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Le delega

 
un alibi o una trappola
 

L'argomento è quanto mai complesso e intrigante, anche se il titolo si presenta piuttosto ammiccante e stimolante. Cosicché le riflessioni e valutazioni che seguono, sempre personali e discutibili, prendono il via dalla cronaca, per passare poi alla trattazione, necessariamente lacunosa e soggettiva, dell'oggetto principale del presente contributo: la “delega”; intesa non come istituto del c.c., bensì come categoria dello spirito, come scelta di vita o, se si preferisce, come atto di fede dell'uomo che, volontariamente o involontariamente, si affida ad altri o ad altro… nella sua temporalmente trascurabile avventura terrestre.
Apriamo allora le danze giocando in casa e muovendo dal gennaio 1970, quando la scuola elementare “Garibaldi” era ospite dell'attuale edificio della scuola media di Viale Ferrovia. Una nota e distinta signora ch'era solita farsi procedere da un'avvolgente nube di mefitico fumo nicotinico si presentò nell'aula del figlio e disse all'insegnante mentre gli restituiva la pagella del primo trimestre: “la mia presenza qui coincide con un'assenza arbitraria dal mio posto di lavoro e questo non deve più accadere… perché l'art. 34 della Carta rimane soddisfatto, per quanto mi riguarda, anche con la sola frequenza. Non contesto i voti in pagella né l'eventuale futura bocciatura; le chiedo solo di onorare la “delega” che la famiglia esercita nell'affidare i figli alla scuola: Mio figlio è scarsamente motivato? Rende poco? Pazienza… lei ne prenda atto e agisca di conseguenza, tenendo presente che se viene meno la delega… la scuola deve chiudere!”.
L'insegnate non poté fare altro che registrare la (discutibile) posizione della signora e, senza formule consolatorie ne autoassolutorie, si limitò a ricordarle che l'art. 34 della Costituzione può essere soddisfatto anche con la cosiddetta “Scuola paterna”, ai sensi di un altro articolo, il 174 del T.U. 5 febbr. 1928, n. 577. La signora dovette accusare il colpo e, congedandosi, disse che ci avrebbe fatto un pensierino. Ma il viaggio umano, culturale e professionale del figlio sta – ancora oggi – a dimostrare che, tutto sommato, la “delega” ha funzionato! E continuerà a funzionare, nella scuola come nella religione, nella politica, nella sanità…
Diciamo la verità: la delega è una comodità! Di esempi e dimostrazioni in materia ne esistono a iosa, a portata di tutti; c'è solo l'imbarazzo della scelta! Personalmente ci vengono in mente – in questo momento – le prefiche e Totò, che prendendo materialmente i ceffoni destinati a Pasquale, si consolava dicendo:”Mica mi chiamo Pasquale, io”! Tornando a tromba, ci piace fornire un altro esempio, apparentemente semiserio, ma significativo e realmente accaduto ma qualche centinaio di Km da Teano ed avente per protagonisti dei Teanesi, da tempo trapiantati in quel di Sesto S. Giovanni e quindi Sestesi doc. Siamo sempre negli anni settanta: Lotta continua, Brigate rosse (e Nere), Espropri proletari, Lotta armata, ecc. Per i proletari l'obbligo scolastico era una sorta di pena da scontare, di sacrificio inutile e penoso, ed anche costoso, visto che sottraeva braccia e risorse alle famiglie che, quasi scientemente, finivano per far percepire ai figli la scuola come un carcere. Figuriamoci come questi ci correvano e se ne nutrivano di buon grado! A casa dei nostri “Sestesi” – naturalmente etichettati e trattati come “terroni” – arrivavano ogni settimana tre cartoline-invito dalla presidenza della >Scuola media frequentata dal terzetto targato “sidicino”: una femminuccia e due maschietti (3^, 2^ e 1^ classe). Motivo? Comunicazioni urgenti. Un bel giorno il papà chiese due ore di permesso alla Magneti Marelli e decise di farsi conoscere dal preside, il quale, traumatizzato da quell'incontro-scontro, risulta che l'indomani non si presentò a scuola e qualche settimana dopo fu sottoposto a T.S.O. presso l'Ospedale Niguarda del capoluogo lombardo … Cosa si erano detti i due? Il Capo d'Istituto, dopo aver ricordato al suo scorbutico interlocutore che la famiglia ha l'obbligo di provvedere all'istruzione dei figli in forza dell'art. 34 della Costituzione; che è interesse dei genitori vigilare sulla frequenza, sull'impegno, sulla condotta dei propri figli ecc.; accennò pure alla singolare circostanza che trovava i tre ragazzi quotidianamente “privi” di materiale librario e scrittorio e che, essendo ormai cessata la fase dell'assistenza fornita dai Patronati Scolastici si poteva invocare l'assistenza scolastica ormai delegata agli EE.LL. a norma di legge. Non l'avesse mai detto! Il genitore, rosso in volto e incerto sulle gambe, balzò in piedi e, approfittando della fortuita circostanza che il vice preside si era momentaneamente allontanato, estrasse dalla tasca una pistola giocattolo e la puntò contro colui che in quel momento vedeva come un suo nemico, dicendogli minacciosamente, con una voce da ventriloquo: “Ti sei dimenticato di aggiungere che l'istruzione inferiore è anche gratuita! E che l'obbligo dei genitori resta soddisfatto garantendo la semplice frequenza. Ti sei pure dimenticato che lo Statuto dei lavoratori non prevede nessun compenso per le due ore di lavoro che ho perso per venire qua! E tu, nientemeno pretendi che i miei figli vengano a scuola con cartella, libri, quaderni, penne matite e magari pretendi n pure che studino? Non ti basta che io li mandi qui, sia pure saltuariamente, a scaldare la sedia e a per “garantire” il tuo stipendio e mantenere la tua scuola? Ti sfiora mai l'idea che senza la nostra “delega” la scuola come Istituzione pubblica non esisterebbe? Mandami un'altra cartolina e vedrai che le delega, forse alibi per me, si trasformerà in trappola per te”. Parole sante… A ben riflettere, infatti la delega è un'arma a doppio taglio, in tutti i sensi e in tutti i casi. Sostanzialmente essa ci risparmia l'imbarazzo della scelta e le responsabilità da questa derivanti.
Senza saperlo, ne siamo tutti prigionieri, quel ch'è peggio, non ci rendiamo conto che essa è un maledetto imbroglio: ci seduce con le sembianze dell'alibi e l'illusione dell'allontanamento delle responsabilità. Il prezzo più salato rimane la rinunzia alla libertà e la perdita dell'autocoscienza, con la conseguenza di consegnarci all'alienazione, grazie alla quale – scrive Montale – all'uomo è risparmiata la sconfortante scoperta che egli non desidera affatto di essere libero. Corrado Augias, riferendosi in particolare agli Italiani, parla di “disagio della libertà” (Rizzoli 2012) e si domanda perché agli Italiani piace avere un padrone: c'è (forse) una debolezza segreta nel nostro carattere nazionale? Il tedesco E. Fromm, a sua volta, affronta l'argomento in chiave più generale in “Fuga dalla libertà” del 1941 e “Il timore della libertà” del 1942. Per lui la conquista della libertà getta l'uomo in uno stato di inquietudine di isolamento e ciò induce masse consistenti di persone e sottomettersi a un potere autoritario che, mentre schiaccia ogni forma d'indipendenza, la solleva dall'ansia e dalla responsabilità di scegliere. E così, secondo Seneca, “la libertà diventa un mito” che l'uomo trasforma volentieri in un alibi per consegnarsi all'esercizio quotidiano della delega, spesso stoltamente, qualche volta inconsapevolmente, in molti casi (visto che al peggio non c'è mai limite) volontariamente! Senza rendersi conto che l'esercizio della delega diventa droga e col tempo una trappola mortale per l'intelletto, come sostiene T. Mann. Qualcuno dirà: io penso ed opero in coscienza e libertà e quindi per me la delega non è un alibi né una trappola né un mito. E allora concludiamo con Voltaire. Quando posso fare ciò che voglio sono libero. Però non sono libero di volere ciò che voglio. Così è se vi pare.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 7 Luglio)