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Siamo tutti Charlie e siamo tutti il poliziotto ammazzato

 

Il massacro terroristico alla sede del giornale satirico parigino Charlie Hebdo, del 7 gennaio con l'assassinio dell'intera redazione, e dei due poliziotti in servizio per la loro protezione, dopo le polemiche e le minacce scaturite dalla pubblicazione di vignette su Maometto e sul fondamentalismo islamico, e un precedente attentato incendiario, ha tragicamente rappresentato un attacco a questioni e valori fondamentali su cui si regge il nostro vivere quotidiano. Con quest'azione, si è voluto brutalmente colpire il valore imprescindibile della libertà nella sua forma più immediata e esplicita: la libertà di espressione e di pensiero.
La risposta dei francesi, subito fatta propria da tutto il mondo, incluso parte dei paesi mediorientali e islamici, è stata quella di “je suis Charlie”, dell'identificazione di ognuno nell'obiettivo prescelto dai fondamentalisti islamici. Io sono Charlie, siamo tutti Charlie, ci sentiamo tutti colpiti perché non possiamo permettere che venga messa in discussione la libertà di pensiero, la libertà di stampa.
Si, “je suis Charlie”, e “je suis” anche il poliziotto, francese musulmano barbaramente colpito a morte, con una fredda e macabra esecuzione, dopo essere stato ferito e giacente a terra, perché in servizio a difesa della sicurezza e della libertà di stampa dei giornalisti di Charlie Hebdo, anche se molto probabilmente non era d'accordo con le posizioni del giornale. Perché Charlie Hebdo potesse continuare ad esercitare il proprio diritto di satira. Esercizio del diritto di satira, della libertà di espressione che, nel paese patria dell'illuminismo e della rivoluzione del 1789/1799 nel nome proprio della “Libertè…”, il settimanale fondato nel 1969, indipendente, senza ideologie, senza sovvenzioni di sorta e senza alcuna pubblicità, aveva come propria ragione fondante, come DNA. Esercitata assieme ad altre simili testate, in un numero e in una qualità ignota ad altri paesi occidentali. Con artisti della statura di Wolinski, Cabu, Tignous, Charb, ammazzati mentre preparavano il nuovo numero, e Reiser, Cavanna, Gebè, Topor e tanti altri. Satira intesa nella sua più alta concezione, quella di manifestazione artistica senza tabù, che mette alla berlina e sbeffeggia il potere, i potenti e i potentati: economici, politici, finanziari, religiosi, e tutte le manifestazioni di oppressione, di integralismo, di settarismo, di dogmatismo, di bieco moralismo.
Perché la satira, al contrario dell'umorismo e della comicità, è di norma dissacrante, sarcastica, urticante, irriverente fino all'invettiva più acre e feroce. E per tale ragione sempre fortemente osteggiata dal potere. Sempre oggetto di tentativi di limitazioni, censure e di bavagli. Per questo essere una voce libera e democratica, riferimento preciso ed essenziale, Charlie Hebdo è diventato oggetto e bersaglio altamente simbolico del fanatismo pseudo religioso di gruppi di terroristi Jihadisti di Al Qaeda, teso ad alimentare una perenne strategia della tensione. Che ci riporta all'altra ragione di fondo dell'attacco terroristico: la questione Mediorientale, il controllo geopolitico dei paesi del Golfo, e l'ingerenza e l'interventismo occidentale, americano e francese in prima linea, nei conflitti in Libia, Siria, Mali, Iraq.
Allora, siamo tutti Charlie per difendere un valore che in Italia risulta alquanto misconosciuto, con una stampa e una televisione largamente uniformata e cloroformizzata, e una satira casareccia che omogenizza e confonde in un sol piano, oppressi e oppressori, potenti e umili e umiliati, rappresentando con malcelata simpatia il potere, a questo spesso e volentieri asservita e consenziente, e che espelle senza ritegno e remora quelli che osano dileggiarlo (vedi Grillo con “Socialisti ladri” e Daniele Luttazzi). E senza alcuna reazione, sdegno o protesta.
Perché, non esistono gradazioni di libertà, perché la libertà o è piena, totale, o non è libertà.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno XII 2015 - n. 1 Gennaio)