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Autonomia differenziata / DDL spacca Italia

 
 

Il 2 febbraio scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario (articolo 116, terzo comma, Costituzione), definendo i principi generali per l’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, e le procedure di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione. Il 2 marzo successivo in sede di Conferenza Stato-Regioni-Enti Locali il disegno di legge ha preso formalmente il via, con il parere positivo delle regioni, ad esclusione delle sole 4 regioni governate dal centrosinistra (Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia), e con la presentazione di un documento unitario dell’Anci e dell’Upi (Associazione nazionale dei comuni e Unione delle province) corredato da analisi, proposte, richieste e intriso di forti preoccupazioni col quale, tra le altre cose, si ribadisce risolutamente che “l’architettura costituzionale della Repubblica si fonda sulle Regioni, sulle Province, sulle Città metropolitane e sui Comuni in modo equi-ordinato, e che l’art. 116 della Carta va letto e attuato in piena sintonia con gli altri articoli del Titolo V, in un contesto di tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica e di garanzia”.
Questo decreto, subito rinominato ddl Spacca Italia, opera una scelta scellerata, che non tocca gli interessi generali del Paese, non incide minimamente sulle manovre e sui provvedimenti necessari e indifferibili per ricostruire un virtuoso sistema Italia. Cristallizza, invece, l’iniquo status quo e incrementa le disuguaglianze economico sociali e i divari territoriali, devastanti e strutturali, prefigurando di fatto, una “secessione dei ricchi”. Frammentando e spezzettando il Paese, aumentando a dismisura, come ci dice Massimo Villone, “il pericolo già insito nel Titolo V di balcanizzare il Paese in staterelli semi-indipendenti”. Titolo V riformato, è bene ricordarlo, in modo sciagurato e improvvido dal centro sinistra nel 2001, con l’intento di depotenziare e bloccare il federalismo secessionista dell’allora Lega Nord. E’ un ddl assolutamente inaccettabile, sia per il procedimento adottato, che al momento esautora di fatto il Parlamento sia, principalmente, per quello che preconizza e miopemente auspica.
Senza intervenire prima e con pervicacia sull’eliminazione dei gravosi squilibri territoriali che penalizzano interi territori e popolazioni (specialmente del Sud del Paese), con servizi e diritti ridotti e diversificati, grazie agli effetti delle politiche liberiste, imperniate sul patto di stabilità, sul pareggio di bilancio e sui drastici tagli ai trasferimenti, con conseguente riduzione della spesa pubblica.
Senza alcun provvedimento o impegno preliminare per il superamento della spesa storica delle regioni, che chiaramente riflette la drammatica condizione delle regioni più svantaggiate e disegna un’Italia divisa in due con cittadini di serie A e cittadini di serie B.
E senza ancora aver specificato e articolato gli standard minimi per i Livelli Essenziali di Prestazioni (Lep) che le regioni sono tenute a determinare e che, comunque, non si potrebbero finanziare in assenza di un fondo perequativo a favore delle regioni con minore capacità fiscale, il che significherebbe, per il Mezzogiorno, dover effettuare ulteriori tagli alla spesa sociale e tempi decisamente più lunghi.
Le 23 materie interessate dall’Autonomia Differenziata, rappresentano il cuore dell’organizzazione statale e assolutamente imprescindibili per la vita comunitaria e per un Paese unito e solidale.
Materie come la scuola, la sanità, il lavoro, i beni culturali, i trasporti, l’energia, tra le altre, devono necessariamente rimanere nell’alveo statale e a regia unitaria per garantire diritti fondamentali, universali e irrinunciabili che una frammentazione regionale ridurrebbe significativamente.
Come evidenziato drammaticamente con la recente crisi pandemica del Covid 19, che ha certificato la pericolosità e l’inadeguatezza della mancanza di una direzione univoca e generale nel far fronte alle gravissime emergenze cui le varie regioni davano risposte contradditorie e non sincroniche.
E proprio riguardo alla sanità e alla spesa storica bisogna ricordare che le regioni del Nord ricevono una quota maggiore del Fondo Sanitario Nazionale, oltre ai trasferimenti derivanti dalla mobilità passiva sanitaria che interessa quasi esclusivamente le regioni del Sud.
Senza riandare a ritroso negli anni, basti solo riportare l’ultimo “Report sulla mobilità sanitaria” redatto dalla Fondazione Gimbe per il 2020. Da questi emerge che la mobilità sanitaria ha raggiunto, per l’anno in esame, il valore di 3,3 miliardi e che il saldo tra la mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti da altre regioni e quella passiva, cioè la migrazione sanitaria, è totalmente a favore delle ricche regioni del Nord. Dato che riflette amaramente le grandi disuguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari tra le regioni del Nord e quelle del Sud, e che questa Autonomia Differenziata porta ad acuire e non ad eliminare.
Di contro al ddl dell’Autonomia differenziata del governo di centrodestra, nell’intento di arginare questo disegno di disgregazione della Repubblica, una e indivisibile, un gruppo di costituzionalisti, primo firmatario Massimo Villone, ha presentato un disegno di legge di iniziativa popolare per la modifica degli articoli 116 comma 3 e 117 della Costituzione.
Allo stesso tempo, e con l’identico scopo, varie reti associative e di movimento, comitati territoriali e organizzazioni sociali con la campagna “Riprendiamoci il Comune”, per la valorizzazione di un modello sociale, relazionale e ecologico incentrato sulle comunità locali e sui territori, hanno presentato due leggi di iniziativa popolare: di riforma della finanza locale con il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, e tutta una serie di interventi atti a rafforzare il ruolo delle comunità; e per la trasformazione e socializzazione in Ente di diritto pubblico decentrato territorialmente della Cassa Depositi e Prestiti, per favorire forme di finanziamento a tasso agevolato per investimenti delle comunità locali.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XX 2023 - n. 3 Marzo)