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Pubblicato il libro di Martino Amendola:

Teano nella seconda guerra mondiale
Parte prima - La deportazione
 

È stato appena pubblicato, a cura del comune di Teano, il lavoro di Martino Amendola su Teano nella 2^ guerra mondiale, con la parte prima dedicata alla deportazione del 23 settembre 1943.
Dopo oltre settant’anni dai tragici eventi del 1943/1945 questa ricerca, che vede protagonista la nostra associazione Erchemperto e il Sidicino, per l’autore e per il giornale, da sempre impegnato nella costruzione di un sentire comune, legato alle nostre radici storico-culturali, sulle cui pagine presero il via i primi studi in merito, rende finalmente percepibile quello sciagurato periodo e quelle dolorose vicende legate alla deportazione, alla devastazione del paese e alle innumerevole morti che lo insanguinarono, il cui ricordo era rimasto relegato in un ristretto ambito familiare.
Di seguito, a illustrazione di tale lavoro, presentiamo la prefazione del prof. Giovanni Cerchia, ordinario di Storia Contemporanea dell’Università del Molise.

 
 

L’8 settembre 1943 l’Italia s’arrendeva senza condizioni agli anglo-americani e per l’ex alleato tedesco sembrò un a conferma di tutti i sospetti maturati fin dalla rimozione del duce, appena 45 giorni prima. La prima preoccupazione della Wehrmacht fu quella di neutralizzare un demoralizzato Regio esercito lasciato a se stesso dalla diserzione dei vertici politici e militari (1), con una rapida occupazione del territorio italiano e il contenimento della Quinta Armata di Clark - nel frattempo sbarcata in modo assai maldestro nella piana del Sele - riuscendo quasi a ributtarla in mare (2). L’invasione si riassumeva, infatti, in «una valanga d’errori» (3) (come fu descritta da uno dei partecipanti) e riusciva solo per il rotto della cuffia, grazie al massiccio martellamento dell’entroterra operato dalla flotta dislocata nel golfo di Salerno e ai raid dell’aviazione statunitense che, tra il 9 e il 14 settembre, colpivano in maniera devastante e indiscriminata città e snodi logistici della Campania, dell’Abruzzo e del Molise, provocando tra l’altro un enorme numero di vittime civili (4).
I tedeschi decidevano allora di ripiegare in maniera lenta e ordinata verso nord tra il 16 e il 17 settembre, vendendo assai cara la pelle e predisponendo nelle proprie retrovie una serie di linee difensive destinate a culminare nella costruzione di un vallo di resistenza a oltranza: la linea Gustav che andava dal Garigliano a Ortona, tagliando per Cassino e la valle del Liri. L’obiettivo della Wehrmacht - non ci sono unità delle SS nel Mezzogiorno - era quello di realizzare una ritirata che non assomigliasse neanche lontanamente a una rotta, ridislocando le proprie forze per contenere lungamente il nemico a sud di Roma, il più lontano possibile dai confini meridionali del Reich. Per farlo, tuttavia, aveva bisogno di tempo, di manodopera e di risorse. Era soprattutto per queste necessità belliche che i comandi tedeschi introducevano nell’area di combattimento le terribili regole d’ingaggio stragiste già sperimentare nella guerra e nella controguerriglia in Unione Sovietica (5). Introducevano così un regime di gestione del territorio assolutamente spietato, corredato in sovrappiù da una serie di specifici ordini che aggravano l’impatto negativo dell’occupazione ai danni della popolazione civile. Uno stillicidio che provocava le resistenze e le stragi (6) che segnavano drammaticamente tutto il territorio che andava tra Salerno e Cassino, fino allo sfondamento della Gustav nel maggio del 1944 (7). Le direttive erano tre: ritirarsi distruggendo ogni cosa, fare terra bruciata come l’Armata Rossa aveva insegnato ai danni di Hitler nella campagna di Russia; nutrirsi espropriando le riserve alimentari dei civili, condannandoli di fatto alla morte per fame, per preservare le proprie riserve; reclutare coattivamente una moltitudine di schiavi (8) italiani, con riferimento ai nati tra il 1910 e il 1925, da immettere nelle fabbriche tedesche o impiegare nell’edificazione delle linee di resistenza tra il Volturno e Cassino.
Il 23 settembre del 1943 fu, per l’appunto, il giorno del sacco degli uomini nell’area di combattimento a sud della provincia di Napoli, con l’esclusione del capoluogo. Quest’ultimo fu incluso solo tre giorni più tardi, con la pubblicazione del famigerato manifesto ispirato da Scholl (comandate tedesco della piazza militare di Napoli) e sottoscritto dal prefetto Soprano che scatenava l’insurrezione delle Quattro giornate (9). Nel complesso, secondo Lutz Klinkhammer la razzia germanica raccoglieva all’incirca 20 mila uomini da tutta la Campania (10), una cifra sostanzialmente confermata anche dal più recente lavoro di Carlo Gentile (11), con la metà dei catturati che veniva concentrata nell’importante campo approntato a Sparanise, prima d’essere caricata sui carri bestiame e inviata oltre il confine del Brennero via Bologna (come testimoniano, peraltro, le carte del XIV corpo d’armata della Wehrmacht). Cifre di tutto rispetto, se davvero ha ragione ancora Klinkhammer nel sottolineare che i deportati da tutto il nostro Paese, tra l’ottobre del 1943 e il dicembre del 1944, furono poco meno di 75 mila (12). Un enorme e disperato contributo del Mezzogiorno alla macchina bellica nazista, stranamente dimenticata dalla monumentale indagine scientifica in due tomi pubblicata da Mursia nel 2019, a cura di Brunello Mantelli (13). D’Altra parte, non è che ci si potesse aspettare qualcosa di molto diverso da uno studioso convinto che le Quattro giornate di Napoli siano un mito sopravvalutato.
La vicenda di Teano che propone Martino Amendola va inserita nel contesto di queste terribili esperienze collettive; un lavoro prezioso sia per la grande capacità divulgativa dell’autore, sia per le testimonianze che alimentano il suo racconto. Colpisce, inoltre, l’apparato documentale che fa definitiva giustizia - se ancora ce ne fosse bisogno - di tutte quelle obiezioni che si spingono quasi a negare la stessa esistenza delle deportazioni in Germania dal Mezzogiorno. Obiezioni il più delle volte giustificate dalla carenza della documentazione amministrativa, tipica invece nell’area d’insediamento della Repubblica Sociale Italiana a nord della Gustav.
Sopra ogni cosa, però, il libro di Amendola ci restituisce un pezzo di memoria e pretende una riflessione senza indulgenze, chiamando in causa le responsabilità e il tanto dolore di quei terribili giorni dell’autunno del 1943, quando la guerra si presentava sull’uscio di casa e chiedeva agli italiani di saldare il conto con la propria storia.

Note
(1) Cfr. Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, Il Mulino, Bologna, 2003; Gerhard Schreiber, La vendetta tedesca, Mondadori, Milano, 2000.
(2) Cfr. Rick Atkinson, Il giorno della battaglia. Gli Alleati in Italia 1943-1944, Mondadori, Milano, 2010, pp. 262 e ss.
(3) Hugh Pond, Salerno! Il giorno più lungo in Italia: operazione Valanga, valanga di errori e di morti, Longanesi, Milano, 1966, p. 7.
(4) Cfr. Giuseppe Angelone, Bombardamenti americani su Terra di lavoro, in «Meridione. Sud e Nord del Mondo», n. 2-3 del 2015, pp. 93 e ss; Id., Bombs on target, in Giovanni Cerchia (a cura di), Il Molise e la guerra totale, Iannone, Isernia, 2011; Marco Gioannini e Giulio Massobrio, Bombardate l’Italia. Storia della guerra di distruzione aerea (1940-1945), Rizzoli, Milano, 2007, pp. 391 e ss.
(5) Cfr. Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Donzelli, Roma, 1997, pp. 50-53.
(6) Cfr. Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2003.
(7) Cfr. Carlo Gentile, I crimini tedeschi in Italia (1943-1945), Einaudi, Torino, 2015, pp. 95-96.
(8) Cfr. Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia (1943-1945), Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 131; Gabriella Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.
(9) Cfr. Giovanni Cerchia, La Seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno. Resistenze, stragi e memoria, Luni, Milano, 2019, pp. 297 e ss.
(10) Cfr. Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia (1943-1945), cit., nota 510 a p. 93.
(11) Per Carlo Gentile erano ben 21 mila i rastrellati sul finire del mese di settembre 1943: cfr. I crimini tedeschi in Italia (1943-1945), cit. p. 97. Cfr. anche Felicio Corvese, Deportazione e prigionia dei civili dell’alto Casertano nella Germania nazista, in G. Angelone (a cura di), Mignano 1943: Montelungo, istantanee nella storia, Formia, 2011; Id, Stragi, deportazioni e resistenza nella Campania settentrionale, in Id. (a cura di), Mezzogiorno tra tedeschi e alleati. La guerra al sud: dall’invasione della Sicilia alla resa tedesca a Caserta (28 luglio1943 – 29 aprile 1945), in «Meridione Sud e Nord nel mondo», n. 1 del 2017. Alcune importanti testimonianze delle deportazioni dei civili del casertano sono raccolte nel documentario Cavalli 8, uomini 40. Storie di deportati campani al lavoro coatto nel Terzo Reich, a cura del Centro Daniele-Istituto campano perla storia della Resistenza e dell’età contemporanea «Vera Lombardi», 2007.
(12) Cfr. Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia (1943-1945), cit., pp., 176-177.
(13) Brunello Mantelli (a cura di), Tante braccia per il Reich. Il reclutamento di manodopera nell’Italia occupata 1943-1945 per l’economia di guerra nazionalsocialista, 2 voll, Mursia, Milano, 2019.

Giovanni Cerchia
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 9 Settembre)