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Storia d'amore e di stornelli

 
Completiamo in questo numero la pubblicazione di stornelli nati dal folklore popolare delle nostre frazioni e tramandati da generazioni.
 

Era una bella domenica d'aprile.
Gli alberi erano una gioia per gli occhi con tutte quelle pennellate di colore.
La campagna sembrava si fosse vestita a festa anch'essa per l'occasione: quel giorno si sposava Mariarosa con Antonio.
Il giomo prima le aveva dato una grande gioia manifestandole tutto il suo amore dicendole queste parole:

Quannu ce vai a la chiesa a spusà
Ri giuvini fannu largu e vui trasite
Quannu l'acqua santa ve pigliate
Ncoppa a stu biancu pettu la mettite
Quannu pe la chiesa camminate
Rate ru passu puntatu e pulitu
A cchella seggia addù v'assettate
Na testa re garofinu parite
A cchigliu postu addù v'addenucciate
Sorge na funtana d'acqua viva
Quannu ru primu raru vui saglite
Cu ri bell'occhi la porta rapite
Quannu ce ate a lettu a ripusà
Gli angiuli torno torno e vui durmite
A cchella finestra addù v'affacciate
Lu sole 'mmiezu ll'aria ntrattenite

Quella notte Mariarosa non era riuscita a prendere sonno per l'emozione e per tutto il tempo aveva pensato al giorno successivo quando finalmente avrebbe coronato il suo sogno con Antonio.
Ormai erano lontani i tempi in cui aveva sofferto per colpa di una sfrontata che aveva cercato di rovinare il suo rapporto col suo innamorato o quando il suo cuore palpitava per la lontananza di un soldato che in tutta fretta era dovuto partire per una destinazione ignota con lo spauracchio di un fronte per fortuna mai raggiunto.
Adesso era il tempo della felicità.
L'indomani avrebbe sposato davanti a Dio Antonio e si sarebbe legata a lui indissolubilmente.
Senza accorgersene si addormentò e si svegliò che il sole era già sorto.
In tutta fretta si alzo e si vestì. Giù l'aspettavano per aiutarla a prepararsi.
Le sue amiche, vedendo i suoi occhi raggianti ma pieni di lacrime per la commozione le dissero:

A cchella sposa ce ri ve ru piantu
Quannu se vere 'mmiezu a tanta gente
Va ru spusu e se r'assetta affiancu
“statte zitta che ch'essu n'e niente”
Se sparte ra la mamma e ra lu patre
Corre a ru bracciu re lu suou maritu
Faccete a la finesta ra cucina
Salutatecce cu le tue cumpagne
Semm'arrivati a li palazzi santi
Teli saluto ra li peramenti

Mariarosa si asciugò le gote con una cocca del grembiule e pensò che la vita in fondo è fare i passi a cui siamo destinati e pensare al futuro con desiderio.
E se ci voltiamo indietro dobbiamo farlo con la nostalgica fermezza di chi sa che comunque non si abbandona mai il passato perché esso palpita in ogni fibra del nostro essere.
Per un attimo ricordò gli inizi quando suo padre geloso di lei non acconsentiva al suo amore:

Quantu su belli sti occhi re pernice
Cumme ciolimm'amà se a Dio piace
La vostra mamma tantu che ne rice
A lu vostru padre ce ne respiace
Te prego, ninna mia, lasseri rice
Ca vè nu juornu che s'anna fa capace

Poi la gioia di condividere le stagioni della vita con Antonio ebbero il sopravvento, dimenticò ogni altra cosa e si lasciò aiutare nei preparativi di rito.
Travolta dall'emozione negli anni successivi non ricordò quasi niente di quella giornata: solo lo sguardo di Antonio quando la vide entrare in chiesa vestita unicamente del suo candore.
Quello sguardo non lo dimenticò più.
Cera in esso tutta l'attesa, il desiderio, lo struggimento, l'impazienza, la passione di coronare un sogno vagheggiato da una vita.
Quando la sera furono soli con il loro amore udirono una voce che però Mariarosa riconobbe all'istante:

Cumpietti cumpietti
Tutti e dui rend'a ru liettu
Tanti anni ce pozzenu sta
Finchè se pozzenu nfracità

Ma nessuno dei due se ne preoccupò.
Quel momento anelato se lo erano conquistato con la pazienza e la tenacia e niente e nessuno sarebbe riuscito a scalfirlo.
Per loro iniziava, quel giorno, la meravigliosa difficile avventura di una vita nuova.

Esterina De Rosa
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 1 Gennaio)