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Indice Martino Amendola
 
 

Un patrimonio in pericolo

 

Continua inesorabile, tra inconsapevolezza e sottovalutazione, inefficienze e impotenza, il depauperamento del patrimonio culturale del nostro territorio.
Si assiste, ormai quotidianamente, ad episodi di aggressione e di stravolgimento dell'ambiente e del paesaggio, al degrado architettonico e monumentale del centro storico del capoluogo e delle frazioni, al saccheggio e alla spoliazione delle enormi ricchezze artistiche, storico archeologiche, presenti in gran dovizia a Teano.
Al profluvio di asserzioni e d'impegni della classe dirigente, politica e socio economica, a favore di una politica di salvaguardia e di valorizzazione di tali ricchezze, non solo non seguono fatti e scelte conseguenti, coerenti e congrui ma, il più delle volte, questi sono addirittura di segno diametralmente opposto, a dimostrazione della vacuità e dello scientifico svuotamento di senso delle parole a cui si è giunti.
Eppure, è indubitabile che una politica di gestione del territorio, accorta e lungimirante, debba investire prioritariamente sul proprio patrimonio culturale; tutelarlo, valorizzarlo, renderlo fruibile per l'oggi e preservarlo per trasmetterlo alle future generazioni.
Poiché il bene culturale, inteso come patrimonio fisico e relazionale può, da solo, identificare perfettamente un territorio e la sua comunità, incarnarne l'identità.
Intervenire in questo campo significa investire principalmente in termini di educazione e maturazione culturale, attivare flussi turistici ed opportunità lavorative, con conseguente crescita socio economica e innalzamento qualitativo degli standard di vita.
Si è costretti, invece, costantemente a fare il conto delle perdite subite e lottare per salvare il salvabile. Lotta che appare veramente immane, e spesso simile a quella contro i mulini a vento, quando si lascia tutto in balia degli eventi, quando mancano anche gli strumenti minimi essenziali, in termini di risorse umane ed economiche, per arginare tale angosciosa deriva.
Quando, seppur deliberati e vigenti, importanti strumenti urbanistici, quali il Piano di Recupero del centro storico del capoluogo e delle frazioni, e il Piano del Colore, rimangono inattuati e disattesi, o risultano perennemente privi della necessaria copertura economica.
Con tutto ciò che comporta in termini di mancato recupero, risanamento e adeguamento dell'enorme patrimonio edilizio abitativo abbandonato e in rovina, e dell'indiscriminato uso di infissi in alluminio, ferro, plastica, di insegne pubblicitarie luminose, in plastica e/o a bandiera, di unità esterne dei sistemi di climatizzazione, di antenne paraboliche, di cartelloni, tende e tendoni, in antitesi all'estetica e al decoro architettonico e urbano.
Quando, di fatto, negli ultimi 30 anni, si è rinunciato a dotarsi di un adeguato strumento di programmazione urbanistica, che avrebbe dovuto prevedere anche prescrizioni di tutela e di salvaguardia, arrivando all'assurdo di veder bocciato per ben due volte il PRG per difetto di pubblicazione, dilapidando inoltre, in tal modo, denaro della collettività.
Perché, anziché perfezionare la pubblicazione, sanando il mancato conteggio del “dies a quo”, si è sempre preferito riavviare le procedure con nuovi incarichi e nuovi, gravosi, impegni finanziari.
Senza mai giungere, neanche con il Commissario “ad acta”, all'approvazione di uno straccio di Piano, tanto che, in mancanza di PRG o PUC, rimane tutt'ora valido e vigente il Piano di Fabbricazione del 1979, ad attestazione di come le previsioni di sviluppo e di nuove esigenze abitative fossero già allora clamorosamente gonfiate e irrealistiche. Legate solamente alla cementificazione massiccia e allo scriteriato consumo dei suoli. Lasciando aperti spiragli di ogni tipo per nuove aggressioni al paesaggio e all'ambiente con insediamenti pseudo “produttivi” o similari.
Rimanendo confinata in un limbo, e alle discussioni accademiche, ogni idea o progetto di Parco Archeologico, Parco Fluviale del Savone, Parco di archeologia industriale delle Ferriere Borboniche, e quello che ne deriverebbe in termini di tutela, salvaguardia e sviluppo del territorio.
Una situazione già di per sé difficile e intricata, ulteriormente aggravata dall'esiguità dei fondi destinati dallo Stato alla Cultura, e dalle scelte ministeriali che ne sono derivate, che hanno prodotto, tra gli altri effetti, un drastico ridimensionamento delle Soprintendenze, con l'accorpamento di quella Archeologica di Caserta a quella di Benevento, Salerno e Avellino.
Determinando l'impossibilità d'intervenire efficacemente, anche ai fini del controllo dei siti vincolati o d'interesse archeologico, su di un'area tanto vasta e disomogenea.
Allora, è senza stupore alcuno che si deve prendere atto della cronaca quotidiana che ci racconta di continui e distruttivi scavi clandestini su aree di estrema importanza archeologica; del ritrovamento di resti di stele funerarie ridotte in frantumi, dopo averne tranciato e asportato le teste e le figure, nell'area della necropoli del IV-III sec. a.C. della Gradavola; del saccheggio, perpetrato ininterrottamente da anni, sui resti importanti della chiesa benedettina di S. Maria de Foris, nonostante sia in pieno centro e adiacente al palazzo dell'ASL.
Constatare, amaramente, le condizioni di degrado della ex chiesa dell'Annunziata, quella che fu la più bella chiesa barocca del casertano, opera di Domenico Antonio Vaccaro, distrutta dagli eventi bellici e da soli pochi anni riaperta come sala congressuale polifunzionale, dopo vari e contestati interventi di restauro. Chiesa, interessata da infiltrazioni d'acqua piovana che partendo dalla parete di fondo, stanno allargandosi sempre più, senza che si prenda alcun provvedimento, nonostante che i lavori da fare siano di modesta entità. Rilevare lo stato di precarie condizioni in cui versano gli importantissimi affreschi di scuola giottesca del catino absidale e della parete sinistra della chiesa di S. Antonio Abate, che necessitano di indifferibili interventi di restauro; così come quelli di S. Maria la Nova, di S. Pietro in Aquariis, della cappella della Madonna della Purità di Carbonara, e quelli dello stupendo chiostro di S. Antonio da Padova. Annotare l'impassibilità con cui si aspetta l'irreparabile perdita della tela dell'Immacolata Concezione, del 1726 di Girolamo Cenatiempo, nella chiesa di S. Francesco, ridotta in condizioni di assoluto allarme. O verificare, ancora, il torpore e l'inerzia riguardo le condizioni delle notevoli tele del primo quarto del “700 di Francesco De Mura, nel cappellone del Duomo, raffiguranti S. Paride che uccide il drago, S. Martino che dona il mantello, e la Fuga in Egitto, che presentano in più punti il distacco del pigmento pittorico. Rappresentare lo sgomento e l'apprensione che suscita la visione dell'importantissima basilica di S. Benedetto data in uso agli “Scout”, con tutti i rischi per l'integrità della stessa che comporta tale destinazione, che sarebbe, invece, assolutamente doveroso restituire alla comunità e al culto liturgico, in omaggio allo spirito sacro e storico del luogo che fu custode della Regola autografa di S. Benedetto. Descrivere il turbamento e la costernazione alla visione della chiesetta di S. Marco di Casafredda, ridotta ormai, nell'indifferenza totale, a un cumulo di macerie di cui sopravvivono, ancora per poco, i resti di parte degli affreschi.
Descrivere, altresì, lo stato di degrado dei marmi del teatro romano, da anni collocati nello spiazzo adiacente ad essi riservato, in attesa dell'anastilosi del frontescena, aggrediti da muffe e licheni, che li stanno rovinando, senza che sia stata predisposta adeguata copertura.
Questa rovinosa concerie di incuria, inerzia, inefficienza, insensibilità, ricade e si innesta, con effetti moltiplicatori e deflagranti, in un periodo e in un contesto di gravissima crisi economico finanziaria, che soffoca il mondo occidentale e l'Italia in particolare, ripercuotendosi pesantemente sulle istituzioni e sulle autonomie locali che si trovano letteralmente prive di fondi e finanziamenti, e costrette al rispetto di stringenti e impossibili “patti di stabilità”. Frangente storico in cui in Italia, per far fronte all'enormità del debito pubblico, per risanare bilanci disastrati, ridurre le spese, invece che intervenire con un disegno organico, razionale ed equo, si è proceduto con tagli lineari spalmati indiscriminatamente.
Dove, perseverando un'ottusa e cieca consuetudine di destinare risorse miserevoli per la cultura, con i governi di centrodestra e con Tremonti, uno dei maggiori alfieri del berlusconismo, si è raggiunto l'acme, comprimendo ad un livello infimo e insostenibile il bilancio dello Stato per la ricerca, la scuola, la cultura, perché: “Con la cultura non si mangia”. Generando ulteriori frustrazioni e inquietudini per la sorte dei Beni Culturali, e provocando reazioni dure e sconfortanti: “Mai si era vista tanta avversione alla cultura” (A. Carandini).
Stanziando in Bilancio, benché l'arte, il patrimonio storico architettonico, l'ambiente, siano l'essenza dell'Italia, che detiene oltre il 70% dei Beni Culturali del mondo, appena lo 0,11% del Pil, molto meno della metà di quanto previsto dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Spagna, e dagli altri paesi europei, risultando penultima in Europa, sopravanzando solamente la disastrata e sventurata Grecia.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno X 2013 - n. 4 Aprile)