del travaglio e concime. Si è sperimentato la semina ad acino e pollicando, e come questi villici pregiudicati han ben capito che sia meglio seminare a questa guisa che alla solita a getto. La piantaggione degli ulivi era qui trascurata. Quest'albero in oggi adorna molti poderi de' nostri proprietari. Non si aveva idea di giardini ad acqua. Presentemente non vi ha più bisogno che l'estraneo venghi a portare ai naturali del luogo a ben caro prezzo della verdura. A buon conto il contadino vuol l'esempio. Se a ciascun paese fosse toccato in sorte un persona che incominciasse, si avrebbe per arte quell'individuo che saprebbe pur troppo consultare agli altrui e propri vantaggi. Paesi come dicevamo che distano tre, quattro, cinque miglia, gli uni per gli altri, han acqua differentissima. Vairano e Marzanello solo ne hanno una mediocre che sia e ben pura e sufficiente alla intera popolazione. Pietravairano non ha che un solo pozzo, e l'acqua di sua natura pesante ha le qualità opposte, cioè di essere impura, non trasparente, non semplice, avente colore, odore e sapore. Gli altri comuni han serbatoi di acque piovane contenente spezie infinite di materie eterogenee. S'industriano di purificarla dimenandola con lunghe pertiche e nella state v'immergono della neve a renderla men calda del solito. Così Pietramelara, questo stesso comune ha de' pozzi e sorgive nel basso, tuttavia l'acqua di un color verde, amaricante si proibisce fin anco agli animali. Bisogna essere sinceri. Niuna analisi si è fatta delle sudette acque. Del resto filtrata come si vuole l'acqua piovana deporrà sempre delle fecce. Scorrono per queste campagne de' non pochi rivoli al comodo del gregge. Se non che l'acqua ne viene infetta per la maturazione del canape, al cui uso si destina nella stagione. Grande detrimento generalmente pel bestiame, che è obligato di berne. Tutti questi rivoli non sono che il risultato delle acque, geli, e poca neve che nell'inverno si fan vedere alla vetta de' nominati monti, e di quei del circondario. Queste acque è vago marcarsi, che son poco sufficienti ciascuna ad animar macchine qualunque e specialmente molini. Se vi sono in parte dell'anno restano inattivi. Così è Vairano, così Pietravairano. E quantunque questi due comuni venissero lambiti rispettivamente dal fiume Volturno, pure questi al posto di recarli benefizio, li porta del nocimento. Vairano avea un mulino, che riceveva il suo moto da un torrente che proveniva dal Sesto. Perché contiguo al Volturno, tempo è stato che il fiume ha riunito col torrente il suo letto. Pietravairano aveva formato un picciol canale dal Volturno stesso per due suoi mulini. Or siccome placido dona loro la esistenza, così colle frequenti sue alluvioni, si riprende ciocchè gli fu tolto. In Settembre corrente anno ha avuto un incremento sopra i venti palmi sulle vicine campagne. Questo fiume è solamente guadabile né punto atto alla navigazione, ecco l'amnique vadosi accola Vulturni di Virgilio!
E questi rivoli e questo fiume forniscono agli abitanti de' schiami vari, e lose, pesce sciapitissimo. Per l'opposto somministra delle ottime anguille, degli eccellenti capitoni, delle ben grosse ma rare trotte. Vairano e Riardo han solamente laghi. La profondità del secondo è molto maggiore del primo, come altresi è la circonferenza. Niuno per altro che mi sappia l'ha potuto scandagliare. Vi han de' capitoni di una grossezza straordinaria. Escono volentieri ne' fossi contigui nell'epoca della macerazione de' canapi, al cui uso inserve. La scossa del 1805 ne fece uscire aldilà di quattro cantaia. Il loro sapore per altro non è grato, e sono pure di una durissima digestione. Sarebbe un burlarci voler asserire che questi laghi non contaminino per poco la salubrità dell'aere. È vero che son situati, quello di Riardo al basso, mentre l'abitato è in posizione ben alta, è vero che quello di Vairano quantunque a livello del comune, pure i suoi vapori vengono intercettati da una selva baronale, tutto vero, ma è verissimo che cotesti vapori non sono delle grandi moli, che là dovessero necessariamente urtare tradizioni corre, che il lago di Vairano là ove di presente offre il suo bacino, non fosse altra volta che una osteria subissata. Non lieve conghiettura ne sono i ruderi che nel tempo estivo s'incontrano da qualche nuotatore, che ad oggetto del canape vi si tuffa. Il lago di Riardo potrebbe disseccarsi. L'ex barone del luogo lo tentò anni dietro, ma sgomentato poscia dalla non picciola spesa desistè dall'impegno. Non così quello di Vairano. I fondi laterali son più elevati di quello non sia la posizione del lago. Pare difficile potergli dare un declivio bastante. Per me fuori dubbio, si crede impossibile, portando opinione, che sia stato in origine non conseguenza di acque circostanti, o piovane, ma piuttosto effetto di un violento scotimento di terra. Non è la prima volta, che la storia e i fisici ci narrino somiglianti avvenimenti. Questi laghi e specialmente quello di Vairano contenendo nelle loro acque del non poco gas azoto e gas acido carbonico, desso portato dai venti boreali, che sovente soffino nella stagione deturpano non poco l'atmosfera. In tutto questo tratto di suoli, non avvi che una sola sorgiva di qualità rimarchevole. Ella è dappresso Riardo sull'est di Teano. La sua acqua è carica di gas [septonico] e poca porzione di ferro. Molti scrittori si han presa la pena di parlarne e decantarla. A me che non sono della professione è proibito affermare chi di loro abbi meglio analizzato. Son certo però che sicuramente sia della natura delle acidule. Si vuol soltanto disputare se contenga o no qualità ferree. Gli accagionati di ostruzioni umide e viscerali ne fanno uso con successo, come dunque non contiene porzione almeno poca di ferro. Le malattie endemiche o costituzionali per questi luoghi per la state sono le gastrobiliose, come si disegnano da medici prattici e per che l'aria in quella stagione scarsa di gas ossigeno e pregna di gas acido carbonico, che fa di spesso degenerare le suddivisate malattie in tisi lenti-nervose. Nelle altre stagioni regnano le malattie ipersteniche individuate da' prattici cogli epitteti di pleuritide, peripneumoniae. È da osservarsi colla medesima considerazione, qui si ha il barbaro costume di portare nell'abitato una quantità non indifferente d'animali, depositando questi grandi masse di stabio fanno respirare molte materie eterogeneee date in preda alla putrida fermentazione. Tre danni ne vengono in seguito da sì pessima usanza. Una è che gli animali, che dalla campagna debbono tragittare nel paese, dopo un miglio, chi più, chi meno di cammino, han di già digerito il pasciuto e questo ferisce direttamente la pastorizia, il secondo si è che questo stabio, resterebbe nelle campagne e ne proverebbe grande avvantaggio l'agricoltura, il terzo in fine si è che resta non poco contaminata l'aria da' grandi mucchi di letame giacenti nelle proprie abitazioni, non che da quello che viene depositato nelle strade interne. Il governo si dovrebbe non poco affaccendare per togliere tantosto sì pestilenziale abuso. La proibizione degli animali nell'abitato, la macerazione del canape nel lago e la immissione di questo non maturo nel comune, son di quelle cose, che un occhio veggente non soffri troppo a buonincuore ed io francamente affermo che la malsania d'aria che si attribuisce a Vairano non è punto naturale, ma tutto tutto dall'avventizio. Pietramelara offre pure alla considerazione de lettori un suo così detto Pantano. L'è di circa venti moggia, queste nell'inverno si empiono a dirittura d'acqua più o meno in ragione delle pioggie, formando una specie di lago. Nell'estate si dissecca totalmente e i massari che alloggiano, ne respirano aria non troppo sana. Si è procurato con de' gran fossi farvi ristagnare il meno che si può di acqua, ma tutto si è pratticato inutilmente. Nel mezzo ha un bacino che è come un serbatoio dell'acqua piovana e di quella che vi scorre dal vicino Monticello. La maggior parte di queste acque son diggerite da una gran fossa ch'esiste quasi nel mezzo. È così detta la fossa di Bencivenga. Si dice, che tutta la detta acqua per condotte sotterranee si versi nel fiume di Capua. Una grande e profonda buca sistente circa un quarto di miglio lungi dal sudetto Pantano di dove si fa vedere correre molta quantità d'acqua, ha fatto dire che fosse appunto quella del Pantano. Si aggiungono ancora che sommerse in detta bocca de piccioli sassi incisi con cifre particolari, questi siansi visti poscia al Volturno. Disseccata l'acqua nella stagione estiva, vi si raccoglie eccellente fieno ed in abbondanza. L'atmosfera di questi paesi è per loppiù serena. Orizzontati ordinariamente a Levante, Mezzogiorno e Ponente si gode dell'avvantaggio del sole. Sul mattino nella Primavera e nel Verno dopo le lunghe pioggie si veggia delle nebbie al piano de' nostri terreni, queste però non s'innalzano a segno da nuocere all'aria respirabile né durano più d'un'ora ordinariamente. Le ruggiade sono più abbondanti in Primavera. Questa stagione dà maggior provvisione di vapori, in pronto è il verno ne consuma pochi col freddo e gelo. Appunto come le ruggiade di Egitto, delle quali discorre Plinio. Qui le brine non sono nocive, nella Primavera, ed està son più abbondanti, ma niun danno ne risentono le raccolte. Niente vi ha che ci desti l'idea di vulcano. Non lungi da noi, ma in altra linea di quella, che ci si ordina rediggere ve ne furono non pochi. Tali sono monte Friello, monte de' Lattani, monte Cannito, monte di Casi, monte Luccaro siti nel circondario di Teano e Roccamonfina. Si può francamente asserire in quaranta giorni dell'anno qui si ode il Tuono, più a raro si veggono i baleni. Rarissimamente cadono de fulmini, e a vita d'uomo non si contano, che de pochissimi individui leggiermente offesi o morti. Le nostre campagne abbondano di lepri, volpi, e topi. Questi ultimi sono pregiudiziali non poco de' seminti bisognerebbe metterli a prezzi per sterminarli. Gli uccelli, che si vivono tra noi son le passere, i merli, i colombi selvaggi. Sulla cima di qualche montagna non rare le pernici. Gli emigranti son le rondini, le quaglie, le cornici. Vengono le prime ne giorni di Primavera, e ne partono i principi di autunno. I secondi vengono ad ottobre e trasmigrano alla fine del verno. Col più vivo interesse si sperimentano nocive all'agricoltura le passere e le cornici. Per distruggere le prime vi vorrebbe la così detta caccia del diluvio. Si allontanerebbero le seconde se in tempo delle semine vi fossero delle guardie rurali che aggitassero l'aria con strepiti durante lo sviluppo delle biade. Delle cose alle quali parrà ai rispettabilissimi Accademici non aver dato risposta, son quelle che in questi luoghi la natura non ha dato a marcare agli indagatori. Delle altre sembrerà forse non aver distinto in capitoli particolari, si troveranno biuttte a dir così nel riscontro d'aòltri quesiti. Dopo queste riflessioni, non mi resta che a chiedere a gente sì colta quel dovuto perdono che si bene si suol accordare a persone che direttamente vi appartengono.
Sono con tutte considerazioni l'amm. Corrispondente Michele Broccoli.

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Note
(1) - Sulla figura di Broccoli, cfr. il mio Cenni di bibliografia e storiografia teanese in età moderna, <<Civiltà Aurunca>>, 33, 1996.
(2) - Broccoli M., Discorsi di varia letteratura. Parte seconda, Napoli, presso Angelo Coda, 1807, pp. 5-79.
(3) - Gagliardo G. B., Della agricoltura di Sessa, a cura di di Aldo di Biasio, Minturno, Caramanica ed., 1995.
(4) - Archivio Museo Campano, Carte di A. Broccoli, busta 476, fs. 3.

 

Giampiero Di Marco
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 11 Novembre)