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Il culto di Iside a Teano

 
Quando Teano era crocevia di razze e culture
 
Il culto di Iside a Teano, confermato da numerosi rinvenimenti archeologici nell'area della cattedrale, potrebbe trovare oggettiva spiegazione con la presenza di veterani, "convertiti” durante il servizio militare in Oriente, oppure con la Ia frequentazione costante della città, cosmopolita e strategicamente importante, da parte di mercanti di origini orientali.
 

Nelle soffuse foreste equatoriali della nostra infanzia perduta riaffiora talvolta un sogno sottile e fluido come l'immolazione rituale di un candido agnello sacrificale, radicalmente impresso sulla pelle traslucida della memoria, esotico tatuaggio: l'Egitto faraonico con le sue sfingi, le sue piramidi, le sue auree maschere funerarie, la sua magia, il suo mistero, il suo incanto. E soprattutto fluttuano nel capriccioso codice del ricordo le magiche eterne acque del suo grande Fiume, altro che il Po di guareschiana memoria, con tutto il dovuto rispetto. In esse idealmente si bagnò, voluttuosa sirena, Aset, il trono, in altri termini la Gran Madre Iside. A suo riguardo sono stati versati fiumi d'inchiostro di cose fondate e anche di simpatiche e pie fesserie.
Iside emerge ancora virginale dalla notte dei tempi, quasi voluttuoso archetipo increato. Ma non fu proprio così. Su uno dei pilastri della tomba di Thutmosi Ill è rappresentata una scena di straordinaria efficacia: una dea emersa da un albero che gli oflre il seno, per l'etemità, rigenerandolo in perpetuo.
Si tratta proprio di lside la Grande Madre, assimilata e assorbita poi dalla Vergine Maria. Aveva regnato prima delle dinastie faraoniche sull'Egitto con Osiride il suo sposo-fratello finché venne “il giorno dell'ira”. Seth, l'invidioso fratello, con l'inganno lo accoppò e lo ridusse a brandelli. Ma Iside, la vedova divina, respinse l'idea e decise di ritrovare tutti i pezzi, ricomporli e ridargli la vita, grazie alla magia sacra di cui conosceva segreti e formule. Con paziente ricerca ritrovò tutte le parti di Osiride, tranne il sesso, ingoiato allegramente da un pesce. Dopo vari, inutili tentativi, con la sorella Nefti, si mutò nella femmina di un nibbio, schiuse le porte della morte, penetrando il segreto della risurrezione. Senza dilungarsi oltre nel labirintico evolversi di un mito antico e favoloso, Iside rappresenta la donna-serpente che diventa l'ureo, il cobra femmina che si erge al cospetto del re per annientarne i nemici. La cosmica magia di lside scaturisce dalla sua conoscenza dei misteri dell'Universo e, finalmente, vittoriosa sulla morte e i suoi nefasti effetti sopravvisse al dissolversi della civiltà egizia. Tanto che il suo culto nel colorito, eclettico mondo ellenistico-alessandrino rivestì un rilievo emergente e forte, slanciandosi sovrano in tutto il Mediterraneo e oltre. Fu il nume tutelare di innumeri adepti, innumeri come le onde del mare schiaffeggiate dal vento d'invemo. Riassumendo potentemente in sé passato, presente e futuro la celeste madre dell'infinito amore sopravvisse al Cristianesimo in ascesa, celandosi misticamente nell'ermetismo sotterraneo del Medioevo, restando così per sempre “la pupilla del mondo” per tutti i suoi fedeli che non si dovevano arrestare alla fede, ma bensì ascendere i gradini dell'intero sapere misterico.
Tutta questa preambolica tiritera introduttiva per dire che Iside era venerata anche a Teano, dove fu costruito un monumentale complesso cultuale con fondata certezza di aspetto nobile e maestoso, con
largo impiego di materiali di pregevole effetto. Sì, proprio un lseion, come era definito il santuario dove si celebravano i riti e le devozioni della dea del Nilo, mutuate da una irresistibile contaminazione tolemaico-ellenistica. Già il Can. De Monaco, a metà degli anni '60 del secolo scorso, aveva avanzato nel suo inossidabile Teano osco e romano l'ipotesi non del tutto peregñna dell'esistenza di un Serapeion come a Pozzuoli, sottoposto o eretto nei pressi del nostro duomo. Tale asserzione è autorevolmente confortata oggi dal prof. Sirano anche con la rivisitazione degli acuti scritti dell'archeologo Werner e del prof De Caro.
Durante la ricostruzione della cattedrale, infatti, si rinvenne una platea in blocchi tufacei ascrivibile alle fondazioni di un ediflcio pagano preesistente (Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di Teano, Boll. Arte 1963, pag. 131, nota 7). Come se non bastasse, la cattedrale stessa rigurgita di testimonianze evidenti e signiflcative e, per finire, alcuni arredi marmorei del ben curato giardino dell'episcopio ne attestano l'esistenza.
Di considerevole potenza evocativa, due poderose granitiche sfingi sono poste tuttora a sentinella della porta maggiore del Duomo come già dovettero esserlo del fastoso Iseion. Due bei gattoni accosciati, imperturbabili e solenni, abbastanza ben conservati a dispetto delle ingiurie del tempo e degli uomini osservano con impassibile noncuranza il fluido avvicendarsi di fedeli, pellegrini, visitatori e curiosi occasionali che penetrano ignari e fidenti le ombre e le luci del maggior tempio della diocesi. Sono entrambe accoccolate su due bassi plinti, in postura ieratica, il corpo felino dalle forme naturalistiche icasticamente modellate, la tenue curva della criniera sottilmente scolpita. La coda risulta ritorta sul corpo. La testa androcefala dalle grandi orecchie a sventola abbozza un enigmatico sorriso. La testa di quella di sinistra risulta, invero, discretamente erosa. Logorata da calamità, consunta dal tempo o più semplicemente incompiuta? La sfinge, che di solito riproduceva le sembianze del Faraone del tempo, nel nostro caso rivestiva funzione apotropaica, in parole semplici serviva a scongiurare un'influenza magica maligna. Non dimentichiamo il rilievo preponderante e reiteratamente ossessivo che i rituali magici rivestivano nell'Egitto faraonico, affiancandosi a una fervida religiosità paludata di mistero e fluttuazioni fortemente mistiche (vd. Hilary Wilson, I segreti dei geroglflici, Roma 1988, o il più famoso Boris de Rachewiltz, Egitto Magico religioso, Città di Castello 1997, o ancora il mio indimenticato maestro di egittologia Claudio Barocas, L'antico Egitto, Roma 1984, tanto per dare qualche sommaria e opportuna indicazione). Prodotti in due o più esemplari questi fantastici animali erano posti ai lati di strade o ingressi. realizzati per lo più in granito o altre varietà di pietra colorata. Le nostre sfingi trovano una solida verosimiglianza con quella riproducente il volto insondabile e magniloquente di Amenhemat II, ureo, barba posticcia e cartiglio imperiale a parte, simboli ufficiali della divina regalità.
Altri possibili segni dell'esistenza di un fastoso Iseion rilucente di marmi e altre preziosità li troviamo negli urei inseriti negli ombrosi recessi della cripta di S. Paride, in quelli infissi nella parete del campanile affrontati a un sistro, strumento rituale usato dagli adepti e dai sacerdoti della dea, che sembra ancora tintinnare ed emettere suoni di lontani echi alla fioca luce di una tremula e fumigante candela accesa, tenero ex voto, ai piedi della statua della Madonna di Lourdes presso la porta minore del tempio. Ancora possiamo scorgere un isiaco bagliore nella mastodontica base modanata in granito ritrovata nel 1960, sepolta sotto il pavimento della cantoria e tuttora imbalsamata, celata alla visione dei più, in un remoto angolo della sagrestia nei pressi di un lavabo settecentesco altrettanto negletto. Ritroviamo ancora, forse, un lacerto del santuario isiaco nel pezzo di colonna in granito rosa, infisso nel lago d'erba e di fiori del giardino vescovile, speculare languore lapideo delle due fantasmagoriche sfingi. E ancora nei lotiformi capitelli deIl'acquasantiera e dell'androne del palazzo vescovile. Già! Il loto, il mistico fiore della resurrezione, nato dagli occhi divelti del volto di Horus dall'ignobile zio Seth.
La Campania tutta fu un rigoglioso proliferare di templi consacrati a Iside o a Serapide. A Pompei, Benevento, Pozzuoli e nelle città portuali e cosmopolite dell'Italia intera. Per fare un esempio a Industria, insediamento romano in corrispondenza dell'abitato celto-ligure di Bodincomagus presso la confluenza della Dora Baltea col Po, in strategica posizione per il controllo della navigabilità fluviale, fu rintracciato un complesso sacro dedicato a Iside e Serapide, sorto in età augustea, eloquente testimonianza della diffusione anche al Nord del culto della dea, propagatosi dalla nobile Aquileia lungo il corso del Po (vd. Alessandro Mandolesi, Personaggi archeologici del Piemonte e della Valle d'Aosta, Torino 2007).
A giusta ragione poteva e doveva consolidarsi anche a Teano, crocevia di razze e culture, il culto egittizzante di Iside con tutte le implicazioni del caso. Oltre tutte le congetture e le possibilità resta ora l'impalpabile emozione e la profonda impressione di riudire a volte, con le orecchie della mente e dell'immaginazione, risuonare da lontano, coperte dall'organo e dal coro angelico di don Tommaso o dall'apostolica voce del nostro amabile Vescovo, sotto le volte della candida cattedrale, le monocordi salmodie delle sacerdotesse che proclamano incessantemente l'eternità della bella Iside dalla pelle di rosa e la chioma d'ebano:
lside, creatrice dell'universo, sovrana del cielo e delle stelle, signora della vita, reggente della divinità, maga degli eccellenti consigli, sole femminile, che a ogni cosa imprime il suo sigillo, gli uomini vivono secondo il tuo ordine, niente è realizzato senza il tuo consenso”.

Giulio De Monaco
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 2 Febbraio)