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Indice Martino Amendola
 
 

L'Italia s'è desta!

 
bocciata la riforma della Costituzione
 

Come d'incanto, gli italiani hanno nuovamente fatto sentire forte il proprio pensiero, correndo in massa ai seggi elettorali per rispondere al quesito referendario, voluto dal governo Renzi, sulla riforma della Costituzione nata dalla Resistenza.
Contrariamente al generale “de profundis” intonato da politologi, sociologi, esperti di scienze statistiche, massmediologi, sulla volontà di partecipazione dei cittadini alla vita politica, alle elezioni, e il susseguente crescente e inarrestabile calo dell'affluenza ai seggi, che doveva allineare l'Italia agli americani, con una partecipazione al voto ridotta ai minimi termini, gli esiti delle urne del 4 dicembre 2016 hanno sancito, invece, un'altra verità.
Gli italiani sono stanchi di essere chiamati solo per ratificare scelte che si compiono nelle segrete stanze del potere (politico, economico, finanziario), senza avere nessuna possibilità di selezione degli uomini che dovrebbero rappresentarli, di legittimare nomine calate dall'alto e senza nessun rapporto con il territorio, con gli enti intermedi della società, di avvalorare politiche nate senza alcun confronto con l'elettorato.
Di venire continuamente sbeffeggiati e vilipesi quando, con estrema noncuranza, si pretende, demagocicamente d'interpretare il proprio pensiero, le proprie aspettative e priorità, si consiglia loro di andare al mare invece di votare, si disattendono scelte compiute e solamente da applicare, basti pensare, a titolo esemplificativo, al recente Referendum sull' ”Acqua bene comune”, e allo stravolgimento e tradimento della volontà popolare da parte degli ultimi governi.
Allora, la risposta data al tentativo portato avanti dal Pd, dal duo Napolitano - Renzi, di stravolgere la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza e dal sacrificio delle tante vittime del tragico disegno nazifascista, e voluta da insigni studiosi, giuristi e politici che rispondono, tra gli altri, al nome di Calamandrei, Togliatti, De Gasperi, Dossetti, La Pira, Di Vittorio, Marchesi, Terracini, Jotti, Pertini, autentici e inarrivabili giganti, rapportati agli odierni “riformatori”, è stata lapidaria, inappellabile: con i valori fondanti della Repubblica, con la Carta Costituzionale, non si può populisticamente giocare.
Suffragata da un'affluenza straordinaria e impensabile fino al giorno prima, con il 65,5% di votanti (68,48 in Italia e 30,75 all'estero) e con un plebiscito di 19.420.271 di No, pari a circa il 60%, con un'omogeneità assoluta del voto in tutto il paese, con punte altissime nel Sud e nelle isole (a Teano il 69,8% con il 61,8 di votanti), che ha certificato in modo evidente ed eclatante la crescente divaricazione tra la popolazione, lacerata e severamente messa alla prova dai duri morsi della crisi e dalle scelte scellerate del governo, e la classe dirigente, socio-politico e economico-finanziaria, che biascica di governabilità, di flessibilità, di austerity, pareggio di bilancio.
Si è in tal modo sconfitto il tentativo di stravolgimento della Costituzione, con la riscrittura di ben 47 articoli, oltre un terzo della stessa, attraverso un percorso inopinatamente e dissennatamente governativo e non parlamentare, con un cieco sussiego ai desiderata del mondo economico-finanziario (vedi la lettera della banca JP Morgan che auspicava il cambiamento delle costituzioni europee e italiana perché troppo democratiche), che ha portato alla sostituzione dei parlamentari dissidenti in Commissione Costituzionale, e all'approvazione della “riforma” a colpi di fiducia, senza minimamente coinvolgere le opposizioni parlamentari, con il solo 25% di rappresentanza popolare.
Si è frantumato, fragorosamente, il disegno di compressione e limitazione delle prerogative democratiche dei cittadini, con la mortificazione e l'annichilimento delle funzioni parlamentari, a tutto vantaggio dell'esecutivo e del presidente del Consiglio, con un'adesione organica alla tendenza neoautoritaria e oligarchica del capitalismo finanziario globale, che avrebbe consegnato il paese, in uno con l' “Italicum” e con il premio di maggioranza previsto, all' esigua minoranza del “Partito Unico” di nominati.
Gli italiani hanno sonoramente bocciato il maldestro e subdolo tentativo di ridurre il Senato a un'assemblea “dopolavoristica” di sindaci e consiglieri regionali, per un irrisorio risparmio, dove l'autonomia e l'autorevolezza delle singole regioni sarebbe stata vanificata e umiliata perché formata da senatori eletti (dai consigli regionali e non direttamente dai cittadini) in proporzione al numero degli abitanti e non in maniera paritaria, come negli USA e in altri paesi.
Con regioni di seria A: quelle a statuto speciale (assolutamente anacronistiche, senza più ragione d'essere), più le province autonome (idem); e di serie B tutte le altre. Con l'eliminazione del bicameralismo paritario, e il voto di fiducia al governo ma, con l'aggravante di una complessità di procedure che avrebbero portato ulteriori conflitti di competenza tra Camera e Senato; in barba alla semplificazione e velocizzazione invocata.
Demolendo, inoltre, quella “clausola di supremazia” assoluta che, qui a Teano, per intendere bene, avrebbe avuto effetti devastanti perché, in nome di un dichiarato interesse superiore, nazionale, avrebbe potuto consentire la realizzazione dell'impianto di trattamento rifiuti di S. Croce, aspramente e unanimemente contestata, senza tenere in minimo conto la volontà delle regioni e comunità interessate, vanificando le lotte del Comitato “Noimp”.
La Democrazia è un bene assoluto, e la nostra Democrazia Parlamentare va salvaguardata e continuamente vivificata, tenendo sempre presente che essa ha i suoi tempi, le sue procedure, i suoi costi, che non si possono, demagogicamente, eliminare o comprimere oltre misura, perché altrimenti diventa altro, con i rischi che ben conosciamo.
Questi, i motivi principali che hanno portato alla bocciatura della riforma, per molti versi simile a quella voluta da Berlusconi e già respinta dagli italiani nel 2006, unitamente al giudizio sull'operato del governo Renzi, come da lui stesso voluto e ricercato, tanto da intrecciare fortemente il suo mandato all'esito del Referendum, spaccando, in tal modo, drasticamente l'Italia.
Con una campagna elettorale inusitatamente lunga e dai toni estremamente accesi, surriscaldati, allarmistici, con una sovraesposizione mediatica e un'occupazione delle reti televisive mai vista.
Arrivando ad attaccare e ingiuriare tutti quelli contrari alla sua riforma (“l'accozzaglia”!), e a oltraggiare persino la minoranza e alcuni padri fondatori del suo partito.
Perché, il paese non è quello che i media rappresentano, quello che lui banalmente racconta, perché non è  più credibile né sopportabile una politica fatta di battute, di annunci, di promesse, di smentite, di tweet, di insolenza, di egocentrismo e maleducazione.
Perché, la partecipazione al voto e la bocciatura è arrivata per il 70% dai giovani e giovanissimi, come emerge da svariate e serie analisi. Quei giovani che si illudeva di rappresentare e lusingare, con il suo programma fatto di vacuo giovanilismo e “rottamazione”.
Che, non intravedono alcuno spiraglio positivo per il proprio futuro, con un presente drammaticamente tetro e reso sempre più incerto dalle normative messe in atto (le cosiddette riforme) che hanno, di fatto, riportato il paese agli albori del novecento, con vere e proprie controriforme che hanno precarizzato il lavoro e smantellato diritti e conquiste sociali duramente realizzate: del lavoro, della sanità, della scuola, dei Beni Culturali, del Welfare, con il Jobs act, la Buona Scuola, la riforma Franceschini, lo Sblocca Italia.
Perché, Renzi, fortemente voluto da Napolitano, nella duplice veste di Segretario di partito e Presidente del Consiglio, ha desertificato il terreno su cui era stato piantato l'alberello neonato del Pd, sradicandolo dalle proprie radici, dai propri elementi vitali, dai propri valori, trasportandolo dal campo di una sinistra moderata a quello di un centrismo destrorso, tradendo, insieme alla maggioranza del partito che lo ha sostenuto, gli elettori che avevano votato Bersani e il suo programma, alternativo alle destre di Berlusconi, mutandolo radicalmente, geneticamente.
Portando elle estreme conseguenze il percorso avviato da Craxi e Berlusconi, con il decisionismo, l'accentramento del potere nelle mani del governo e del Presidente del Consiglio, con l'esautoramento delle funzioni del Parlamento e dei parlamentari, il conflitto con il Sindacato. Quando il problema vero non sono le regole, i tempi, perché con queste, l'Italia, uscita devastata dalla seconda guerra mondiale, in pochi decenni è divenuta la quinta potenza economica del mondo. Il problema è la qualità dei governanti, della politica, dei partiti (il partito liquido e i club tematici veltroniani!), della classe dirigente.  
Allora, per dirla con Pietro Ingrao: “O restituiamo sostanza e trasparenza alla relazione tra rappresentanti  e rappresentati, e le Assemblee tornano ad essere un luogo di confronto che conosce momenti di conflitto e momenti di mediazione, e sintesi, oppure si acuirà la divaricazione tra procedure del consenso e sedi della decisione”, con tutto ciò che ne deriverà.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XIII 2016 - n. 12 Dicembre)