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Teano - Le forme di insediamento territoriale e lo
sfruttamento delle risorse nella fase comitale (Fine)
 
Foto di Sergio Cirelli
 

È molto probabile che tra le produzioni cerealicole si producesse il milium o miglio che, cotto al forno, rendeva un pane dolce.
Tanto verrebbe testimoniato dal'onomastica legata al cognome Migliozzi , Migliuzzi o Migliaccio.
Ma non solo grano o miglio ma anche legumi e ortaggi venivano prodotti in qualità variegata. (A. Lizier, L'economia rurale d'età preromana nell'italia meridionale, Palermo 1907, N. Cilento, Società, economia e civiltà nella contea longobarda di Capua nel IX sec., in Italia meridionale longobarda, Ricciardi, Milano-Napoli,1971, 2° ed.).
Da alcuni documenti medievali risulta che l'agricoltura fu praticata in modo così intensivo che spesso si avevano due colture contemporaneamente sullo stesso terreno: a fil di terra le zucche, al di sopra la vite. (B. Capasso, Monumenta ad Napoletani ducatus historiam pertinentia, II, I Nespoli 1885, n.110, n.189.)
Ed il chirografo conferma la presenza di vigneti ed anche oliveti non solo all'interno della città come già si è riportato, ma soprattutto nei territori limitrofi soggetti al signore.
Si ricorderà una “vinea de ipse homines de Cuenelianu”, una “vinea plantata “presso la chiesa di S. Castrese.
E ancora menziona frutteti, una peschiera o “aquarium” presso “Cilium valle” dove potevano essere allevate anguille e trote.
Da un confronto tra il documento longobardo ed il Chronicon Vulturnense è emerso che “in finibus tianense” il territorio era ricco di rivi, boschi, corsi d'acqua ed una cava sassosa.
Infatti viene citato il “rivus qui dicitur Mamme” dove, completa il chirografo, ”ubi per tempus aqua decurrit”. Solo nel Chronicon il “rivus qui dicitur Nirolu”, il “rivus qui dicitur Baccari”, il “rivus qui dicitur de Arnipertu”, il “ribio“di S. Felice presso Monte Cesema ( cfr. chirografo), l'”aqua qui dicitur Sextu”(un fiumiciattolo al quale sono collegati i due mulini ad acqua), presso la chiesa di S. Angoli e Nazzarii, una “rabe” o ripata, “que dicitur de alemanni”e ancora della Maldara, un “riu Caiani prope ipsu Castellu” (cfr. chirografo) ed un'infinità di rivi rivelli e fossati.
Nel Chronicon si fa menzione di una fontana detta “Adgrifulitu”, ”la silva Prissiliana, il Vualdo o bosco di S. Giustino, Silba nostra (crr. Chirografo) presso Piccilli, il “locus Raspatora in qua edificata fuit ecclesia S. Erasmi, la terra S. Ypoliti, ubi eadem ecclesia edificata fuit”, l'“ecclesia S. Mani qui dicitur vualdu ad Cerritu Planu“ come anche un bosco di querce era sul monte Cesema presso la chiesa di S. Potito e Nicola.
In alcuni documenti capuani (G. Bova, Civiltà di Terra di Lavoro cap. IX, pag 234) inerenti al territorio teanese sono citati una “pecia terra arbustata, sita in pertinenciis civitatis Theani, in loco ubi dicitur alo Ponte Ructo seu Alorticello, iuxta fossatum Pontis Ructi (Pergamena della Curia, busta 73, n° 371), il “Saona” (Perg: del Capitolo n.°422) e “eodem Saone….via, et caba….terra filiis Bassi insimul e alveum de ipso Saone “ (cfr. chirografo), e un luogo paludoso detto “Limata”attestato dal Chronicon Volturnense dove con ogni probabilità veniva messa a macerare la canapa.
Poco sopra si è citata una cava di sassi, ma nei pressi della chiesa di S. Matteo Apostolo , ”in finibus Bairanu”vi era Monte Caievola detto “ Montem de lapillu”(cfr. chirografo).
La presenza di cave per l'estrazione di pietra o di tufo, porta ad ipotizzare anche a categorie artigiane specializzate nei vari settori.
Quindi si potrebbe ipotizzare che nel contado teanese vi fossero dei “tallapietre, silicarii, cauciani…”.
Ai lavori dei campi non mancava la partecipazione di categorie sociali più umili come gli scassaboschi, ortolani, pastori, burlassi (servi del borgo), fructaroli.
La lista sarebbe lunghissima, ma tanto basti per intuire come la contea di Teano poteva presentarsi prospera e aperta anche a scambi commerciali traendo un grosso vantaggio dal fatto che era un nodo stradale su grandi vie di comunicazione e dai sistemi di collegamento, le tante vie secondarie citate dal chirografo, che si dipanavano attraverso sentieri e tracciati che correvano lungo i crinali dei colli, di terra in terra, modificando nel tempo non solo la geografia del luogo, ma anche il sistema stesso degli antichi collegamenti.
La contea era in posizione eccentrica alle linee dei traffici e con la formazione di nuovi itinerari, accanto al prevalere di una vita agricola e sedentaria, vi compariva la presenza di pellegrini e mercanti che avrebbero incentivato le edificazioni di Xenodochi (es. di S. Salvatore) ed Ospedali (es. S. Nazzari) all'interno stesso della città e attivi tra il IX –X sec.
Ciò avrebbe dato luogo alla formazione di un'esile trama di circolazione di beni e di scambi culturali.
L'esiguità della trama veniva determinata soprattutto dal sconvolgimenti naturali, ma anche dall'instabilità politica che non garantiva continuità organizzativa ed economica.
All'alba dell'anno mille il centro urbano continuava ad essere la sede del potere fondiario del signore con ogni autorità sul territorio. (G Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Einaudi, Torino, 1965).
Il quadro tracciato per il territorio teanese è quello di un'area molto estesa caratterizzata da insediamenti sparsi, costituiti da piccoli nuclei, localizzati nelle fasce collinari e pianeggianti.
L'occupazione del suolo è rappresentato da un contesto urbanizzato definito, secondo le varie fonti, da termini “ civitas, castrum”(sono definiti civitas solo i centri eredi dei municipia romani ) come Teano stessa; da contesti insediativi legati allo sfruttamento agricolo della terra nelle forme delle “curtis, del casale e della casa” e quello ecclesiastico connesso sia a funzioni pastorali che a quelle economiche legato allo sfruttamento e alla gestione dei beni con strutture definite “ecclesiae”.
Per la trasformazione dell'assetto territoriale deve essere sottolineato che nelle fonti di X sec., prese in considerazioni, sistematica è la presenza di qualche “vicus” (frequentazione del luogo già in epoca romana) che costituivano abitati privi di strutture difensive in cui doveva risiedere una popolazione dedita all'agricoltura. Un'altra caratteristica insediativa, come si coglie dal chirografo, è riscontrabile nel solo toponimo in associazione con edifici di culto, senza specificare se alla chiesa sia relazionato un insediamento demico.
La presenza di un edificio di culto, costituisce l'unico indizio per localizzare forme d'insediamento sparso, non in altro modo documentati per la fase altomedievale.
Inoltre alcune località sono definite con il toponimo accompagnato dalla formula ”in vocabulo”.
Dal confronto con altri contesti del X-XI sec., si può dedurre che queste località funzionassero come luogo di residenza anche perché ritorna spesso l'aggettivo possessivo “nostro”, designare un possesso comitale e diversificato dai livellari dei grandi monasteri o anche dei latifondisti di cui se ne riporta il nome ed il patronimico come si evince dall'atto stesso oggetto di studio.
Un'altra forma di insediamento nelle campagne era rappresentata dalle “casae” e spesso seguite dal nome del proprietario o di chi vi abitava: i documenti sono espliciti nel rilevare la valenza residenziale di accorpamenti fondiari in cui è chiaramente attestata la presenza di una popolazione residente costituita da “homines”.
Si fa semplicemente riferimento a “terra”, solo raramente associato al tipo di coltivazione.
La localizzazione dei possedimenti così definiti permette di ipotizzare una messa a coltura di tipo cerealicolo come poc'anzi si riferiva per queste terre.
Risultano rare le estensioni di terra a prato, considerate nell'alto medioevo di grande valore economico in quanto destinate al mantenimento di animali di grossa taglia.
Affianco ai tipi di insediamento fin qui descritti, le fonti testimoniano la presenza di “curtes” cioè di centri legati alla gestione ed allo sfruttamento del territorio e delle risorse agricole, a cui spesso sono legate funzioni abitative per il personale addetto.
E' interessante notare come si tengano a precisare la proprietà in donazione di tratti delle rive e rivelli a cui probabilmente, corrispondevano anche i diritti di pesca.
Da tanto possiamo affermare che il processo paleogenetico dell'incastellamento produce una nuclearizzazione demica intorno a nuove forme di insediamento.
Una spinta determinante a tale processo fu fornita dall'organizzazione dello stato normanno mentre l'effettiva maturazione si attuò solo in età basso medievale.
Ma questa è tutt'altra storia.

(fine)

Carmen Autieri
(da il Sidicino - Anno XIV 2017 - n. 3 - Marzo)

Foto di Sergio Cirelli
 
Il castello visto da Viale Europa (foto di Sergio Cirelli)
 
Il borgo di Casale visto da Monte Lucno (foto di Mimmo Feola)
 
Ulivi a Monte Lucno (foto di Mimmo Feola)