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Teanesi e Garibaldesi

 
Quando i Ducati viaggiavano in carrozzino
 

A cavallo del 1860, sul palcoscenico poliedrico e policromo dell'Italia Pre, Unitaria e Post, si aggirava e si agitava, si confrontava e si scontrava il fantasma d'una folla di personaggi che obbedendo ad un'occulta e sapiente regia, si vendevano al miglior offerente oppure beneficiavano l'idiota più utile per il raggiungimento dei loro fini personali o di consorteria, quasi sempre oscuri, inconfessabili e indecorosi.
E non ci riferiamo solo ai Piemontesi (Cavour in testa), che evitarono la bancarotta grazie alle grasse casse del Sud; né soltanto agli inglesi, che chiusero un occhio (se non due) per dare una mano alla storica impresa dei Mille; e nemmeno ai francesi, che più di una volta avevano cercato di indurre in tentazione la dinastia Borbone per disegnare un'Italia a loro immagine e somiglianza: ci riferiamo pure ai teanesi ed ai Garibaldesi! Al tempo dell'epopea dell'Eroe dei due mondi, i suoi seguaci venivano chiamati, per l'appunto, Garibaldesi (o anche Garibaldiani); il termine Garibaldini, risulta essere nato nel 1861; ma anche dopo l'Unità d'Italia si continuò a usare il termine che fa rima con teanesi, volendo indicare con esso non soltanto i seguaci di Garibaldi, ma tutta la numerosa e famelica moltitudine di coloro che impudentemente e impunemente “montarono sul carro del vincitore”. E non di rado, montarono pure sul c.d. Carrozzino (in senso metaforico).
Più esattamente, Garibaldesi e Piemontesi (ma anche Catanesi, Messinesi, Calabresi, Pugliesi ecc.) non vi presero posto, ma lo fecero il Carrozzino! Pur senza essere né carrozzieri né carrettai. A quei tempi fare un Carrozzino voleva dire prendere/dare una tangente! E stando alle cronache ed ai documenti, nel Reame, durante la “Dittatura di Garibaldi” – che non prese né tenne mai niente per sé – i Carrozzini, purtroppo non si contavano! Ma che c'entrano i teanesi? E' presto detto; c'entrano non per fare rima o comunella coi Garibaldesi, ma per prenderne le distanze, per imporsi come maestri di etica professionale, di onestà, competenza.
A questo proposito ci piace ricordare alcuni dei nostri concittadini che si fecero onore e lasciarono un esempio da pochi raccolto. Cominciamo con il barone Tommaso Zarone, che fu Capo del Presidio della Guardia Nazionale a Teano nel 1833.
Negli anni '30 sedettero nella Regia Corte Suprema di Giustizia Giovanni Cipriani e Nicola Gigli (questi nel 1848 diventò Pari del Regno e Ministro di Grazia e Giustizia); il carbonaro Felice Cardente, che il giorno dell'Incontro di Teano era agli arresti (successivamente, nell'VIII Legislatura, diventò deputato).
Nicola Amore, deputato e poi direttore Generale di Polizia; Lorenzo Zarone, deputato e poi Presidente dell'Amministrazione Provinciale; Angelo Broccoli, deputato e poi fondatore dell'archivio Storico Campano (G. Zarone, Teano: immagini di un secolo).
Ora passiamo ad illustrare alcuni Garibaldesi e alcuni Carrozzini davvero clamorosi, al cui confronto la nostra attualità impallidisce … con tangentopoli, calciopoli, affittopoli, Scilipoti, Finmeccanica, sanitopoli, Bunga Bunga, Ruby, Mediaset, Scaiola, che si ritrova proprietario di una casa a Roma, fronte Colosseo, a sua insaputa! Lusi, il Senatur, Fiorito detto “Batman”, Polverini, Formigoni ecc. ecc. Carrozzini che neanche le menti più raffinate e perverse dei nostri politicanti avrebbero potuto concepire! Ne citiamo uno per tutti: un ministro ed un segretario generale della Dittatura, Francesco Crispi e Agostino Bertini fecero un Carrozzino moderno liberale sulla concessione delle Strade Ferrate alla Soc. Adami e Lemmi di Livorno: il Carrozzino ammontava a 65.000 franchi, corrispondenti a 15.275 ducati napoletani e a circa 65.000 lire piemontesi.
Ma non basta, il siciliano Crispi, noto squattrinato, fino all'arrivo di Garibaldi a Napoli, barattò subito dopo, con tale Bracci (Direttore degli Affari di Sicilia a Napoli) una Madrefede del Banco di Napoli, cioè un titolo rappresentativo di beni, del valore di 93.000 ducati (circa 395.250 lire piemontesi) e con quei soldi si comprò un palazzo a Palermo, in via Maqueda; in cambio il Bracci ottenne un “ritiro” dal servizio con una pensione di 3.000 ducati l'anno (circa 12.750 lire piemontesi) (Antonio Settembre, Dalle camicie rosse alle camicie verdi).
Ora viriamo sul comico, per così dire! I militari destituiti (a Napoli) nel 1849, a seguito dei moti del '48, anticiparono i tempi e andarono oltre le frontiere dei tesorieri e consiglieri regionali odierni: si fecero pagare “tutti gli averi in una sola volta”, cioè tutto ciò che avrebbero ricevuto (promozioni e carriere comprese) dal '49 al '60 se fossero rimasti in servizio.
Raffaele Conforti, che chiamava ladri i Borboni, essendo stato Ministro liberale per poche settimane nel 1848, fu pagato fino al 1860: ve lo immaginate un Ministro che rimane in carica per 12 anni consecutivi?
Il “soldo” da lui incassato fu di ben 60.000 ducati! All'albero della cuccagna partecipò persino il romanziere francese A. Dumas, che insieme a De Cesare e Ferrigni, si spartirono 400.000 ducati; il primo per studiare la storia, il secondo l'economia e il terzo la scienza del culto.
E cosa dire di Pier Silvestro Leopardi processato e graziato dai Borboni? Costui, essendo stato incaricato di Affari di Re Ferdinando II presso Carlo Alberto nel 1848, per soli 17 giorni, chiese ed ottenne la “pensione di ritiro” di 12.000 franchi l'anno. Quanti sono i pensionati di oggi che si avvicinano non ai 12.000 franchi d'allora, ma ai 12.000 euro l'anno?
È proprio vero: chi trova un amico trova un tesoro. Ma chi trova un tesoro che cosa trova?

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 3 Marzo)