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Identità e memoria in un paese che cambia

 
Per il 153° anniversario dello storico incontro del 26 ottobre 1860, che portò all'unità d'Italia, tra le varie manifestazioni organizzate dall'Amministrazione comunale per onorare il ricordo di quell'evento, e ripensare e rinsaldare le ragioni e gli ideali che portarono alla nascita della nazione Italia, particolarmente positiva e di spessore è risultata quella di apertura del 25 ottobre, presso la sala convegni dell'Istituto Alberghiero di Viale Ferrovia. Il tema dell'incontro pubblico è stato : - Ricominciare da Teano: Identità e memoria in un paese che cambia. Relatori i professori Giovanni Cerchia dell'Università del Molise, e Augusto Ferraiuolo della Boston University. Qui di seguito riportiamo un'ampia sintesi dell'intervento di Giovanni Cerchia.
 

La preoccupazione per la storia, intesa come disciplina scientifica per la narrazione del passato e la corretta elaborazione della memoria collettiva, nasce e si consolida di pari passo con l'affermarsi della modernità post-neolitica. Difatti, sono gli sconvolgimenti connessi alle due rivoluzioni che segnano la seconda parte del XVIII secolo (quella industriale e quella francese) a spingere gli europei verso la ricerca di un nuovo fondamento del potere sovrano — di per sé immanente nella storia e al suo procedere sempre più rapido e vorticoso.
In altri termini, quanto accade a Londra e a Parigi sembra mutare allora la nostra stessa percezione del mondo, non più ancorato a un ordine naturale, sacrale e immutabile, ma avviato sulla strada di un grande cambiamento che, pertanto, va indagato nelle sue origini e nelle sue leggi di sviluppo.
E non era affatto solo una preoccupazione di carattere intellettuale: tutto si trasforma rapidamente e in termini radicali, come mai prima era accaduto in passato, liberando uomini e donne dalle catene dell'ancien regime, delle gerarchie feudali, dei ritmi lenti e ripetitivi della produzione agraria.
Questa nuova esistenza borghese, quella del terzo stato che prende la Bastiglia e costruisce le prime macchine a vapore, spinge verso una competizione individualistica estremamente attiva e determinata, finalmente pronta a dare l'assalto al mondo, manipolandolo e sofisticandolo a seconda dei propri bisogni e delle proprie aspirazioni.
Per farlo, scaccia via l'antica legittimazione divina del potere politico e sociale, individuando nella volontà generale espressa dalla comunità il nuovo fondamento del sovrano che non può più tollerare i principi del vecchio mondo ormai al tramonto.
Se ne accorse a sue spese Luigi XVI, ghigliottinato sulla pubblica piazza nel 1793.
Diversamente, la nuova sovranità deve essere, allo stesso tempo, espressione di una ricerca che ordini sia il tempo che lo spazio. Nel primo caso, per indicare ed esprimere i caratteri propri, duraturi di una collettività (detentrice della sovranità), individuando ciò che la costituisce geneticamente, ciò che non muta nonostante il grande cambiamento che sta travolgendo tutti gli equilibri e gli assetti del passato.
Nel secondo caso, l'obiettivo è quello di definire gli ambiti territoriali al cui interno possa legittimamente esercitarsi il potere sovrano, ora non più affidato al potere assoluto di un monarca-proprietario unto dal signore.
Era così che nasceva l'idea di nazione, una comunità immaginata (come la definiva Anderson), una tradizione che si rinnova da una generazione all'altra, un sentimento di appartenenza che giustifica l'esistenza di un corpo collettivo che si rappresenti come qualcosa di ben diverso dalla pura e semplice somma di un certo numero di individui.
Chabod ci avrebbe poi raccontato che le due principali tradizioni culturali — quella francese e quella tedesca — che rielaborano-inventano la nazione, sono profondamente divise sui caratteri principali e sui compiti da assegnare a questa nuova categoria dell'esistenza. Per i primi, la nazione è in primo luogo frutto di una scelta di un atto di volontà: un plebiscito di tutti i giorni, dice Ernest Renan nel 1882, nella sua celebre prolusione alla Sorbona. Per i secondi, invece, la volontà non è una risorsa decisiva, perché la nazione dipende da un'appartenenza naturalistica degli individui a un corpo collettivo. Erano il sangue e il suolo, rimarca Herder, a definire il carattere del popolo tedesco.
Eppure, nonostante le differenze, e i suoi conseguenti esiti, in ambedue le interpretazioni la nazione resta fondamentalmente uno strumento di rassicurazione degli uomini scaraventati nella modernità, una strada da percorrere insieme per evitare che l'individualismo borghese si traduca in una radicale lacerazione di ogni tessuto collettivo, sia nella società che sul piano politico-istituzionale.
Quel che conta, insomma, è l'avere una lingua e una storia in comune: un passato che ci imprigiona l'uno agli altri, senza il quale è non solo incomprensibile il presente, ma risulta inimmaginabile ogni progetto per il futuro.
La memoria diventa così una risorsa cruciale della nostra epoca, il nocciolo di ciò che ci costituisce come individui e come comunità.
In conclusione, la nostra riflessione sull'Italia, sulla sua difficile e assai complicata nascita un secolo e mezzo fa, non riguarda soltanto il passato.
La presa d'atto delle luci e delle (tante) ombre di quel nostro cammino ci sono utili oggi, per avere piena consapevolezza del nostro presente, per tirare le somme del lungo cammino compiuto; e, speriamo, per poter continuare a scommettere insieme sul nostro futuro.
Ma il come farlo non dipende dalla storia o da qualsiasi altra disciplina scientifica. Sta alla nostra responsabilità e alle nostre scelte. Il passato ci dice soltanto ciò che è stato. Ciò che sarà appartiene al regno della libertà.

Giovanni Cerchia
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 11 Novembre)