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Sant'Antonio, Dracula e Teano

 

Luce, luce lontana che si accende e si spegne
quale sarà la mano che illumina le stelle.
(F. de André, “Ho visto Nina volare”)

Avevo pensato, a corto di argomenti, a maggio, proverbiale mese in cui secondo un detto popolare dovrebbero ragliare gli asini, di confezionare un pezzo sulla festa del Taumaturgo portoghese, alias S. Antonio, le cui processioni straripano di fedeli, estimatori, devoti del grande Santo che adottò Padova come luogo per l'estrema dimora del suo corpo mortale. Ma mi sembrava privo di mordente e smalto. Oltretutto con Guido 16 anni fa scrivemmo a quattro mani uno studio sul santuario e il relativo convento, ravvisando che gli storiografi nostrani, a parte qualcuno che ne parla molto marginalmente, avevano trascurato tale assunto per motivi che mi sfuggono. Ma la cosa non mi attizzò. Scrissi però l'articolo, ma preferii, per il momento, accantonarlo in favore di questo.
Risolsi ancora di ripiegare su un'escursione transilvanica alla ricerca del Dracula storico, di cui hanno scritto compiutamente ricercatori rumeni (Radu Florescu e altri, anche stranieri, di cui misericordiosamente vi risparmio i nomi). Martino ne era entusiasta, affermando convinto che la cosa avrebbe galvanizzato i lettori del periodico. E molto anche. Gli storici che si interessarono al Dracula reale si sono trovati a esaminare infiniti resoconti delle sue atrocità, parecchi dei quali derivano da pregiudizi e superstizioni al pari dei racconti e delle leggende orali rumene che lo esaltano come eroico salvatore della Patria, erigendogli addirittura un monumento. In breve il principe valacco Vlad Tepes detto Drakul, appartenente all'ordine cavalleresco del drago, per motivi logistici e di guerresca opportunità, i Turchi incalzavano, con il tempismo proprio di Annibale e Giulio Cesare si trasferì al Nord per diventare leggenda. Tale argomento seppur coinvolgente mi sembrò troppo fuorviante da ciò che avevo promesso a Guido, straordinario amico e sodale. Avrei dovuto tentare di non uscire dal seminato, in altri termini non abbandonare gli argomenti relativi a Teano e ai Sidicini in favore di altri più elettrizzanti o più facili. Guido, ed era l'obiettivo principe della sua vita e delle sue memorabili imprese di Sidicinologo di frontiera, si proponeva in perfetta concordanza con lo scrivente di diffondere il più possibile, anche in chiave ironica o ludica, interesse, amore e conoscenza per Teano, attraverso lo scrivere libri insieme o separati, montare mostre, perseverare in iniziative di vario tipo, lavori manuali inclusi: vedi allestimento della cripta di S. Paride primo tentativo per la costituzione di un museo vescovile, esistente oggi solo sulla carta. Trasferimento delle tre pregevoli pale di altare dai Cappelloni in disfacimento al più accogliente salone dell'episcopio, dove ora giganteggiano sovrane. La fondazione del Gruppo Archeologico Sidicino scorporandolo da quello aurunco grazie alla cortese disponibilità del suo direttore, prof. Antonio Marcello Villucci, quintessenza vivente di una dismagante auruncità. Avemmo parte non marginale, ma sempre discreta e silenziosa, come nostro stile, e per il museo e per l'Annunziata con relativa biblioteca, infelicemente ancora esigua nel suo corredo librario. E così con altri amatori di Teano e dei suoi Sidicini , con la preziosa e delicata assistenza del dottor D'Amore più il supporto decisivo di don Arturo Zanni, emerito custode della soprintendenza archeologica e stretto collaboratore del grande archeologo Werner Johannowsky di venerata memoria, recentemente cittadino onorario di Teano, recuperammo diversi pezzi di indiscutibile valore estetico e documentale, che ora albergano in bella vista nello struggente, per bellezza e sapienza espositiva, museo archeologico. Saggi di superficie realizzammo all'Annunziata sempre diretti e sostenuti dal disponibilissimo ispettore archeologo D'Amore. Incoraggiati da un elettrizzante sindaco nella persona dell'indimenticabile direttore Maglione, giubilato poi ingenerosamente dai suoi compagni di corsa che ancora imperversano, imperturbabili Dracula contemporanei, in tutte le tornate elettorali. E riescono pure con incredibile faccia di bronzo a farsi eleggere in maggioranza o in minoranza. Suppongo che desisteranno, insieme ai loro insonni sottopifferi, solo giunti alla veneranda età di Matusalemme. In tal modo recuperammo fortunatamente un cospicuo frammento della lapide del poeta Tansillo, ora incastrata, senza uno straccio di targa esplicativa, nella sala Dante della casa comunale con un altro pezzo sempre afferente alle onoranze lapidee al poeta. “L'anello mancante” lo ritrovammo molto tempo dopo in un angolo remoto della biblioteca vescovile. Probabilmente rinvenuto dal canonico De Monaco e da lui custodito religiosamente nel suo ambiente prediletto. Ci tuffammo con entusiasmo ed energia in un oceano di altre iniziative pratiche (non basta solo scrivere) che ci portarono ad aggregare persone di tutte le età e orientamenti. Interessammo alla storia locale (lo afferma compiaciuto proprio lui), durante la realizzazione della monografia sulla cattedrale e la sistemazione della cripta di S. Paride, perfino mons. De Tora che, a quei tempi beati, appena appena dava una sbirciatina in tralice all'Osservatore Romano. Ora, posso dirlo senza tema di smentite, grazie alla passione instillatagli come dolce e inebriante pozione, giorno dopo giorno, si ritrova bibliofilo e magnifico artefice di un archivio e di una biblioteca di tutto rispetto, novello S. Agostino. Con il signorile e benevolo avallo di un Vescovo mecenate, con gli attuali servizievoli collaboratori e l'indimenticabile, puntuale dottoressa Elvira, per gli intimi Elvi. Tanto per la cronaca. Il tenace Sidicinologo poi, tout court, vinta la sua storica ritrosia, si candidò persino a sindaco di questo svilito paese, vincendo trionfalmente le elezioni e rimettendoci poi ingloriosamente le penne.
Da parte mia, è un buon tempo che sto insistendo, tenacemente inopportuno, con il pazientissimo Mons. Arturo e il prelibato architetto vescovile Angelo De Sano per una dignitosa e scenografica esaltazione delle due bellissime sfingi egizie di intenzione apotropaica, deposte con simpatica nonchalance da tempi immemorabili presso la grande porta del duomo. E anche per altre cose sensate che non è il caso di riferire in questa sede. Non è semplice, credetemi scrivere di Teano, su Teano, circa Teano, in favore di Teano, soprattutto nel tentativo di non essere barbosi, in nome e per conto di una pretesa e tanto conclamata “scientificità” (termine oltretutto abusato e spesso usato a sproposito). Non è facile, anche per tutta una serie di motivi la cui esternazione ci porterebbe lontano e in un campo minato. Costa oltretutto dolore e tristezza.Facciamo un esempio e speriamo che mi riesca. Ridefinito urbanisticamente Largo Croci e ribattezzato come ben sappiamo, restava il problema della piantumazione. Tre sparute magnolie , la mancanza di terra nelle cosiddette aiuole, la ridicola posizionatura in una specie di pozzanghera fangosa del pilone che pietosamente commemorava il 150° anniversario dell'unità nazionale provocarono la vivace protesta di alcuni concittadini.
Volevano e vogliono uno slargo decente, non un incolore e anonimo sgorbio. Giusto, comprensibile, umano, legittimo. Qualche giorno prima di Pasqua si provvide in tutta fretta a colmare le aiuole di terra, che a mio parere non pare di eccelsa qualità. Il cippo fu rimosso in attesa di collocarlo in posizione meno infelice, o sostituirlo con altra brillante trovata. Le tre striminzite magnolie furono trasferite alla chetichella in piazza Sperandeo, che, per inciso è un altro pianto. Ho avuto modo di dare un fuggevole sguardo alla lista delle piante e arbusti che dovrebbero ornare il piazzale che si sta veramente trasformando in croce e delizia, fino ad assumere connotazioni da farsa alla Stanlio e Ollio, tanto per capirci e senza scendere in dettagli. Manoscritta e in bella grafia la lista presentava un caleidoscopio di delizia botanica, su esempio del favoloso giardino che Amenofi III fece allestire per la sua grande sposa reale Tiy, secondo alcuni nonna del più celebre Tutankhamon.
Perfino delle piante australiane oltre a gold crest, buxus a palla (la comune mortella) tuye e altre meraviglie da giardino. Ma sorse il solito problema, le piante avrebbero dovute essere messe a dimora in contemporanea e il fornitore ne avrebbe dovute ordinare diverse di cui era momentaneamente sprovvisto. Decisi di approfondire la cosa per il naturale istinto del ricercatore. Mi recai presso un vivaista del Lazio che mi assicurò, mostrandomene alcuni esemplari in serra piuttosto malconci, che le nostre zone non sono l'habitat più propizio ad alberi esotici e che avrebbero fatto la fine della Tosca in tempi non biblici. Ora tutte le piante da ieri ci sono, sistemate anche con un certo criterio scenografico, ma occorre cura costante e premurosa per evitare un deperimento rapido e un'autoselezione dovuta a sovraffollamento. Che dire di più? Non resta che raccomandarci al Santo dei miracoli o più prosaicamente al Voivoda Vlad Drakul, che, reincarnatosi, renda finalmente giustizia, sprint, vigore e grinta a un popolo stanco, infiacchito, rassegnato, figlio dell'afflizione. Potremmo eleggerlo sindaco. E perché no?
Approfitto infine, come nota piacevole e lieta, per formulare auguri sinceri a tutti gli Antonio lettori di questa rivista e anche a quelli che non se la comprano.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 6 Giugno)