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L'eterno femminino (I parte)

 

(oltre ogni tempo e tuttavia nel cuore del tempo)

Donna: mistero senza fine bello
(Guido Gozzano)

“L'eterno femminino” è l'espressione usata da Goethe nel Faust per indicare le peculiarità eterne, immutabili del fascino femminile. E la femminilità è l'insieme delle qualità tipiche di una donna. L'insieme delle caratteristiche che la distinguono nel comportamento, nell'animo, nel gusto. L'eterno femminino, in sintesi, è il principio essenziale ed eterno della femminilità.
Secondo la definizione goethiana, è ciò che di immutabile esiste nelle donne oltre la moda o il costume. L'espressione "eterno femminino" è molto usata nella nostra lingua, spesso a sproposito, e corrisponde al tedesco das Ewigweibliche (neutro). Citato spesso impropriamente riferendosi al fascino della donna e alla facilità con cui l'uomo vi soggiace, questo verso conclude il Faust di Goethe, con la redenzione del protagonista grazie all'amore di Margherita e all'intercessione della Vergine Maria.
L'eterno femminino è ciò che conferisce alla spiritualità un'incalzante poesia, magia, trasfigurazione e mistero. Gesù nasce da una donna terrena, una vergine, "La Donna per antonomasia". Donne sono le maggiori divinità dell'Antichità e basti qui ricordare tutta la forza generatrice raffigurata dalla figura di Venere. Ma è ancora nell'antichità della cultura Greca che si ha l'intuizione geniale e profonda della vera importanza del ruolo del femminile nel nostro inconscio. Non possiamo che arrivare alla Conoscenza se non attraverso la nostra parte femminile.
E se la donna degli anni Venti e Trenta resta, sempre e comunque, al centro del desiderio maschile, allo stesso tempo sembra scoprire “di poter essere protagonista attiva della nuova società”. Alcuni miei scritti toccano anche alcuni aspetti della bellezza femminile in Egitto all'epoca della XVIII dinastia, sfiorando anche alcuni aspetti della bellezza maschile (Tuthankhamon). Si tiene conto della cosmesi, dell'abbigliamento, delle acconciature, dei monili. Analizzando le varie cure che gli antichi Egizi, i Romani e gli Italici romanizzati, Sidicini in prima battuta, prodigavano al loro corpo si approfondiscono così anche alcuni aspetti della vita quotidiana e delle relazioni sociali e personali che intercorrevano tra uomini e donne nell'antichità. Altro riferimento è la sfinge, di cui ammiriamo con rinnovato stupore due splendidi esemplari apotropaici nell'atrio del Duomo di Teano, metafora dell'eterno femminino, enigmatico e ammaliatore La Grande Madre quella dea ancestrale della fecondità e della vita venerata da tempi remoti e che poi assunse connotazioni più definite in diverse divinità del mondo antico.
Con la diffusione delle coltivazioni agricole e la costituzione dei primi insediamenti abitativi di notevole rilievo prese piede anche l'idea mitica e religiosa di questa divinità femminile, signora della natura, degli animali e della vita stessa nell'accezione più ampia del termine. Basti pensare, per localizzare il fenomeno, alle Madri del museo campano di Capua, a Marìca antichissima dea degli Ausones-Aurunci il cui culto si diffuse alle foci del Liri, il Garigliano di oggi, prima in un lucus, bosco sacro, spazio aperto e libero a ogni espressione cultuale, commerciale, intessuta di mille relazioni e poi in uno spazio circoscritto, il tempio. Basti fare mente locale a Cerere/Demetra venerata anche a Teano e di cui abbiamo testimonianze epigrafiche (la stele di Staia Pietas sua grande sacerdotessa in largo S.Benedetto presso Palazzo Broccoli). La magia che le donne potevano sprigionare col parto veniva a costituire una valenza mistica, sottolineando così l'alto valore del ciclico rinnovamento della natura. Il segno che conduce alla luna appartiene agli albori dell'umanità. Si radica nel genio artistico dei primi esemplari di homo erectus, addirittura nel neolitico al quale appartengono le “Veneri steatopigie”. L'uomo antico era rimasto affascinato dal mistero della donna e della maternità e la riprodusse in un blocchetto di pietra.
A quelle “Veneri” seguirono le raffigurazioni della Grande Madre. Condivideva con la cosiddetta Venere steatopigia, l'opulenta rappresentazione di una femminilità esasperata: gli attributi sessuali erano rimasti invariati nonostante l'indubbio progresso dell'espressione artistica. Così spuntano e si moltiplicano. Ad esempio le raffigurazioni muliebri dai numerosi seni delle statue provenienti dalla cultura ittita in Anatolia.
Viene elaborata "Ku-Ba-Bah"; e questa subito diventa "Ku-Ba-Lah", poi definitivamente canonizzata in Cibele.
Raramente viene raffigurata isolatamente: in Egitto, Cibele sarà chiamata Iside e spesso si vedrà raffigurata nell'atto umanissimo di allattare un bambino, ricchissima di simbologie sottintese, divina nella sua essenza. La Divina Iside, il cui culto si diffuse anche a Teano sugli scudi dei legionari provenienti dall'Egitto o sulle veloci navi di mercanti levantini, è la più classica rappresentazione della femminilità. Anche l'uomo del neolitico aveva capito che entrambi gli elementi maschile e femminile, tra di loro complementari, erano necessari per produrre la vita.
Essi, tuttavia, non operavano pariteticamente, avevano sola funzione fecondatrice, tipo i fuchi per l'Ape Regina; dopo aver prodotto l'effetto doveva essere sacrificato. A Creta l'atleta che supera con un balzo il toro non è la raffigurazione di una corrida ante litteram, esprime la vocazione al sacrificio del Toro in una sarabanda di vita, morte, rinascita.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 3 Marzo)