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I baffi dei maestri sidicini (I parte)

 

Ci scusiamo con i lettori per la prosaicità dell'incipit, ma chiamare le cose per nome rende spesso il messaggio più chiaro ed efficace.
A talune persone maleodorano i piedi e, a prescindere dalla causa, chi le avvicina non è proprio felicissimo del contatto. Ad altri soggetti puzzano... i baffi e in questo caso le ipotesi sono tre:
a) i baffi ci sono per davvero e, in questo caso, la puzza è olfattiva, cioè reale, fisica;
b) i baffi ci sono ma non puzzano, ed il giudizio, in questo caso, afferisce alla sfera estetica;
c) i baffi non ci sono, ma puzzano lo stesso; siamo, evidentemente, in presenza di una puzza “metaforica”, ossia di persone che, baffi o non baffi, sono persone serie, severe, rigide, spesso autoritarie (non sempre autorevoli), talvolta violente o addirittura sadiche; simbolicamente potremmo definirle persone che non si lasciano passare la mosca sotto il naso che, anatomicamente, fra l'altro, è confinante con i baffi!
A propositi di questi ultimi si usa anche dire di qualcuno che “è uno coi baffi" per sottolinearne la valentia, pure se magari i baffi non ce li ha.
Personalmente ho conosciuto e frequentato per ragioni musicali dei colleghi pugliesi che erano veramente dei “sacerdoti” del ciuffo di peli che crescono sul labbro superiore dell'uomo (talvolta anche della donna...); ma di loro non si può dire, con tutta la buona volontà del mondo, che fossero dei suonatori coi baffi. Erano dei suonatori di strumenti prevalentemente ad ancia o a percussione e quando accadde che, per puro caso, venni sfiorato ad una guancia dalla setola terminale del baffo destro di un collega, provai una sensazione gradevolissima, oltre al dolore che provoca una puntura d'ape. E meno male che il più dotato fra quelli di mia conoscenza non superava i 20 cm per lato, ma erano pure sempre una antenna orizzontale che fendeva l'aria e sfiorava minacciosa le guance dei vicini con la sua rispettabile lunghezza complessiva di ben 40 cm! Figurarsi cosa dev'essere stata la convivenza con l'indiano Kalyan Ramji Sain, i cui baffi, nel 1993, era lunghi ben 339 cm.
E così veniamo al titolo, chiarendo subito che la puzza dei sidicini ai quali ci riferiamo è solo metaforica, per significare che si tratta di compaesani, nel caso in specie, di maestri elementari, ai quali "puzzavano i baffi" soprattutto nel senso di cui alla precedente lettera c.
L'epoca è quella tra gli anni scolastici 1944/45 - 1948/49; lo scenario "il Loggione"; dei protagonisti si dirà appresso.
La puzza dei baffi di alcuni maestri di allora stava nell'uso piuttosto disinvolto che essi facevano dei mezzi disciplinari previsti nella scuola elementare dall'art. 12 del R.D. 1297 del 1928; tali mezzi non contemplavano l'uso delle mani e tanto meno dei piedi e naturalmente era escluso l'abuso.
Ma allora, a scuola come a bottega o a casa, non si andava tanto per il sottile, né era possibile tracciare una linea di confine tra l'uso e l'abuso e così qualche insegnante, senza badare a spese, con baffi o senza, riusciva a coniugare magistralmente tra loro disciplina, equilibrismo e musica, anticipando nel tempo la bravura di Maradona che, come si sa, il pallone non lo trattava solo con i piedi... Il nostro, infatti, soleva investire in contemporanea e con andamento ritmico la vittima (ogni riferimento autobiografico sembra superfluo) con il palmo della mano destra sulla nuca e con il piatto del piede destro sul sedere. Come faceva a rimanere in piedi? Semplice: la sua mano sinistra premeva come un maglio sulla clavicola omolaterale della vittima di turno che, impotente e più o meno immobile, non aveva alternative: poteva solo gridare, per il dolore, e tacere, per il timore del peggio. Come faceva a gridare e tacere insieme? Spieghiamo presto l'ossimoro: le due azioni avvenivano assieme solo sul piano concettuale, ma non su quello temporale.
In realtà il malcapitato piangeva mentre il castigamatti lo “trattava”; poi, giunto a casa, taceva per evitare un sicuro supplemento da parte del padre che, se veniva a conoscenza dell'accaduto, per soprammercato, l'indomani accompagnava lo sventurato figliuolo a scuola dicendo solennemente e pubblicamente all'insegnante “Professore, grazie per quello che avete fatto a questo garofano” e giù una sberla... a prescindere dalla zona del volto destinataria dell'onda d'urto i cui effetti erano tanto più devastanti quanto più faceva freddo e quanto più numerosi erano gli spettatori.
Una volta la peggio toccò ad un mio compagno che, trovandosi sfortunatamente sulla traiettoria del colpo diretto al sottoscritto, si beccò il ceffone che io, ormai esperto e sempre in guardia, ero riuscito a
schivare.
E il maestro, dall'alto della sua autorevolezza e nota imparzialità, sentenziò: “ben ti sta, così impari pure tu a stare al mondo..." .

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno IV 2007 - n. 3 Marzo)