Un'ondata di freddo polare ha colpito l'Italia in questi primi giorni di febbraio, portando vento, tormente e neve. Tutta la penisola, compreso il sud e le zone pianeggianti, normalmente risparmiate e solo lambite, ne è stata duramente investita. Teano, che raramente è interessata da questi fenomeni, bisogna riandare al 1985 o alla “mitica” nevicata del “56 per ricordare eventi di tale portata, si è ritrovata imbiancata, coperta sotto una candida coltre di neve. Per tre giorni, dal 3 al 5 febbraio, la densa e fitta neve caduta ha reso il paesaggio morbidamente e uniformemente ondulato, addolcendo e coprendo rilievi e asperità. Facendoci immergere in un'atmosfera rilassata, ovattata, gioiosa e fantastica, che riportava a quella dei paesaggi invernali di Pieter Bruegel. La città, con le sue strade e piazze liberate dal traffico e svuotate dalle auto in sosta, con il vociare allegro dei ragazzi intenti a guerreggiare a palle di neve e a creare pupazzi di ogni foggia, sembrava un luogo irreale, una felice rappresentazione onirica. Ma, quest'atmosfera fantasiosa e sognante è stata subito e violentemente spazzata via dai normali problemi e dai disagi e difficoltà che tali circostanze comportano che, quantunque facilmente risolvibili nel resto d'Europa, per l'Italia diventano eccezionali e insormontabili. Sebbene prevista e attesa, la neve ha mandato in crisi, paralizzandolo, il paese intero. Aeroporti, autostrade e ferrovie bloccate, città paralizzate, interi centri e zone interne isolate, decine di morti per assideramento, capannoni industriali e stalle crollate, collegamenti e rifornimenti di ogni tipo saltati, sono stati il triste ritorno alla cruda e dura realtà. Questo, dopo le innumerevoli tragedie legate alle piogge e alle inondazioni, alle frane e agli smottamenti di questi ultimi anni. Questo, perché il concetto di organizzazione, di tutela e salvaguardia del territorio, di prevenzione, di manutenzione, di monitoraggio e controllo continuo, non trova linfa, perché una suicida visione di sfrenato liberismo ci sta travolgendo con il mito dello sviluppo senza regole e limiti. Perché stiamo distruggendo il nostro ambiente, già fragile e segnato, cementificandolo, avvelenandolo e sconvolgendolo, predisponendoci ad un futuro estremamente incerto e grigio, e ad una condizione di perenne emergenza.
Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno IX 2012 - n. 2 Febbraio) |