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Teatri di guerra - Sangue su Parigi

 

Il 13 novembre, a 10 mesi dal sanguinoso attentato alla sede di Charlie Hebdo, e alla libertà di espressione e di pensiero, Parigi e la Francia sono tornati nel mirino del terrorismo jihadista dell'Isis, con un feroce e spietato attacco al cuore della città che ha seminato orrore e sangue.
Con una serie coordinata e freddamente pianificata di attentati ai luoghi dell'intrattenimento cittadino, fanatici terroristi, aspiranti suicidi, partendo dallo stadio comunale, proseguendo poi  nei cafè e ristoranti, e culminando nel massacro al teatro Bataclan, ove era di scena un concerto rock, hanno barbaramente colpito a morte, a colpi di kalashnikov, ragazzi e ragazze di varie nazionalità e fede religiosa, uniti solamente dalla comune passione della musica e dalla voglia di vivere.
Con un atroce bilancio finale, fatto di 129 morti, 89 solamente al concerto, e oltre 200 feriti, di cui almeno una novantina ancora in gravissime condizioni.
Catapultando il paese e l'Europa intera in un clima di terrore e angoscia. Facendo esclamare al presidente Hollande: “siamo in guerra!”; seguito a ruota da ministri e stampa, portandolo a  proclamare lo stato d'emergenza, e avviando, così, una serie di sospensione delle libertà e dei diritti. Intensificando, immediatamente dopo, i raid aerei già programmati sulle postazioni Isis in Siria. Seguendo in tal modo i terroristi sul loro campo prediletto: quello della guerra e del terrore. Riproponendo miopi e schizofreniche visioni politiche che non portano da nessuna parte, come la storia recente insegna. Perché il risentimento e l'odio terrorista è stato grandemente alimentato dall'interventismo militare dell'occidente, dallo sfruttamento economico, e dai conflitti mai risolti nei paesi delle ex colonie europee, e da quello israelo-palestinese.
Perché: “l'invasione dell'Iraq ha portato alla nascita dell'Isis, uno dei peggiori errori di politica estera della storia recente degli USA” come ha ricordato Bernie Sanders, seguito a ruota da Hillary Clinton, e come riconosciuto, tardivamente, da Tony Blair.
Perciò è assolutamente necessario che accanto alle opzioni militari, e prima ancora di esse, si cominci a ragionare in termini di politica e di diplomazia, con atti e programmi che perseguitino prospettive di pace e di eradicazione di complicità e ambiguità.
Con azioni atte a neutralizzare e prosciugare le fonti finanziarie che alimentano il terrorismo, recidendo ogni rapporto con le “Petromonarchie” del Golfo, che mantengono ambiguamente relazioni con i terroristi, in primis l'Arabia Saudita e il Qatar e sanzionando e richiamando la Turchia, costringendola a interrompere i bombardamenti sul popolo curdo, unica resistenza militare e politica contro l'Isis.
Perché la guerra e il terrore si autoalimentano, perché Osama Bin Laden e Al Qaeda e Al Baghdadi e l'Isis sono creature armate e foraggiate dall'occidente che, poi, si sono rivoltate contro i loro vecchi alleati e sostenitori.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 11 Novembre)