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Alcune note sull'architettura "catalana"

nell'alta Terra di Lavoro
(II parte)

Nell'abitato di Teano si segnalano altri elementi architettonici di stampo quattrocentesco (portali e finestre di tipo catalano si incontrano in molti edifici del centro storico), tra cui spicca un raro esempio di portale monumentale ad arco a tutto sesto a grandi conci (dovelas) di schietta provenienza catalana. Tale manufatto si differenzia dai portali di tradizione napoletana, che seguono un percorso stilistico autonomo, essendo caratterizzati dall'uso dell'arco a sesto depresso inquadrato da una cornice modanata a stampella.
A poca distanza dall'abitato di Teano, su di una collina che sovrasta la città, fu edificato, nel 1428, il Convento di S. Antonio, dei frati Minori, su committenza di Ludovico Galluccio e di Giovanni Antonio Marzano. Della chiesa originaria, ricostruita nei secoli XVIII e XX, non rimane quasi più nulla, ma si conserva il bellissimo chiostro a pianta quadrilatera, il cui impianto architettonico è analogo a quello dei conventi francescani di Casanova di Carinola, di Mondragone, di Sessa e di Roccamonfina.
Nonostante la superfetazione in falso gotico del primo piano, il chiostro conserva l'impianto planimetrico quattrocentesco contrassegnato sui quattro lati da volte a crociera a sesto acuto, sostenute da robusti pilastri polistili in tufo collegati da arcate a sesto acuto e, in basso, da un muretto pure in tufo. Le volte, invece, poggiano direttamente sulle pareti di fondo mediante peducci sagomati in tufo.
I pilastri polistili sono sormontati da capitelli decorati da motivi fitomorfi e zoomorfi, purtroppo rovinati recentemente da un pessimo intervento di restauro. La ricca decorazione dei capitelli rivela reminiscenze stilistiche tardo gotiche attribuibili, con molta probabilità, ad abili maestranze locali. I capitelli trovano precisi confronti, per la qualità della tecnica esecutiva e delle decorazioni, con quelli del convento di Casanova di Carinola.
Tutt'altra situazione si riscontra per i portali polistili ubicati all'interno dei corridoi del chiostro, i quali, per l'incorniciatura a giogo con peducci pensili poggianti su capitelli floreali, per la triplice incorniciatura del vano-porta e per le esili colonnine laterali, si confrontano con i pilastri e le cornici di palazzo Marzano a Carinola. Attraverso i portali si accedeva agli ambienti della clausura, alla chiesa, al giardino esterno e al refettorio, coperto da volte a crociera a sesto acuto poggianti su peducci e con pareti rivestite da maioliche del XVIII secolo.
Passando ora all'abitato di Marzano Appio, centro posto sulle pendici orientali del vulcano di Roccamonfina, infeudato alla potente famiglia eponima dal 1180 circa, fino al 1464.
Con la signoria di Giovanni Antonio e Marinello Marzano, il paese godette di un periodo di particolare splendore come sede, seppure saltuaria, di una corte principesca la quale, per ricchezza e potenza politica, rivaleggiava con quelle dei maggiori feudatari del Regno.
Di questo periodo, infatti, restano cospicue testimonianze architettoniche, scultoree e pittoriche nel tessuto edilizio medievale della località Terracorpo, ove il termine “terra” denota un abitato importante provvisto di mura. L'abitato medievale è dominato dalla mole del castello, nel quale sono evidenti diverse fasi edilizie, tra le quali emerge quella relativa ad un rifacimento tardo cinquecentesco, che gli conferì l'aspetto di una residenza principesca più che quello di una roccaforte. La facciata, infatti, venne dotata di grandi aperture modanate al piano nobile, estese anche alle due torri, poste alle due estremità di essa.
In una zona dell'abitato, conosciuta come “Curia”, passando al di sotto di un bel portale a sesto leggermente ribassato, si segnala un'abitazione quattrocentesca, “Casa Imondi”, in cui sono sopravvissuti alcuni elementi architettonici in stile gotico catalano.
Sulla verticale dell'ingresso, che si trova a livello stradale, si conserva poco più della metà di una finestra caratterizzata da una cornice rettangolare poggiante su pilastrini polistili sormontati da capitelli floreali.
La decorazione della finestra sembra trovare confronti con alcune aperture di casa Novelli a Carinol e con quelle del palazzo De Cordova a Sessa Aurunca.
Da notare, inoltre, che il capitello relativo al peduccio pensile e quello su cui s'innestano le cornici interne della finestra, sono analoghi, nel forte intaglio dei cespugli delle foglie, ad alcuni capitelli del palazzo Marzano a Carinola.
All'interno della casa si trova un elegante portalino, poggiante su larghi stipiti in tufo, inquadrato da una sagoma a sezione cilindrica e sormontato da un arco inflesso, che trova confronti con la porta d'accesso alla scala di servizio a chiocciola di palazzo Marzano a Carinola.
Nel giardino della casa, si trova reimpiegato un frammento architettonico, pertinente ad una finestra a croce, decorato con un intaglio a dente di lupo.
Nelle vicinanze di Palazzo Imondi si trova un palazzo edificato a ridosso della cortina delle mura, il quale conserva un portichetto in origine aperto su tre lati. Di essi, il lato verso l'esterno del borgo fungeva da posterla, la quale era preceduta da un vestibolo con arcate a sesto acuto. Lo stesso vestibolo è coperto con una bella volta a crociera, nella cui chiave è presente un ornamento in tufo, a rilievo, che rappresenta un demone barbato.All'interno del portico si aprivano due portali, di cui uno murato, poggianti su un pilastro ottagonale sormontato da un bellissimo capitello corinzieggiante, riccamente intagliato, simile ai capitelli a foglia di palma del chiostro di S. Francesco a Fondi, restaurato dai Caetani nel 1479.
Infine, lungo il tracciato delle mura poste a sud-est del castello è ubicata quella che sembra essere la porta principalis, dalla quale si accedeva al borgo.
La porta, mirabilmente conservata verso il lato campagna, è concepita, secondo un impianto di stampo rinascimentale, con motivi architettonici e araldici che ne accentuano la funzione d'accesso all'abitato, alla stregua di un piccolo arco celebrativo inneggiante alla potenza dei Marzano.
Ritengo, a tale proposito, che non è casuale che la chiave di volta dell'arco a tutto sesto sia decorata con un motivo a squame e da una voluta.
Tali elementi, infatti, richiamano le chiavi degli archi trionfali di tradizione classica. Questo simbolismo è accentuato dalla presenza, al di sopra della chiave dell'arco, dello stemma dei Marzano con il privilegio di condividere le proprie insegne con quelle dei d'Angiò-Durazzo come segno della loro alleanza nella seconda guerra angioina.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 11 Novembre)