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Lo Zafferano: il ritorno di un'antica coltura

in Terra di Lavoro
 
due fiori di zafferano con api
 

Lo zafferano è una delle spezie più apprezzate, ingrediente fondamentale di molti piatti della cucina tradizionale e di tante nuove proposte gastronomiche. Ben oltre il risotto alla milanese, lo troviamo nella gastronomia Siciliana (negli arancini o nel formaggio piacentino ennese), della Sardegna (dagli antipasti ai dolci) e di molte altre regioni, ovunque protagonista di nuove combinazioni di gusto, aroma e colore.
Più di un alimento, lo zafferano ha effetti benefici sulla salute, è un nutraceutico. Ricco di proprietà già note dalla scuola medica Salernitana ("Lo zafferano riconforta, stimola alla gioia, risana le viscere e fa riposare il fegato"), negli ultimi venti anni è stato al centro di numerose ricerche biomediche che hanno individuato, tra i suoi oltre 150 componenti, alcuni particolarmente efficaci nel trattamento di patologie importanti. Un recente saggio divulgativo sui "cibi che danno la felicità" (Fontanille e Grezaud, Lo zafferano è meglio del Prozac, Sperling & Kupfer Editori), richiama uno degli effetti comprovati da studi clinici, quello per il trattamento della depressione. Una prova, quindi, di quanto affermava la scuola medica Salernitana. La spezia è anche efficace contro la retinopatia diabetica, per alleviare i dolori mestruali ed è perfino promettente nella cura dell'Alzheimer.
Gli effetti positivi per il nostro organismo sono merito, soprattutto, della grande quantità di antiossidanti (1 grammo di zafferano contiene tanti caroteni quanto 1 kg di carote!) mentre tre componenti sono quelli che vengono misurati nella spezia essiccata e che la caratterizzano dal punto di vista organolettico: il safranale (conferisce il tipico aroma), la picrocrocina (responsabile del gusto amaro), la crocetina (potere colorante). Questi tre composti, oggetto di apposite analisi di laboratorio, connotano una spezia di prima qualità, ovvero di Categoria I.
Ma quando ci riferiamo allo zafferano, quale pianta e quale parte della pianta stiamo considerando? Il nome comune "zafferano" può essere attribuito a molte piante ma solo una è il vero zafferano, quello che impreziosisce il cibo e al contempo ci fa bene. L'etimologia deriva dall'arabo za'farān, che indica il colore giallo. In effetti furono molto probabilmente gli arabi ad espandere la coltura nel mediterraneo, intorno al X secolo d.C. La spezia era già nota nell'antichità: un affresco a Santorini ed uno a Creta ritraggono raccoglitrici e raccoglitori di zafferano e attestano la presenza della coltura nel mediterraneo orientale già nel II millennio a.C. Le origini della pianta, tuttavia, non sono ancora certe. Molto probabilmente la sua propagazione inizia 5000 anni fa, quando si formò un ibrido tra due piante spontanee presenti in medio oriente o nell'area dell'attuale Kurdistan. Lo zafferano è, infatti, un croco, Crocus sativus, parente di molte specie spontanee fra cui almeno due (Crocus suaveolens e Crocus biflorus) fioriscono abbondantemente nei castagneti del territorio sidicino e nelle aree limitrofe. Lo zafferano vero, invece, non esiste allo stato spontaneo perché l'unico evento di incrocio da cui si originò diede origine ad un ibrido sterile. Pertanto la sua propagazione è possibile solo attraverso la moltiplicazione dei bulbo-tuberi sotterranei poiché dal fiore non si sviluppa mai il frutto e i semi. Nei campi i fiori vengono raccolti giornalmente tra ottobre e novembre e subito si separa la porzione apicale della parte femminile, di colore rosso vivo e divisa in tre fili. Denominati stimmi o, ancor meno correttamente pistilli, questi fili vengono essiccati il giorno stesso della raccolta e conservati al buio e all'asciutto. Per l'uso devono essere prima polverizzati e poi lasciati in infusione in acqua, brodo o latte per almeno mezz'ora. In molti casi la spezia si trova in commercio già polverizzata ed in bustine. In tal caso il prezzo troppo basso e la dubbia origine fa nascere più di un sospetto sulla reale natura della polvere e alcune indagini hanno rilevato in qualche caso la presenza di altre parti del fiore, altre piante, addirittura coloranti chimici! Meglio se si sceglie, quindi, uno zafferano in fili, a garanzia della genuinità e della autenticità del prodotto. Meglio ancora se è "made in Italy"!
Ancora oggi sono i paesi delle probabili aree di origine ad essere i principali produttori della spezia. L'Iran produce da solo il 90% dello zafferano mondiale ma importanti produttori sono anche il Kashmir, la Grecia, la Spagna e l'Italia. Nel nostro paese si producono annualmente circa 600 kg di zafferano ma se ne importano oltre 20.000! Sebbene, per l'Italia, gran parte del prodotto abbia origine dalla Sardegna, in numerose altre regioni nell'ultimo decennio si sta iniziando la coltivazione mentre importanti produzioni dal punto di vista qualitativo e quantitativo sono presenti da secoli in Umbria, Toscana e soprattutto Abruzzo.
Fu qui, secondo quanto comunemente si tramanda, che nel XIII secolo il frate inquisitore Serafino Santucci, tornando dalla Spagna portò con sé, clandestinamente, alcuni bulbi di zafferano dando il via alla produzione nel Regno di Napoli e nella penisola italiana. "The greatest service which can be rendered any country is to add a useful plant to its culture” (Il più grande servizio che si possa rendere ad un Paese è quello di aggiungere una pianta alle sue colture) avrebbe affermato alcuni secoli più tardi Thomas Jefferson, terzo presidente nonché padre della nazione statunitense.
Forse i "primi" coltivatori dell'alto Casertano che una quindicina di anni fa, indipendentemente e senza sapere l'uno dell'altro, iniziarono a coltivare la preziosa spezia, non sapevano che stavano per rendere un servizio al loro territorio. Una decina di loro, nel 2016 iniziarono a fare rete ed il gruppo, arrivato ad aggregare una ventina di produttori dal Golfo di Gaeta al Beneventano, si costituì in un'associazione. Rifacendosi al territorio che fino a meno di un secolo prima riuniva tutti i comuni di produzione dei soci, l'associazione fu denominata "Associazione produttori Zafferano di Terra di Lavoro". Subito si dotò di un disciplinare di produzione che prevedesse metodi colturali tradizionali a basso impatto ambientale, senza perdere di vista, tuttavia, l'innovazione che la scienza e la tecnologia permettono: la sperimentazione di nuove pratiche agricole, sistemi di prevenzione a difesa delle colture a base di microorganismi del suolo, valutazione delle migliori tecniche di essiccazione, ecc. Oggi l'associazione collabora con l'Università della Montagna, centro di eccellenza dell'Università di degli studi di Milano, con l'Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli e con ricercatori del CNR di Portici.
L'associazione si prefissò come obiettivo anche la ricerca storica sull'uso della spezia nel territorio. Fu così che fu scoperto un articolo di Giovanni Sideri, abruzzese e membro della Società Economica di Terra di Lavoro, che sulla rivista "La Campania Industriale" del 1846 suggerisce entusiasticamente agli agricoltori della Provincia di iniziare a coltivare lo zafferano.
"Questa parte dell'antica Campania, che forma la provincia che abitiamo, meritatamente fu detta Felice, rispetto al suolo ubertosissimo, alla temperatezza del clima e ad ogni maniera di delizie e di commodi che in sé racchiude. Terra di Lavoro oggi è nomata, e si può bene affermare che vi si osserva quanto di meglio natura all'intiero Regno concesse e quanto di più giovevole produce: né gran male ne verrebbe a ritenerla qual simulacro dell'una e l'altra Sicilia; d'Italia stessa le cui costumanze, l'indole e il favellare divide; e persino di estranee regioni, onde vale ad imitare il commercio, le manifatture e l'ardimento del progresso.
Lunghe catene di monti, amene pianure, valli fiumi laghi celebratissimi, estinti vulcani, fertili campi, monumenti classici, templi famosi, archivi di storica unicità, stabilimenti d'industria, pastorizia, agricoltura, son tutti pregi incontrastabili: siccome, per lo contrario, non è men vero che se taluno non giunga alla desiderata perfezione, di suscettibilità certo non manca. Abitatori di questo ampio e fortunato paese, la gloria che ereditaste dall'età remota è in mano del tempo che strugge, le vostre opere son degne di quello che crea! Non vi arrestate di mettere specialmente a profitto il terreno che il cielo vi diede; e posti da banda i pregiudizi, le menti si scuotano e l'ingegno vi guidi ad imprese che non furono tentate sol per vana credenza di bene apporvi in correndo il mondo a suo verso."
(Giovanni Sideri: Della coltura, utilità e commercio dello Zafferano e saggio di una sua introduzione nei terreni di questa provincia. La Campania Industriale, Vol. IV, 1846).
Oltre ai toni che possono apparire enfatici, spicca l'esortazione a mettere da parte i pregiudizi. Condizione necessaria per agire ai fini del progresso economico anche introducendo una nuova coltura, ricordando le parole di Thomas Jefferson. A supporto della sua proposta Sideri riporta un importante esperimento svolto due anni prima presso Capua, in cui furono coltivati con successo un centinaio di bulbi aquilani ottenendo un promettente quantitativo di spezia. Non sappiamo quale sia stato l'esito negli anni successivi e forse altre ricerche forniranno ulteriori informazioni preziose. Tuttavia l'articolo è un documento importante perché stabilisce un "anno zero" della coltura dello zafferano in Terra di Lavoro, in provincia di Caserta, in Campania.
In realtà altre testimonianze, più incerte, si trovano negli annali del Regno, in cui lo zafferano viene riportato fra le colture all'inizio XIX secolo e, ancora prima, sarebbe stato annoverato, secondo qualche storico, negli statuti medievali del comune di Castellonorato (ora parte del comune di Formia).
Chini sui campi, ora a raccogliere, ora a eliminare le erbe infestanti, poi ancora a espiantare e quindi a ripiantare, i coltivatori di zafferano, siano essi appassionati o imprenditori, sanno quanto lavoro e passione c'è dentro ogni filo. E se vi aggiungiamo quanto sapore, aroma, colore, benessere questi minuscoli filamenti contengono, abbiamo come risultato un prodotto che degnamente può rappresentare tutte le virtù del nostro territorio e dei suoi abitanti.

Antonio Croce
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 1 Gennaio)

 
un cesto con i fiori, durante la raccolta
 
i fili, o stimmi, essiccati