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Janare e Menestrelli

 

Esimio professore, La ringrazio vivamente per l'interessamento nei confronti dei miei articoli pubblicati su Il Sidicino nn. 2 e 4 di quest'anno.
Concordo sull'azzardo che faccio nel collegare maurire e smaurire ai monaci benedettini seguaci di S. Mauro, nato da un semplicistico collegamento toponomastico. Anche nelle mie zone esiste un luogo abitato dagli “smauritti” (che in questo caso sta senza dubbio per maledetti), e non perché fosse abitato da Giudei ma perché pare che praticassero “ngiarmi” e malocchi ed i luoghi dove vivevano e vivono sono stati sempre indicati come antichi feudi Benedettini. Le cito inoltre, sull'argomento, un'invettiva arcaica di un risentimento sconcertante, ancora molto conosciuta dalle anziane donne: “I te smauriciu a zizze ra fore!” (Io ti maledico a seni da fuori!). Tralasciando qui l'interessante significato simbolico, tale detto non lascia dubbi sul significato di smaurire per maledire. Detto ciò, stando alla sua tesi riguardo alla traduzione di maurire con maledire, la funzione della s- è senz'altro rafforzativa.
Passando a “Canzoni e serenate” ed alla giusta traduzione che lei ne auspica a fronte (cosa che faccio meticolosamente in un lavoro sull'argomento che ho in cantiere), bisogna considerare gli spazi che la redazione del giornale deve gestire e non ultima la consapevolezza di rivolgersi a dei lettori che hanno dimestichezza con il dialetto del posto. Ma veniamo alle traduzioni richieste: “Punni sole, punni e nu tricà …”, (Tramonta sole…poniti dietro i monti e non tardare…), è una poetica esortazione di chi canta, perché il giorno finisca presto e lei possa realizzare tutte le fantasticherie amorose del giorno, come spiega alla fine della terzina “ …cu vasi e cu rucezze in quantità”. Per quanto riguarda il verso della serenata “ Quannu cammini la terra sculluzzi…”, si può intendere così: sei talmente bella/roce che sciogli la terra dove passi, sculluzzare fa più riferimento a qualcosa di dolce che di bello. Per il “Battibecco fra moglie e marito”: “Si te si scumpiratu e me campà …” (Se ti sei stancato di camparmi…), ma qui la traduzione non rende le sfumature di scumpiratu. Mi creda, egregio Professore, è sempre una sofferenza, nel tradurre, trovare il significato giusto al dialetto, a volte, non esiste affatto il corrispettivo. Le ragioni, che Lei conosce meglio di me, vanno ricercate nella storia della nostra lingua.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 11 Novembre)