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Un soprannome non si nega a nessuno...

Tanto meno ai discendenti dei Sidicini!
 

L'argomento, volutamente frivolo, rappresenta, nelle intenzioni di chi scrive, una sorta di ponte fra presente e passato, ovviamente senza pregiudizio per il futuro, nel qual caso è l'oggi a collegare tra loro i due corni temporali del prima e del dopo.
Ciò premesso, partiamo da una domanda: esistevano i soprannomi nell'antica Teanum Sidicinum?
Sono sicuro che molti conoscono la risposta. In soccorso di quelli che la ignorano ecco l'intervento provvidenziale della maieutica di socratica memoria, ossia le coordinate utili a trovare le risposte:
- Nel IV secolo a.C. i sidicini divennero Federati di Roma
- In età augustea (I sec. a.C.) Teanum diventò Colonia Romana
- Nell'ordine degli elementi costituenti il nome romano il soprannome, detto allora “agnomen” occupava il quarto posto; veniva subito dopo il “cognomen familiare”, che a sua volta era preceduto dal “nomen gentis” e questo dal “prenomen personae”.
A questo punto entriamo nel merito con la sincera e non troppo segreta speranza di offrire, a seconda dello status anagrafico del lettore, o una boccata di buonumore (e solo Iddio sa quanto ne abbiamo bisogno) o una fugace e distensiva rivisitazione di un passato nel quale, volenti o nolenti, affondano le nostre radici, anche attraverso i soprannomi, i quali hanno sempre avuto, e tuttora conservano, una funzione identificativa; solo raramente esprimevano o tuttora esprimono idee o condizioni dispregiative.
Nella carrellata appresso presentata, sicuramente incompleta e lacunosa, ogni caso citato, nella sua caratterizzazione rigorosamente dialettale, è solo un tenero e nostalgico ricordo di persone che, purtroppo, non sono più tra noi. Ne avvertiamo sinceramente la mancanza e a tutti rinnoviamo il nostro fraterno affetto.
Il primo caso che vogliamo presentare è quello di “PEPPINO U CACCIUTT” alias “PEPPONE”, che la mia generazione forse ricorda. Non sono molti a sapere che stiamo parlando di un discendente di un nostro illustre antenato, autore del testo “Teano dei sidicini”, nato, vedi caso, al Borgo S: Antonio Abate, proprio dove la famiglia del compianto Peppone ha gestito fino agli anni ottanta un modesto esercizio commerciale. Chissà se scopriremo mai perché lo chiamavano “u cacciutt”, come a dire un cagnolino, atteso che il suo aspetto e la sua mole erano più che umane e normali.
Un caso opposto, relativamente alla possibilità di identificare il soggetto attraverso il soprannome, è quello di “ON PASCALE U BANCOLOTT”; qui, infatti, il soprannome fa subito pensare al titolare della locale Ricevitoria del Lotto, un signore ben noto a quelli della mia età non solo per via della sua attività e per la notevole stazza, ma anche per la carica di umanità e simpatia.
Stesso discorso per “GIGINO U LUONG”, bravissimo sarto, uno spilungone che esercitava sulle gradinate di piazza Umberto, lato Loggione.
Poco lontano da lui, all'angolo tra la Casina e via Gigli, sorgeva un emporio gestito da tale “NICOLA A CAZETTA”: personalmente non l' ho mai colto in fragrante, ma altri giurano di averlo sorpreso mentre sferruzzava.
I più originali, se non altro perché dotati di sufficiente autoironia, erano “TOTONNO MALAURIO” e “ONNANTONIO U CURNUTU”. Si narra che una sera il primo dei due, seduti davanti a due quartini di vino in una nota osteria di Vico Annunziata, abbia detto all'altro: “Non ce la faccio più a vedere persone che, incontrandomi, si toccano in quella zona che voi sarti chiamate “il cavallo dei pantaloni”; meno male che c'è ancora qualcuno come te che, invece, mi offre da bere”.
E l'altro: “ Per forza, tu sei l'unico che, vedendomi, non si tocchi la fronte…”.
Il repertorio, invero, sarebbe ancora ricco e succoso, ma non voglio abusare della pazienza dei lettori, cosicché mi avvio alla conclusione ricordando il caso di quattro fratelli (Vincenzo, Antuono, Emilio e Peppino) che, tutti panettieri, erano conosciuti come i “L' urdema messa”, perché, si dice, nei giorni festivi si presentavano in chiesa, sempre insieme, solo all'ultima messa, quella che, quando i sacerdoti abbondavano, si celebrava in cattedrale alle ore 13.
Dei soprannomi portati da soggetti fortunatamente ancora fra noi, non meno significativi ed intriganti di quelli citati, preferiamo tacere per comprensibili motivi di opportunità.
La chiusura la affidiamo ad un personaggio davvero popolarissimo e degno senz'altro di fare da portabandiera, “Luigi a' titella” così soprannominato per la sua voce familiare, come quella della gallina che ci regala l'uovo: faceva tra l'altro il banditore e conduceva tutte la riffe a le lotterie della varie feste del comune. La sua voce, inconfondibile, negli ultimi tempi si faceva precedere dal suono di una trombetta per bambini, una sorta di avvisatore acustico, accompagnato dall'attacco di rito: “bbona ggè“ (buona gente) e quindi dal messaggio, immancabilmente dialettale e colorito, che costituiva l'oggetto del bando.

Nello Boragine
(da Il Sidicino - Anno II 2005 - n. 6 Ottobre)