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Itinerari di viaggio (in Terra Santa) e loro circolazione

 

Il 20 novembre 1488 una ambascerìa della repubblica di Firenze partì alla volta dell'Egitto proseguendo poi verso Gerusalemme. I particolari di questo viaggio sono da attribuirsi alla penna del cappellano ser Zanobi di Antonio del Lavacchio, originario di Volognano presso Firenze, e membro della spedizione guidata dall'ambasciatore Luigi Della Stufa (1453-1535) [«Relazione di un viaggio al Soldato d'Egitto e in Terra Santa», a cura di G. CORTI, Archivio Storico Italiano CXVI/2 (1958), pp. 247-66].
Sebbene questa redazione sia tradìta da un unico MS, conosciamo un'altra relazione che riferisce dello stesso viaggio o almeno di parte di esso. Il redattore di questo secondo scritto è Michele da Figline, nei dintorni di Prato, che partito il 16 maggio 1489, seguendo un percorso diverso (Prato, Venezia, Modone, Creta, Alessandria, Cairo, Gerusalemme…), si unì in un secondo momento alla missione diplomatica fiorentina che, giunta al Cairo, aveva l'incarico di stringere rapporti commerciali con il sultano Qā'it Bey (1468-95) [M. MONTESANO, «Tra pellegrinaggio e missione diplomatica. Le testimonianze di Michele da Figline e di Zanobi di Antonio del Lavacchio (1488-1489)», in Quel mar che la terra inghirlanda. Studi sul Mediterraneo medievale in ricordo di Marco Tangheroni (Percorsi, 14), a cura di F. CARDINI - M. CECCARELLI LEMUT, Ospedaletto-PISA, Pacini, 2007, II, pp. 513-26; Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-90) (Valdarno medievale, 4), a cura di M. MONTESANO, Roma, Viella, 2010 (testo originale del viaggio di ser Michele)]. In realtà, sono le soste effettuate dopo Roma ed elencate nel primo diario ad aver colpito la nostra attenzione. La comitiva diplomatica segue un percorso particolare che costeggia in parte il litorale laziale, il 30 novembre «ci partimo di Roma e pasamo da Marino e dipoi entramo nella selva di Belletri [Velletri]… andamo a Terracina… e trovamo una terra chiamata Fondi, che a questa città chomincia el reame di Napoli… e trovamo una terra chiamata Itri… e andamo a 'lloggiare a un castello chiamato Mola, ch'è in sulla marina apresso a Gaeto… partimo da Mola e andamo a fare coletione a Garigliano… dipoi andamo a 'lloggiare alla Torre a Francholesi… partimmo da detto luocho e andamo miglia 8 e trovamo la città di Chapua e di poi andamo miglia 8 e trovamo la città chiamata Aversa, e quivi facemo coletione. E lla sera andamo a 'lloggiare nella città di Napoli…». A Napoli, la sosta fu molto lunga perché la comitiva assisté alle nozze tra Isabella d'Aragona (1470-1524) e Gian Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1469-1494), assente alla cerimonia ma rappresentato dal fratello Hermes (1470-1503), quindi l'imbarco alla volta della Sicilia per arrivare poi ad Alessandria, e proseguire alla volta della Terra Santa.
Un'altra relazione di viaggio, quella del «mercato Mediolani et utens stratis» Bernardino Dinoli, partito da Venezia nel 1492 alla volta di Gerusalemme, permette di definire meglio alcune considerazioni [La “Jerosolomitana peregrinatione” del mercante milanese Bernardino Dinoli (1492): dal codice della Biblioteca Statale di Lucca: ms. 1301, cc. ir-37v (Viatores. Studi e testi di viaggio e pellegrinaggio, 1), a cura di I. SABBATINI, Lucca, M. Pacini Fazzi, 2009]. Ilaria Sabbatini ha ipotizzato dall'analisi di uno stemma araldico che l'appartenenza dell'unico testimone di questo diario sia da attribuirsi alla famiglia Tibaldeschi di Ferentino. La studiosa ha isolato nell'ambito di questa famiglia, originaria di Roma e con rami collaterali a Roma, Norcia, Ascoli Piceno, Monferrato, Ferentino, il vescovo «Fabrizio Aurelio», nipote del pontefice Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte, 1550-55) che lo elevò alla cattedra vescovile nel 1544. Più o meno contemporaneamente, questo prelato fu insignito della Croce di Malta ovvero del Sovrano Militare ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, una cui domus è attestata a Ferentino [G. FLORIDI, La commenda melitense e l'ospedale di S. Giacomo di Ferentino: con notizie sulla commenda melitense di Pontecorvo, Fondi e Gaeta e sui rapporti tra l'Ordine di Malta e la Comunità del basso Lazio, Ferentino-FR., Centro di Studi Storici Ciociari, 1990, p. 31], altre a Capua, Teano, Sessa Aurunca, Pietramelara, Aversa, Nola, Benevento... Pertanto «È probabile che il vescovo, reperita una copia del manoscritto nell'ambito dell'ordine, ne sia entrato in possesso opponendovi il proprio segno di riconoscimento» [I. SABBATINI, «Libro di preghiere e racconto di viaggio. Il diario di Bernardino Dinali tra liturgia e odeporica alla fine del Quattrocento», Liber Annuus-Jerusalem, LX (2010), p. 276]. Se le supposizioni della nostra studiosa fossero corrette, un altro diario di viaggio sarebbe stato direttamente fruibile a Ferentino, una località in cui convergevano più segmenti del sistema viario centro-meridionale, tra cui la «via Latina» il cui tracciato collegava Roma a Capua [R. GELSOMINO, Ferentinum nel sistema viario romano (primo secoli a.C.-quarto d.C.) (Studi e Testi del Dipartimento di Teoria e Documentazione delle Tradizioni culturali – sez. Scienze dell'Antichità, 2), Roma, Herder, 1986, pp. 14-72], e disponibile, insieme a scritti di vario genere, anche nei luoghi di sosta dei molteplici percorsi utilizzati da viaggiatori e pellegrini. Ciò proverebbe, almeno in certi ambienti, forse per motivi devozionali, la circolazione di una produzione letteraria tanto particolare.
Queste fonti civili risultano estremamente interessanti per le conoscenze che veicolano. In tal senso, si potrebbero inquadrare alcuni dei tanti «arabismi» attestati in italiano [zucchero, libeccio, scirocco, azzimato, turcimànno («interprete»), fóndaco («edificio o complesso di edifici dove, nel medioevo e nei secoli successivi, i mercanti forestieri per concessione dell'autorità del luogo depositavano le loro merci, esercitavano i loro traffici e spesso anche dimoravano»), limone…], napoletano («ammuina», «muccatùro», «mesàle», «mammalùcco», «taùto/tavùto», «salamëlécchë/salamelìcche», «sarràino/sarracìno», «sciué, sciué»…), e in altre lingue [Ludolf von Sachsen (ca.1300-1377/8) riferisce che in Sicilia l'arabo era utilizzato nella liturgia cristiana e perciò presente direttamente nella vita civile e religiosa: De Itinere Terræ Sanctæ Liber (Bibliothek des Litterarischen Vereins in Stuttgart, 25), hersg. von F. DEYCKS, Stuttgart, Litterarischer Vereins, 1851, cap. XIV. De Sicilia Insula, p. 20], e dialetti peninsulari.
Il sostràto culturale «orientale» («arabo» ed «ebraico», per esempio) proprio dell'Italia centro-meridionale andrebbe sezionato più di quanto non avvenga di solito, e ciò perché le fonti testimoniano la presenza sul territorio di «altri» e «diversi», dagli atteggiamenti non necessariamente ostili. Interessante, da questo punto di vista, è la donazione risalente al 743 fatta da uno sculdascio «Saracenus» - attivo presso la corte beneventana - al monastero cassinese, previa autorizzazione del principe longobardo di riferimento: Gisulfo II di Benevento (?-751). È evidente che si tratta di un convèrso, quello che colpisce maggiormente è che devono esserci state infiltrazioni arabe nella penisola, anteriori al IX secolo, di cui si sa poco o nulla, e che questo personaggio, senza nascondere la propria origine, sia riuscito a emergere nella complessa amministrazione beneventana, al punto da divenire proprietario del monastero benedettino, di cui rimane solo qualche rudere, di S. Maria in Cingla nella valle del Volturno, nel territorio di Ailano [E.M. BERANGER, «Presenze ed influenze saracene nel Medio e Basso Liri (IX-XII sec.)», in Presenza araba e islamica in Campania (Napoli-Caserta, 22-25 novembre 1989), a cura di A. CILARDO, Napoli, I.U.O., 1992, p. 56 s.]. Inoltre, sebbene ci siano scarsi riferimenti di tal genere, dalle cronache abbiamo pure notizia di un prestito fatto da ebrei, precedentemente all'anno 1022, a favore dell'abbazia cassinese [Die Chronik von Montecassino (Monumenta Germaniæ historica. Scriptores, 34), hersg. von H. HOFFMANN, Hannover, Hahnsche, 1980, II 43 p. 250], e ciò sembra indicare che alcuni personaggi sarebbero stati attivi quali «prestatori di denaro».
D'altra parte, la presenza di ebrei nei territori che ci interessano deve essere stata notevole, il Libro di viaggi del geografo ed esploratore spagnolo Binyamin da Tudela (ca.1130-ca.1173), una fonte ritenuta attendibile, indica la presenza a Napoli, intorno al 1165, di circa 500 israeliti, a Roma 200; Capua 300; Salerno 600; Amalfi 20; Benevento 200, tenendo presente che il numero è assunto da alcuni studiosi non per unità, ma come indicazione dei soli capifamiglia o dei gruppi familiari. Ciò detto, queste cifre sono destinate ad aumentare notevolmente [The Itinerary of Rabbi Benjamin of Tudela: Critical Text, Translation and Commentary, ed. by M.N. ADLER, New York, Philipp Feldheim, Inc. 1907 (ebraico a fronte); G. LACERENZA, «Memorie e luoghi della cultura ebraica», in Napoli nel Medioevo. I: Segni culturali di una città (Le città del Mezzogiorno Medievale, 4/1), trad. dal francese di A. FENIELLO, Galatina-LECCE, Congedo, 2007, pp. 59-75].

Rosa Conte
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 8 Agosto)