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L'inferno sotto casa

 
Un fenomeno che purtroppo riguardo anche le nostre comunità
 

L'INFERNO SOTTO CASA

Storia di anime vendute e di coscienze distratte

“E dopo una settimana Judith ha detto: non puoi stare qui senza soldi e senza lavoro. Devi pagare il mangiare, il dormire. Devi lavorare. E per chi non ha documenti il lavoro è uno solo.
Quale, ho detto io.
Eh, quand'è il momento lo vedrai, ha detto lei.
Così una sera mi ha portato al posto di lavoro".

Inizia cosi, con un fendente secco come un colpo di machete inferto alla coscienza del lettore, Le ragazze di Benin City edito dalla Melampo. Si tratta di un monologo-verità affidato alla voce di lsoke Aikpitanyi, una vittima della tratta delle ragazze di Nigeria, e alla penna di Laura Maragnani, giornalista di Panorama e de L'Europeo.
Come un colpo di diapason improvviso, fatto vibrare in un silenzio carico di omertà e di vergogne, questo incipit fulminante da il tono a tutto il libro: una scrittura affilata come una lama, tenuta insieme da una paratassi incalzante e ossessiva a simulare il disagio, l'afasia, la fragilità che circondano la condizione del clandestino debole e sfruttato.
Poi, a rincarare la dose, quel “tu” che affiora repentinamente nei punti caldi della narrazione, lasciando un segno indelebile nel lettore: "Ed è per questo che per me è giunta l'ora di raccontare la mia storia. Ascolta". Ad avere la coscienza sorda, si potrebbe pensare che qui la narratrice - lsoke - si rivolga alla scrittrice - Laura -. Ma è fin troppo evidente che quel tu non è un vezzo stilistico: ci chiama in causa direttamente. "Questa storia ti riguarda” sembra ammonirci; "ti riguarda perchè avviene tutti i giorni davanti casa tua, all'angolo della tua strada: che sia il Parco della Pellerina, la Domizlana, viale Ortles o la Stanga; ti riguarda perché ne sono vittima ragazze che hanno l'età di tua sorella o di tua figlia, con dei trascorsi normali e tanti sogni stipati nello zaino di scuola con cui si erano messe in viaggio; ti riguarda anche se non sei un loro cliente abituale, perché ci sono delle cose che chiunque può fare se vuole essere d'aiuto". Si sciolgono come neve al sole, fin dalle prime pagine, le congetture ingenue che a volte formuliamo sul conto della tratta (forse proprio per sedare le coliche della nostra coscienza...): non è vero che le ragazze "scelgono" la vita di marciapiede come alternativa al lavoro regolare: vi sono costrette dalla clandestinità e dal ricatto, asservite anima e corpo ad una delle organizzazioni criminali più potenti e capillari del pianeta, che le introduce in Europa col miraggio di un lavoro certo e utilizza i loro familiari come strumento di possibili rltorsioni. Non è vero, salvo casi isolati, che sono tenute in schiavitù da vincoli tribali e superstizioni animistiche: la maggior parte di loro proviene dai grandi distretti urbani della Nigeria, del Ghana e della Costa D'Avorio, e non da sperduti villaggi a ridosso della savana, dove si pratica ancora il voodoo. E non e vero, purtroppo, che estinto il loro “debito” con l'organizzazione (che si aggira di solito fra i trenta e i quarantamila euro) si inseriscano così facilmente in un circuito sociale o lavorativo: la vita sul marciapiede, la segregazione e le violenze subite, le possono segnare in modo irrecuperabile. Può accadere anche, anzi non è raro, che le vittime si trasformino in carnefici a loro volta: diventando maman e struttatrici di altre connazionali, oppure abbindolando gli italos più generosi e disarmati e vivendo alle loro spalle senza mai uscire dal giro. Ma resta un fatto incontrovertibile: c'è una domanda che interseca un'offerta, un contratto tacito di fornitura stipulato fra italos superficiali e irresponsabili e trafficanti nigeriani, oltre alle tante connivenze non dichiarate. Diventa persino ozioso lo stabilire su quale fronte della trattativa siano attestati i veri carnefici di questa mattanza. È certo solo quali ne siano le vittime, almeno all'origine. E le vittime sono sempre loro: le ragazze di Benin City.
La casa dl lsoke
"Nella casa di lsoke non ci saranno esperti, né assistenti sociali, né psichiatri se non strettamente necessari. Niente mediatori, niente operatori. Solo noi, che neanche riuscite ad immaginare. Le ragazze vivranno insieme a due o tre alla volta sotto la supervisione mia e del gruppo Abele. lo seguirò le ragazze lungo il percorso che è già stato il mio".
Nella sciagura che l'ha colpita, lsoke è stata due volte fortunata: prima perché ha incontrato Claudio, un italiano sensibile e colto con cui è convolata a nozze nel marzo di quest'anno, e che si è trasformato subito in un coraggioso attivista. Secondo, perché ha tratto da se stessa la forza per capitalizzare la frustrazione e l'angoscia accumulate sul marciapiede, distillandole nel germe fecondo di un'iniziativa di grande valore sociale e umanitario. Nel libro scritto a quattro mani con Laura Maragnani, si fa spesso riferimento alle comunità di accoglienza a carattere pubblico e confessionale, e alla sterilità dei risultati finora raggiunti dalla loro azione (nonostante I'impegno profuso e l'indubitabile buona fede): sotto accusa è la rigidità dei requisiti di accesso, fra cui spicca l'obbligo di sporgere denuncia contro i propri sfruttatori (scelta rischiosissima per l'incolumità delle ragazze e dei loro familiari in Africa). 'La casa di lsoke" sta cosi prendendo vita ad Aosta, con l'obiettivo di un reinserimento graduale e non traumatico delle donne che ne faranno richiesta, sotto la guida di altre donne che hanno affrontato il loro stesso dramma.

Emiliano D'Angelo
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 7 Luglio)