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Dall'Endura all'Eutanasia...

CHE SVENTURA ! - E MENO MALE CHE L'ENDURO C'E’
 

Volevamo stupirvi con effetti speciali, ma la carta stampata non ce lo consente. E allora abbiamo estratto dal cilindro dei nostri ricordi e delle nostre poche e modeste conoscenze una sorta di gioco di parole finalizzato non solo alla “captatio benevolentiae” dei lettori ma destinato a sdrammatizzare o, se si preferisce, a rendere più digeribile la materia in discussione.
Il titolo principale, pur al netto della nebulosità del primo termine, è davvero duro da mandare giù! Il sottotitolo invece proietterà forse i Sidicini più svegli ed informati all'attualità e alla politica, pensando al motivetto berlusconiano “e meno male che Silvio c'è” nonché al “celodurismo” di bossiana memoria.
Enigmi a parte (che i lettori scioglieranno con sollievo proseguendo nella benevole e paziente lettura) vogliamo entrare subito nel merito rivelando l'occasione che ha ispirato la stesura del presente contributo, amaramente legato alla vita di tutti i giorni, in terra sidicina e altrove!
Non è forse vero che ormai un battito di ali a Roma può provocare un uragano a New York? Ma torniamo a bomba e contestualizziamo il contributo originato dall'ignoranza socraticamente e cosmicamente intesa.
Pochi giorni fa sulla S.S. Appia, a pochissima distanza dal “Sidicinum”, inatteso e imprevisto si è inchiodato sull'asfalto, a ridosso della mia autovettura in panne, un motocross con a bordo un centauro reduce da una speciale prova motociclistica.
Risolto l'inconveniente che mi aveva costretto alla sosta, si è liberato del casco integrale e si è fatto riconoscere esordendo: “Maestro, vi ricordate il tempo dei verbi che transitavano e quelli che non transitavano?”
Ricevuto, G.!
Una lezione pratica fa bene alla mente ma anche al cuore: fa bene alla vita!
Ma ho il dovere e il piacere di aggiungere: “Ti ricordi quando vi dicevo che ognuno di noi è al tempo stesso maestro e allievo? Questa volta ci siamo per l'appunto scambiati i ruoli ed io colgo volentieri l'occasione per sciogliere un inno all'ignoranza, quella dotta o se preferisci quella di cui il soggetto ha coscienza (un pensatore del Cinquecento in proposito diceva che non è bella l'ignoranza ma la coscienza dell'ignoranza perché…)
E tanto per rimanere in tema, mio caro G., questa specie di mostro che nei pomeriggi e nelle tarde serate primaverili, estive ed autunnali, isolatamente o in gruppo romba come un aereo al decollo per le vie urbane mettendo a dura prova le trombe di Eustachio, come si chiama?”
Risposta: “Enduro”.
É un nome di origine spagnola e sta ad indicare sia il mezzo sia la specialità consistente in una gara di regolarità su percorsi accidentati di lunghezza non inferiore al centinaio di miglia e di durata non inferiore alle sei ore”.
Ed io di rimando: “Dunque tu sei un Endurista (dallo spagnolo: endurar = resistere); in bocca al lupo! A nome di tutti i Sidicini i quali si saranno chiesti ancora una volta perché mai siamo partiti dalla coda…
Qualcuno, anzi molti l'avranno ormai capito e noi pur rischiando di ripeterci, confessiamo il già confessato: siamo partiti da “enduro” per approdare lievemente e progressivamente all'amara, pesante realtà dell'assunto principale che, ahinoi, non possiamo né ignorare né esorcizzare.
Fa parte della realtà, della condizione e del divenire di tutti i viventi.
D'accordo è una sventura, ma la morte è maledettamente, indissolubilmente, universalmente, da sempre, legata alla vita di cui rappresenta la faccia a noi ignota e sgradita.
Cosicché, magari senza volerlo, abbiamo aperto una finestra sul primo termine del titolo che, a voler essere telegrafici, può ridursi a sinonimo di “suicidio assistito” che, combinandosi col sinonimo “eutanasia” (omicidio assistito o morte pietosa), porta diritto alla fine della vita, che rimane sempre e comunque una sventura o, se si preferisce, una indesiderata e misteriosa tragedia.
Avvicinandosi alla conclusione riteniamo ancora utile spendere solo qualche parola sull'endura, termine di origine spagnola, nato intorno al Mille nell'Europa latina e germanica, dove comparve e si propagò rapidamente l'eresia del “catarismo”, noto pure come “neo-manicheismo”.
Gioverà sapere che per i catari il peccato più grave era la procreazione perché perpetuava (scrive Rino Camilleri) la maledetta creazione. Avevano un solo sacramento, il cosiddetto “consolamentum” che poteva essere somministrato una sola volta nella vita. Se si peccava dopo averlo ricevuto, la perdizione eterna era sicura.
Per questo molti ricorrevano all'endura dopo aver ricevuto il consolamentum: i malati venivano soffocati col fazzoletto che ogni cataro portava con sé; i bambini venivano lasciati senza cibo dalle madri.
I catari perfetti erano molto più rigorosi dei semplici credenti i quali potevano commettere qualsiasi nefandezza poiché tutto l'esistente meritava solo di scomparire.
La fortuna del Catarismo? L'ignoranza religiosa; Tertulliano lo aveva già detto nel II secolo: il Cristianesimo teme un solo nemico, l'ignoranza.
Quale il rimedio? La coscienza dell'ignoranza di cui non mancano i cultori in terra sidicina.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 3 Marzo)