L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
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Indice Giulio De Monaco
 
 

Probabili eletti e improbabili elettori

 
Un sindaco polacco

Agli albori degli anni '60 del secolo appena defluito negli annali cominciò a circolare per casa mia un nome che sapeva di leggenda e polvere di stelle: Werner Johannowsky! Ne parlava sovente e volentieri il buon Pantaniello, al secolo Stefano Mastrati, soprintendente generale del giardino di mia madre con annessi e connessi, vale a dire pollaio, conigliera, legnaia, orto e cantina.
Parlava a raffica, davanti a un buon bicchiere color rubino, dell'archeologo Werner che io minimo credevo spuntato pacioso e fresco dalla Cortina di ferro, conterraneo di quel Karol Woytila che poi sarebbe salito al trono di Pietro. Ne parlava, guardando le nuvole iridate che correvano a tuffarsi nel mare vicino, a proposito degli scavi del teatro romano, ancora quasi interamente sepolto sotto la rustica casa di Stefano che operava con sommo zelo come spalatore, tuttofare e all'occasione curiosone di giornata. Io lo guardavo estatico e sognavo di ricchi tesori, di re, di regine fascinose, di guerrieri dalle argentee armature, di maschere d'oro e statue di olimpici dei. Allora non capivo un'acca, oggi ancora meno. Per me l'archeologia era come uno stimolante romanzo, un film di Milos Formann o una commedia di De Filippo, e sbagliavo di grosso.
Mi figuravo il prof. Iannosschi, così lo chiamava Stefano scarpe grosse e cervello fino come un fatale e atletico signore nordico, dai capelli di fiamma e gli occhi di ghiaccio, vestito con eleganza e charme, profumato di muschio e ambra. Una sorta di Axel Munthe, il medico-archeologo di Villa S. Michele a Capri. Non era proprio così. Non vestiva alla marinara e non era di epidermide chiara, non profumava di esotiche essenze. Bruno di pelle, era stempiato e vestiva casual, ossia alla bellemmeglio. Alla lontana somigliava a Luis De Funés. Lo conobbi nello splendore della piena maturità di pensoso scienziato quando all'università mi venne la bell'idea di seguire il corso di archeologia greco-romana. Fatalità. ll corso era popolato da cinque o sei fortunelli che se la squagliarono rapidi per la levità delle allegre lezioni e da una tedesca dall'età inaccessibile, bella come lngrid Bergmann, audace come un corazziere. Col prof. confabulava animatamente in tedesco. L'illustre Scavatore era figlio di madre austriaca e padre svizzero di lingua tedesca. A un certo punto la teutonica corazziera, fulminandomi con un cipiglio di un'angosciante Minerva, come se volesse passarmi al tritacame, latrò: Ma come, non sai il tedesco!? Mi sentii più reietto di un lanzichenecco. Il corso si sdoppiò. Arrivò dalla prestigiosa scuola archeologica di Atene il supertitolato Luigi Beschi, conterraneo di Tito Livio, allievo di Doro Levi, un gentiluomo. Passai di corsa al suo corso di archeologia greca e furono giorni felici. Rividi Johannowsky all'esame, presidente di commissione. Era il Lunedì Santo. Giunse trafelato dalla Soprintendenza con due ore di ritardo. Sembrava Pluto. Odorava di ginestre e rosmarino. Superai l'esame. Lo avrei abbracciato e avrei fatto con lui un giro di valzer, se solo la solennità delle circostanze lo avesse consentito. Poi ne persi le tracce e l'odore.
A Teano Johannowsky aveva fatto cose mirabili, egregie, incandescenti sui tratturi calcati da quel mitico soprintendente che fu Amedeo Maiuri. Architettò lodevoli campagne di scavo utilizzando i cantieri per disoccupati della Previdenza Sociale, facendo a meno dell'assidua assistenza di archeologi di mestiere, fidandosi dell'assistente di cantiere, un anziano geometra dal lento incedere e con la vista ormai in declino. Apri gloriosamente buche qua e là, alla Trinità, a Bagnonuovo e in altri siti, archeologica groviera per la delizia dei solerti tombaroli nostrani, che poi continuarono, per decenni, a scavare. Affastellò di cocci mille e mille casse che oggi nessuno, nemmeno il destino, sa dire da dove provengano e com'erano posizionati.
Ora, il 14 novembre 2007, il Sindaco gli ha conferito in pompa magna la cittadinanza onoraria considerandolo ...al di là di ogni dubbio il padre della storia sidicina. Grande ispiratore dell'iniziativa il sempre arzillo assessore D'Aiello che nella sua illuminata relazione solfeggiava: La cittadinanza onoraria al prof. Johannowsky, Io ricordiamo, va riconosciuta per i grandi meriti culturali, scientifici e storiografici dei suoi lavori sull'antica Teanum Sidicinum ed in considerazione della grande spinta allo sviluppo culturale della città.
Ma quale spinta? Quale sviluppo? Ebbravo Gianpaolo. Non la pensavi certo così quando ci rompevamo mani e fondoschiena al servizio umile di una sognante promozione umana e civile del nostro dimenticato paese appollaiato su un colle frondoso. Ma ben conoscendo l'innata vena umoristica dell'avvocato D'Aiello, sorvoliamo con rassegnazione.
Ci permettiamo però, dal profondo abisso della nostra abissale ignoranza politica, di suggerire ai concittadini con un flebile sussurro una celestiale proposta. Facciamolo sindaco l'archeologo Werner, a furor di popolo. Facciamolo sindaco sulla brillante e fruttifera scorta della felice stagione capitolina del sindaco Argan, perla degli storici dell'arte. Facciamolo sindaco subito, con piena avvertenza e deliberato consenso, sindaco a vita. Così ci sbarazzeremo una buona volta delle allegre danze elettorali, di cotillons, feuilIettons e champagnons. Ci chiariremo le idee una volta per tutte, abbeverandoci sereni e rigenerati alle zampillanti acque della ninfa Arethusa o a quelle più nostrane della ninfa Egeria ispiratrice di saggi consigli politici, sussurrati tra le estasi della voluttà, all'accorto Numa Pompilio, il cui stesso nome indicava legge, numen. Facciamolo sindaco con lieta spensieratezza e non sentiremo parlare mai più di nomi, cognomi e contranomi che popolano perfidamente i nostri sogni e desolano insolentemente il nostro comune senso del sudore. Sudore e lacrime. E potremmo arrivare ad affiancarlo all'assessorato all'ambiente e territorio con Raffaella Carrà (Com'è bello far l'amora da Trieste in giù), al turismo e spettacolo coll'elegantissimo fantasma dell'impeccabile sarto Schubert, all'assessorato trasporti e cimiteri col lunare conte Dracula, alla scuola e cultura col superpalestrato Costantino Vitagliano dall'ermafroditico vocino, aIl'assessorato alle finanze col sempre vegeto Mike Bongiorno (senza la u e senza Fiorello), allo sport e sanità con gli assi Pelé e Kakà, alle politiche sociali e urbanistiche con il lémure di Le Corbusier. E per concludere in bellezza, come vicesindaco o presidente del consiglio comunale si potrebbe perfino scomodare la De Filippi con l'ombra del mite consorte Costanzo. O addirittura Febo Conti, inamidato presentatore di Chissà chi lo sa.
Non vi sembra una buona idea?
E della giunta uscente che ne sarebbe, direte voi. Beh... il sindaco, con una soda raccomandazione del Padreterno, lo si potrebbe far nominare dal Papa vescovo ausiliare di Bitonto, dove farebbe ottimo profitto per la salvezza delle anime nostre. La signora Pentella potrebbe andare a dirigere una fattoria modello a Brescello o a Vattelappesca sul Meno. ll colonnello Pino, col grado di generale a quattro stelle, potrebbe capitanare una missione di pace dell'Onu con strepitoso successo. E il resto della conventicola, insieme alla silente minoranza, a meditare tra i trappisti delle Frattocchie o a zufolare mantra in una romita Lamasseria Buddista nella valle dell'lndo.
E tutti vivrebbero felici e contenti

 

Peter Pan non lotta più ha venduto il suo pugnale...
l'isola incantata è già stata lottizzata...
Qui, Quo, Qua sono andati via vanno a rischio nell'autonomia...
Don Chisciotte non è contento ma lavora in un mulino a vento.
Ali-Babà e i quaranta ladroni hanno già vinto le elezioni...
E voi intellettuali non ne avete mai discusso
di come torna l'onda alla fine del riflusso.

da Il Paese delle Favole de I Nomadi

 
La decima monaca

A venti giorni o poco più dalla Pasqua alta si celebrerà dopo quello liturgico il rito elettorale (comunali di Teano). Senza incenso e senza il Gloria. Senza diaconi e senza salmisti .Senza benedizioni e senza pastiere. A celebrarlo non sarà purtroppo il nostro beneamato Vescovo Mons. Arturo, ma bensì due altri gagliardi monsignori di diverso stampo, caratura e profilo fisionomico. Nella fattispecie mons. Picierno e mons. Scoglio. Inseparabili come i fratelli Marx, Gianni e Pinotto, le gemelle Kessler. Tenaci come l'attack. Fataloni come Sharon Stone in Basic instinct
Ancora una volta, speriamo l'ultima, ci delizieranno cimentandosi, infaticabili, nella corsa al trono sindacale. Senza risparmio e senza tregua. Nudi e crudi. E neppure tanto scalpitanti cavalli di razza, ormai. Furono già cavallini, cavalletti e cavalloni ai tempi fortunati di un altro famosissimo monsignore della politica, sottile artefice di variopinti arabeschi elettorali. Gran maestro di barocche alchimie strategiche e discorsi d'alto lignaggio. Interminabili. Mons. Mancini affettuosamente chiamato Vincenzino da quella nobile figura di sacerdote e di Uomo che fu D. Michele Lamberti, suo inestimabile prof. di latino e belle lettere al seminario vescovile, come lo fu anche per il dott. Corbisiero e il placido, sonnacchioso dott. Consalvo nipote di Mons. Sperandeo, gigantesca epifania di presule. D. Michele inutile ripeterlo ché tutti lo sanno, anche le stele funerarie e le lumache, fu accanito estimatore ed elettore di punta dell'ineffabile parlamentare. Ora trasferitosi inopportunamente all'altro mondo.
Non ci saranno infelicemente altri concorrenti a movimentare lo stinto e incolore palcoscenico d'oggi, grazie a una collegiale, felice omologazione. Peccato. Ben fatto. Ce lo meritiamo. La colpa è la nostra, privi ormai d'inventiva e nerbo, con poca familiarità con la storia e l'indomabile orgoglio dei Sidicini.
Ogni commento è vano, sterile e pacchiano.
Rimando allo spumeggiante e nello stesso tempo crepuscolare malinconico scritto del dott. Gliottone sul numero scorso. Un commiato amaro al buon senso, un lacrimoso addio alle armi, un languido epicedio al saggio governo. Abbb, si potesse votare d'incanto per Mons. Sperandeo e per D. Michele. Non sarebbe neppure necessario ricorrere a questo vergognoso e infruttifero sperpero di energie e denaro. Li si porterebbe immantinenti in trionfo per unanime acclamazione a rivestire una carica che onorerebbero con dignità e competenza. Secondo il loro inimitabile stile. Conformemente alla loro scintillante e indiscutibile classe. Voterò anch'io. Ma preferirei andarci invisibile o sotto mentite spoglie. lnutile dire perché.
L'alba del 13 aprile in ore antelucane, quando i chiaroscuri dell'aurora e della notte ancora si confondono in una fluorescente tinta di rosa e oro, vedrà le ombre indistinte e suggestive di dieci Monache di clausura uscire fugaci a rapidi passi cadenzati e silenti dal secolare, nobile monastero benedettino di S. Caterina dirette ai seggi elettorali. Timide. Bisbiglianti appena.
Mi direte voi: "Ma non sono nove le gentili, affabili Suorine?"
Non allarmatevi la decima Monaca sarò io.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 4 Aprile)