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Indice Carlo Antuono
 
 

Un Ospedale da Campo della II Guerra Mondiale

in Tenimento di Teano
 
 

Nell'ultimo conflitto Mondiale, la lenta marcia della V Armata del gen. Clark da Salerno verso Roma s'imbatté in quel capolavoro di difesa militare che sbarrava la via agli Alleati da Gaeta sul Tirreno ad Ortona sull'Adriatico, passata alla storia col triste nome di linea “Gustav”, ove la città di Cassino, proprio perché era attraversata dalla Statale N. 6 che portava a Roma, ne diventò “l'Ara “ sacrificale, tristemente conosciuta in tutto il mondo.
Lì gli alleati furono fermati per ben 5 mesi, da gennaio a maggio del '44 in una delle più cruente battaglie della II guerra Mondiale, fra l'inverno e la primavera in cui si protrassero gli scontri più di 250 mila uomini rimasero feriti, uccisi o dispersi.
Il feldmaresciallo Kesselring comandante in capo delle operazioni tedesche in Italia affidò il compito di impedire agli Alleati di superare Cassino al generale comandante di corpo d'Armata Fridolin von Senger und Etterlin: figura enigmatica molto lontana dalla immagine comune del generale nazista, uomo colto e raffinato, era anche un benedettino laico ed a lui dobbiamo se molti tesori, prima dell'ignobile bombardamento Alleato del Monastero Medioevale, furono messi in salvo, purtroppo svolse anche con molta perizia il suo compito di combattente e comandante.
Tra i colli, le montagne, le pareti rocciose e scoscese, il vantaggio degli alleati, dovuto al dominio del mare, dei cieli e dell'enorme superiorità delle truppe corazzate e di ogni altro mezzo, fu vanificato. Sicché i soldati furono costretti ad una guerra di posizione (che ricordava molto da vicino la I guerra Mondiale) lunga ed estenuante, combattuta corpo a corpo, con bombe a mano, baionette, a volte a mani nude.
Tutto ciò aggravato da uno degli inverni più freddi che si ricordasse a memoria d'uomo. A tal proposito, riportiamo qui lo stralcio di una testimonianza tratta dal diario di un giovane tedesco trasferito dalla Russia sul fronte di Cassino e caduto sul monte Cairo nella terza battaglia per prendere i monti intorno Cassino: “ … 15 marzo: Oggi su Cassino si è scatenato l'inferno … Quasi mille aerei bombardano le nostre posizioni … non vediamo altro che polvere e fumo e la terra trema sotto i nostri corpi …/ 17 marzo: Nonostante tutte le bombe e le granate ancora teniamo Cassino …/ 22 marzo: Quel che ci capita è indescrivibile. In Russia non avevo mai provato nulla di simile, mai un attimo di pace, solo il pauroso tuono dei cannoni e dei mortai, e gli aeroplani che da giorni non smettono di bombardare, c'è da diventare matti. …/ 25 marzo: Stanotte è nevicato abbondantemente. La nostra postazione è sotto un turbine di neve. Sembra di essere sul fronte orientale. Quando pensi di avere finalmente qualche ora di riposo per dormire, le pulci e le cimici ti tormentano. Abbiamo anche la compagnia dei topi.” Questa fu l'ultima sua annotazione.
Quando si ebbe contezza che Cassino non era facilmente conquistabile, gli Alleati, nelle retrovie in una posizione abbastanza sicura, al Km. 187 della Statale N.° 6 (Casilina) nei pressi di Taverna Zarone in località “Terra del Vescovo” (tenimento di Teano), montarono un grande ospedale da campo. A mo' di un grande rettangolo esso si estendeva alla destra della Casilina (verso Roma) fino ai confini di Riardo. Quasi attiguo all'ospedale nelle vicinanze di una grande selva vi era un accampamento di crocerossine.
Ancora oggi in quel luogo rimangono mucchi di brecciame, servito per le pavimentazioni delle tende, che i contadini, negli anni, non sono riusciti a smaltire del tutto, molti anziani ancora in vita testimoniano quei tristi avvenimenti.
Nei loro racconti ciò che ricorre insistentemente sono le lunghe file di ambulanze che in quei cinque mesi da gennaio a maggio giungevano stracolme di feriti dai campi di battaglia di Cassino per poi subito ripartire per il fronte. I feriti che morivano nell'ospedale, ma anche i morti che portavano dai campi di battaglia li ammassavano (era questo purtroppo il termine usato e che ancora oggi ricorre sulle bocche di chi racconta) a Marzanello, prima di destinarli altrove. Nella vicinissima stazione di Riardo era fermo un “treno ospedale” che tutte le sere partiva per Napoli.
Mio nonno, combattente sia della I che della II guerra Mondiale era abbastanza restio a parlare di tutti quei giovani che arrivavano in condizioni pietose, e del personale sanitario che praticamente lavorava giorno e notte in condizioni impossibili. Fra i feriti ed i morti a volte si contavano delle crocerossine che sulle ambulanze erano in servizio in prima linea.
Molti ragazzi che abitavano le masserie nei dintorni del campo oggi ancora viventi e che allora avevano dai 10 ai 15 anni ricordano molto bene come si svolgeva la vita nel campo, che spesso frequentavano per rimediare cose da mangiare che gli americani non lesinavano mai.
La meraviglia più grande era l'abbondanza di ogni sorta di cose, ma soprattutto le dispense erano traboccanti di ogni tipo di alimenti tutti conservati in scatole di latta. Gli avanzi che il campo militare produceva erano inimmaginabili per quei tempi, pare che i contadini andassero al campo regolarmente con carri pieni di grandi fusti che riempivano di cibo avanzato, col quale ingrassavano i maiali.
Le donne delle masserie nei dintorni del campo spesso lavavano i panni ai militari, in verità facevano le “culate”, ossia mettevano i panni in ammollo nell'acqua bollente cosparsa di cenere, questo metodo serviva anche per disinfettare e spulciare gli stessi indumenti, che nei vicini ruscelli sciacquavano per poi sciorinarli.
Nella Masseria dei miei nonni, a volte, la sera accanto al focolare si accoglieva qualche militare convalescente, in cerca di compagnia e forse di un po' di calore umano, prima di tornare al fronte, parlavano il dialetto napoletano e raccontavano delle loro famiglie e di come avessero paura di tornare a Cassino. Lì avevano la sensazione che i loro comandanti li mandassero al macello, in quei ripetuti e testardi attacchi che non avevano alcuna possibilità di riuscita, in una melmosa pianura che i tedeschi avevano allagato deviando il fiume Rapido, e che bombardavano costantemente con i mortai dalle vicine alture, diventando così un tiro al piccione (impressioni che troveranno poi riscontro in molti storici, vedi: Fred Majdalani, Matthew Parker).
Una sera si presentò uno di quei ragazzi che aveva terminato la convalescenza e che piangeva e chiamava mia nonna mammà dicendole che l'indomani sarebbe dovuto rientrare al fronte, ed era certo di morire, allora mia nonna fece quello che facevano le nostre donne quando i loro uomini partivano per la guerra, gli fece un abitino da appendere al collo (nella I guerra mondiale quella degli abitini diventò una cerimonia propiziatoria di salvezza): l'abitino era una piccola pezza rettangolare fatta con la stoffa dei sai dei monaci francescani con sopra un santino che rappresentava S. Antonio.
Una delle foto qui riportate fa parte di un portfolio di una Onlus di Venafro che raccoglie foto della II guerra Mondiale sia di Venafro che di zone limitrofe, la foto mancava dell'individuazione del luogo. Chi scrive ha identificato la foto con l'ospedale che era nel tenimento di Teano in località “Terra del Vescovo” nei pressi di Taverna Zarone. Ovviamente sarà nostra cura comunicare alla suddetta associazione l'avvenuta identificazione del luogo sia per una più corretta consultazione che per una opportuna catalogazione.
La foto è stata scattata da Sud verso Nord mentre le ambulanze scaricano i feriti, sono visibili e riconoscibili, sullo sfondo, le montagne di Marzanello e più precisamente monte Caievola e monte Forte. Le altre due foto, invece, sono catalogate ed appartengono ad una Associazione di Riardo “Riardo in Black And White”. La foto aerea, molto bella, riprende tutto l'ospedale da campo a destra della Casilina (verso Roma) con la strada e i campi innevati, in fondo a destra della via si scorge Taverna Zarone.
La terza foto è stata scattata in occasione della visita di una corrispondente (Margaret Bourke) del Life Magazine all'accampamento, e vuole mostrare l'inclemenza del clima con cui il personale del 38° Btg. doveva, fra tutto l'altro, fare i conti in quel tragico inverno del 1943/44: l'infermiera che attraversa la fangosa carreggiata è il tenente Violet Burgess.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 3 Marzo)