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Teano nel cuore

 

“Se nel balzo saprai, d’un solo istante superare l’istante che non perdona,
tua è allora la terra e tutto ciò che dona” (R. Kipling)”

"...Mancano 8 mesi e con i fondi stanziati abbelliamo la nostra Teano, il campanile ritorni a scoccare le ore, si tinteggino i palazzi, si espongano bandiere tricolori su ogni finestra, sorgano fioriere e fontane zampillanti...” (Arnaldo Minerva, il Sidicino n. 4/2011).

Immaginiamo per un istante Teano linda, pinta e colorata, con tante iridate fontane nelle piazze e negli slarghi. Con tutti i platani al loro posto, come tanti anni fa. Le colline che si sgomitolano tra castagni, olivi, ciliegi. Tutto come se fosse la prima volta, viaggiatori venuti da lontano sulle orme di Goethe, Mommsen e altri, che l'Italia se la mangiarono con gli occhi e la divorarono col cuore. Il Campanile, la nostra Torre Eiffel, la nostra Mole torinese, fora le nuvole, più aguzza, più snella, il dito di Dio. Il nostro simbolo, la nostra biblica pianta del bene e del male, la nostra sindrome di Ulisse. Visualizziamo Teano dotata di quattro bei musei. Quello archeologico già esistente, curato con intelletto d'amore dal colto, attivo dottor Sirano e dai suoi preziosi collaboratori, quello Garibaldino e del Risorgimento meritevole di più incisiva, e non solo occasionale attenzione, il museo vescovile che potrebbe essere allestito alla grande per l'abbondanza di arredi sacri, spesso di grande valore estetico, connesso alla cripta di S. Paride, ricca di testimonianze lapidee, meritevole di maggior cura e di un indifferibile adeguamento espositivo, e alI'interessante lapidarium già esistente nel policromo giardino del Vescovo, che ne ha sollecito e assiduo riguardo a dir poco materno , quello della civiltà rurale di cui si rischia di smarrire la memoria nei labirintici meandri della burocrazia e dell'inazione. Eppure esistono centri che i musei addirittura se li inventano, talvolta con delle trovate a dir poco bislacche. Pensiamo perfino a una biblioteca comunale e vescovile con migliaia di libri e manoscritti antichi e frequentatori a frotte come lucciole in estate o farfalle in primavera. Una piscina, uno stadio non dico da campionati del mondo, ma almeno degno del valore delle squadre che onorano con merito il calcio locale. Addirittura un monumento in bronzo o in marmo a Garibaldi e Vittorio Emanuele, non dico cesellato da Cellini o scolpito da Canova, proiettati qua con una macchina del tempo ancora da inventare, ma almeno un monumento che si possa guardare senza storcere il naso. Questi ammennicoli Teano, l'immensa, versatile, splendida, multietnica, ricca Teano dei Sidicini li aveva davvero e pure di una certa grandiosità estetica e scenografica. Ci accorgiamo poco o niente di quanto sia bello quello spicchio di Teano compreso tra il monastero benedettino di S. Caterina, S Pietro in Aquariis e S. Maria La Nova. Stupendi ricordi d'altri tempi. Gioielli rubati…
E ancora collane: lacci a fili d'oro, anelli d'oro d'argento e di bronzo. Una messe di oggetti belli a vedersi, a toccarsi, ad annusarsi, a palparsi. Di questo scavo esuberante e produttivo solo qualche quotidiano si occupò marginalmente. Il Gabrici non diresse gli scavi, si fondò per la sua circostanziata relazione sui giornali di scavo, gli elenchi descrittivi di archivio e soprattutto sugli appunti messi a disposizione dall'impareggiabile Matteo della Corte che presenziò all'ultimo periodo dell'indagine archeologica di questa fulgida necropoli e che si preoccupò di far fare schizzi e sezioni di tombe. Il Gabrici stesso si portò più volte a Teano dal proprietario del fondo, dove esaminò i ritrovamenti da lui avuti dopo la divisione. Il Nobile gli permise inoltre di prendere appunti e fotografare molti manufatti.
Dalla necropoli della Gradavola facciamo un balzo lungo le rive del Nilo. In esso virtualmente si bagnò Aset, il trono, in altri termini la Grande Madre Iside, sintesi di tutte le dee.
I culti misterici prevedevano e solenni riti pubblici e pratiche strettamente individuali che includevano astinenze varie anche di carattere sessuale, il che suscitò le risentite rimostranze dei poeti d'amore romani.
Iside era venerata anche a Teano, dove le fu edificato un monumentale complesso cultuale, con fondata certezza di aspetto maestoso con largo impiego di materiali pregiati.
Già il canonico De Monaco a metà degli anni sessanta del secolo scorso, con felice intuito, aveva ipotizzato in Teano osco e romano l'esistenza di un possibile Serapeion sottoposto o eretto nei pressi della cattedrale. Tale asserzione è autorevolmente confortata oggi dal Sirano, dal prof. Johannowsky di felice memoria e dal De Caro. Di considerevole potenza evocativa due poderose granitiche sfingi fungono tuttora da vigili sentinelle della porta principale del duomo come già dovettero esserlo del lussuoso Iseion.
Le sfingi di Teano sono entrambe prive di iscrizioni. Scolpite distese in postura ieratica su due bassi plinti, il corpo felino dalle forme naturalistiche ben modellate, la tenue curva della criniera sottilmente scolpita. Il volto grande dalla guance piene, le palpebre pesanti, le labbra spesse lievemente corrugate agli angoli. La coda è ritorta in curva elegante sul corpo felino. La testa androcefala, dalle grandi orecchie a sventola, abbozza un enigmatico sorriso. Il volto di quella a sinistra si presenta eroso. Il mitico animale è logorato da calamità, consunto dal tempo o più semplicemente è un non finito? La sfinge che di solito rappresentava le fattezze del Faraone del tempo, nel nostro caso doveva rivestire solo la funzione di respingere influssi negativi.
Altri possibili segni dell'esistenza di un elegante Santuario isiaco li notiamo negli urei incassati nella cripta di S. Paride, in quelli infissi nella parete del campanile affrontati a un sistro, strumento rituale degli adoratori e dei sacerdoti della dea, ancora usati nella chiesa copta. Ancora possiamo notare possibili segni del complesso isiaco nella enorme base di colonna modanata in granito ritrovata nel 1960 sotto il pavimento della cantoria, ora nel giardino dell'episcopio. Ritroviamo ancora, forse, segni dell' isiaco santuario di Teano nel pezzo di fusto di colonna di granito rosa, del giardino vescovile. E ancora nei capitelli lotiformi dell'acquasantiera e dell'androne dell'episcopio.
Si diffuse così anche a Teano crocevia di razze e culture il culto egittizzante di Iside, importato quasi sicuramente da veterani convertiti durante le guerre in Oriente e con l'intensa frequentazione della città immensa, splendida e strategicamente vitale da parte di mercanti orientali.
Dall'Egitto ci riportiamo a Teano nel ninfeo del monastero delle Benedettine. La parola ne indica il significato: edificio consacrato a una ninfa, costruito su fonte o sorgente, a semicerchio, circuito da colonnati, spesso a più ripiani. Arricchito di portici, statue, pitture e mosaici e altre bellezze. Le coste ne videro sorgere altri di stile artistico o naturalistico.
Tornano alla mente quelli di Posillipo, Baia, Miseno e in particolare quello di Sperlonga utilizzato da Tiberio in alternanza a Capri. Il grande Ninfeo di Teano fu edificato in età augustea con ristrutturazioni e rifacimenti in epoche successive. Senza dubbio trattavasi di edificio di gran lusso e di felice collocazione urbanistica, di grande effetto visivo, di rango. Prestigioso. Si affacciava, infatti, esuberante nella sua smagliante connotazione architettonica sul frequentatissimo foro e sugli scenografici quartieri degli spettacoli. Vale a dire teatro, anfiteatro e via di seguito.
Pubblico o privato, non lo sappiamo. Data la sospettabile grandiosità si propende per il pubblico utilizzo, soprattutto se lo si propone in stretta relazione con i ruderi termali in bella visibilità nel museo archeologico.
Parzialmente messo in luce si presenta absidato, con volta a botte dalla quale si intravedono i fori per le condutture.
Nicchie laterali lo circondano in una piena sintesi di visioni, di sussurri, parlottii, risatine, mormorii d'acque, l'ombra di un bacio rubato, sonorità soffocate, passi affrettati. Matrone dal viso di perla e l'umida bocca di corallo, una sensuale, raffinata femminilità appena adombrata da veli sottili e da raffinati gioielli. Ambiente rilassante in cui giocavano a rincorrersi statue di dei e supereroi, veneri nude e fauni vogliosi.
Mentre ci inoltriamo in questo itinerario virtuale, sforzandoci di ricostruirne idealmente l'identità storica, intanto che tentiamo di animare questo vuoto con la folla di quelli che tanti anni fa vi dimorarono e ora riposano non sappiamo dove, polvere nelle tombe, polvere nomade sui monti, polvere nelle case sonore del cielo, ci chiediamo infine che città potesse essere la nostra.
Una riflessione conclusiva: Teano è indiscutibilmente bella anche così poco curata, sdrucita e stinta nel suo arredo urbano, ignobilmente mortificata. Una bella donna, continua a essere bella anche se la si fa piangere, la si maltratta, la si umilia, la si violenta. Non trascuriamo Teano però, conosciamola con maggiore intensità, con più cuore, solo così possiamo amarla, averne cura e renderla piacevolmente vivibile. Evitiamo che pianga, evitiamolo con tutte le nostre forze, con tutto il nostro orgoglio, lo stesso indomabile orgoglio dei Sidicini.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 5 Maggio)