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Indice Martino Amendola
 
 

Migrazioni e migranti

 

Da sempre, in coincidenza di situazioni di gravi crisi economiche, sociali, politiche, ambientali, intere popolazioni, intere etnie, sono costrette a lasciare i propri luoghi d'origine, le proprie radici, e a migrare verso altri paesi, altri continenti, alla ricerca di un presente e di un futuro meno drammatico e nero.
La migrazione è uno dei fenomeni più forti e significativi della storia dell'uomo, intere civiltà sono sorte, altre scomparse, a causa di esodi e diaspore, facendo divenire la storia del mondo storia di emigrazioni di popoli.
L'Italia è stata protagonista di due grandi ondate migratorie: quella iniziata sul finire dell'Ottocento, la “Grande Emigrazione”, che interessò l'Europa a cominciare dal 1850 e si protrasse fino alla metà del Novecento, indirizzata principalmente verso il continente americano e l'Oceania; e quella interna all'Europa stessa, alla fine del disastroso secondo conflitto mondiale.
I dati, relativi al numero d'italiani che dalla fine dell'800 (nel 1876 furono eseguiti i primi rilevamenti statistici) fino agli anni “80 del 900 sono emigrati, sono impressionanti, assommando a circa trenta milioni, quasi la popolazione dell'intera Italia a fine ottocento, dandoci così la precisa, cruda, misura della valenza e della portata di tale fenomeno che non trova riscontro in nessun altro popolo, nella storia moderna.
Dopo l'unità d'Italia, si ebbe un primo grande flusso migratorio che interessò quasi esclusivamente le regioni del Nord, con particolare riguardo al Veneto, al Friuli, al Piemonte e alla Lombardia, in conseguenza dei cambiamenti che investirono l'assetto socio-economico del paese, del forte incremento demografico, e della drastica riduzione delle possibilità occupazionali.
Il progresso tecnologico e la diffusione del “sistema di fabbrica” destrutturando interi settori dell'industria manifatturiera tradizionale, lasciava fuori dai processi produttivi antichi mestieri, recidendo, in tal modo a tante famiglie la possibilità di integrare il reddito agrario con lavori di manifattura svolti a domicilio e in determinati periodi dell'anno.
Il Sud, terra di conquista coloniale, lasciato in mano ai latifondisti, gravato d'imposizioni esattoriali e depredato dei macchinari e dei beni, inviati alle industrie del Nord, grazie alla politica doganale liberista fu esposto alla concorrenza esterna che mise in crisi la scarsa struttura manifatturiera esistente, con pesanti conseguenze economiche e sociali, tanto da spingere i contadini alla guerra civile del brigantaggio, piuttosto che all'emigrazione. Il Risorgimento, politicamente riuscito si dimostrò fallimentare sul piano sociale, per l'esclusione delle masse popolari da ogni processo decisionale, portando alla cristallizzazione di due Italie: quella industrializzata del Nord, e quella del Sud lasciata ai ricchi possidenti agrari.
Dopo il 1880, la “crisi agraria” che investì l'Europa determinò per l'Italia un'inversione di tendenza: allora furono le popolazioni del Sud, sempre più povere, ad emigrare, l'Italia divenne un enorme serbatoio di forza lavoro da esportare, protagonista del più grande esodo dei tempi moderni.
Conseguenza, questa, anche della ristrutturazione dei trasporti marittimi a Napoli e a Palermo, e all'introduzione della navigazione a vapore, con consistenti abbattimenti di tempi e costi.
Le migrazioni furono indirizzate prevalentemente negli Stati Uniti, favorite da una forte domanda di manodopera specializzata, nel pieno dello sviluppo industriale capitalistico, in Argentina, Brasile, Uruguay, Canada e in Australia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, con la restrizione degli ingressi negli Stati Uniti, con l'introduzione di “quote” in base alla nazionalità d'origine, che risultarono penalizzanti per gli italiani, lo sbocco naturale divenne l'Europa: la Francia, la Germania, la Svizzera, il Belgio, i paesi preferiti. L'emigrazione italiana è stata di tale entità che, ad oggi, la collettività di origine italiana nei vari paesi rappresenta una percentuale altissima, ammontando a circa 15 milioni in Argentina, 12 milioni negli Stati Uniti, 8 milioni in Brasile, oltre 1 milione in Canada, circa un milione in Australia.
Teano è stata interessata fortemente da quei flussi migratori, in tanti sono stati costretti ad abbandonarla e con dolore, con lacerazioni, si sono lasciati prendere dal miraggio di condizioni di vita migliori, di sicurezza lavorativa, di stabilità, che quel viaggio della speranza, in terre lontane e straniere, rappresentava.
Affrontando lunghi, estenuanti, e rischiosi viaggi approdavano in territori di cui non conoscevano nulla, senza nessuna possibilità di orientarsi, all'oscuro di un qualsiasi bagaglio linguistico si ritrovavano scaraventati in un orizzonte di umiliazioni e miseria, senza diritti, senza identità; spesso vittime di sopraffazione, di raggiri e di truffe da parte di connazionali privi di ogni scrupolo.
Già all'arrivo nei porti, il primo impatto era traumatico, venivano sottoposti e durissimi controlli sanitari e amministrativi, e non erano infrequenti i casi di emigrati che, per non subire il rimpatrio, sceglievano la morte sicura tuffandosi nelle gelide acque marine.
Tanti, dopo aver trovato un minimo di stabilità, chiamavano i familiari, gli amici, per farsi raggiungere, ricostruendo così il nucleo familiare, riallacciando rapporti. E' questo il caso di Vincenzo Ragosta, la cui storia emersa grazie ad fortuito ritrovamento di una vecchia foto, può ben rappresentare un caso emblematico di tale situazione.
Vincenzo era nato a Teano, nella frazione Casi, in Via Aimonti il primo gennaio del 1893, suo padre Pasquale era emigrato in America alla fine dell'800 e dopo svariate peripezie si era risolto a farvi giungere anche il figlio. Nel 1906 Vincenzo, appena tredicenne, con solo una sacca di tela contenenti le misere cose che possedeva, e con i pochi soldi che la madre si era fatta prestare, pagando un “tomolo” (44 kg) di grano all'anno quali interessi, fu affidato alle cure del compaesano Giovanni Cherella che stava anche lui emigrando per raggiungere i familiari a New York.
Un grigio pomeriggio si misero in marcia e, costeggiando la linea ferroviaria, dalla stazione di Teano a piedi raggiunsero Napoli, dove il giorno seguente alle ore 16,00 dovevano imbarcarsi. Il Cherella era in regola con il biglietto e le carte d'imbarco, Vincenzo, invece, non aveva e non poteva procurarsi alcunché, e per tener fede alla parola data, Cherella escogitò di nasconderlo in una botte e di farlo salire clandestinamente a bordo della nave. La traversata durò ben 26 lunghi giorni, e Vincenzo dovette trascorrerla sempre rinchiuso nella botte, con la possibilità di uscire solo un paio di volte al giorno, quando l'amico gli portava qualcosa da mangiare. Giunto negli Stati Uniti e riabbracciato il padre, cominciò per lui una lunga e dura esperienza di lavoro, dall'alba al tramonto, e da uno Stato all'altro d'America, in piantagioni, in fabbrica, in filande, e in campagna, in fattorie sconfinate, con trattori enormi mai visti in Italia. Riuscito, dopo enormi sacrifici, a integrarsi e, ottenuta la cittadinanza americana, divenne poliziotto.
Durante la prima guerra mondiale, quando gli Stati Uniti inviarono un piccolo contingente di uomini in Europa, con la speranza di tornare in Italia chiese e ottenne di farne parte, e come volontario fu aggregato al plotone americano distaccato a Parig, assieme ad altri connazionali e al compaesano Giuseppe Cangiano. Tornò una prima volta in Italia negli anni 1919/1920, con una traversata che nel frattempo si era ridotta di ben dieci giorni, poi qualche anno dopo per restarvi. Nel 1933 gli giunse una lettera con cui gli Stati Uniti lo invitavano a rientrare, garantendogli una casa e il lavoro. Non accettò perchè la casa offerta era piccola per lui, sua moglie e i suoi 6 figli. Nel 1935, gli fu offerta una nuova casa e un lavoro per la moglie. Neppure questa volta accettò, ormai fortemente ancorato alle proprie radici, però il legame con gli Stati Uniti era rimasto, tanto che nel 1948 ricevette, e con lui tutti gli emigranti che avevano fatto ritorno in patria, una lettera a firma del presidente degli Stati Uniti, Truman, con cui veniva invitato a votare per la Repubblica nel referendum del 1948.
Questa, di Vincenzo Ragosta, raccontataci da un nipote, è una delle innumerevoli storie di italiani che hanno dovuto affrontare la triste esperienza dell'emigrazione e che, nonostante l'integrazione raggiunta, non hanno resistito alla nostalgia per la propria terra, ritornandovi appena è stato possibile.
Teano, dopo la seconda guerra mondiale e l'avvio della ricostruzione, benché l'emigrazione per il continente americano e per i paesi europei non si sia mai bloccata del tutto, è stata caratterizzata da una crescita demografica, negli anni “60 del boom economico, unita ad una ripresa dell'emigrazione indirizzata all'interno del paese: con prevalenza per le aree industriali del ricco Nord, per la Lombardia, il Veneto, e il Piemonte in primo luogo, all'ombra della Fiat e dell'indotto.
La crescita demografica è, però, finita quasi subito, bloccata da un'insieme di ragioni economico-sociali, riconducibili tutte alla mancanza di lavoro, di prospettive e di qualità della vita, per le nuove generazioni, al punto che, da decenni, la popolazione è in costante e progressivo decremento, nonostante la presenza di tanti extracomunitari immigrati residenti.
L'Italia, divenuta soggetto forte ed economicamente ricca, in era di globalizzazione, ha cominciato ad essere interessata a sua volta, dalla fine degli anni “70, dal processo di immigrazione divenendo una delle mete principali dei poveri dell'Est e del Sud del mondo, del popolo delle navi carrette, dei gommoni, dei battelli, dei containers, in fuga dai propri paesi per scampare alle guerre, ai genocidi, alla fame, alle malattie, alla disperazione. Popolo che, invece di trovare accoglienza e tolleranza, in ragione della nostra passata triste esperienza, trova ostilità, paure, razzismo. Come dimostrano gli ultimi recenti fatti di Rosarno, in Calabria, dove si è assistito ad una vergognosa e inqualificabile aggressione agli immigrati neri, già costretti ad una vita miserabile e da schiavi, per pochi euro al giorno, a fronte di un durissimo lavoro che gli italiani rifiutano di fare. Episodio eclatante e purtroppo non isolato in un paese di smemorati, di ingrati, e per colpa di una politica completamente estranea ad ogni spinta ideale, senza idee di tolleranza, di convivenza di popoli e culture, di razze e di religioni, che ha portato alla vergognosa introduzione del reato di clandestinità.
“La società del benessere è ridotta a una fortezza assediata. Ma è illusione alzar mura, installare body scanner, e rovesciar barconi. Il nemico che ci assedia non è l'immigrazione. Siamo noi nemici a noi stessi. La crisi è dentro la struttura stessa della città” (Enzo Mazzi comunità Isolotto). E Serge Latouche, il teorico della decrescita e dell'alternativa all'ideologia economica dello sviluppo, rimarca che solo una comune identità mediterranea, potrà dare all'Europa una civiltà “più conviviale, più umana, più sociale, più tollerante, più culturale, più amante della famiglia e dell'arte del vivere”, per arginare la mondializzazione dell'economia, che porta al depauperamento delle risorse, alla distruzione dell'ambiente, e al perpetuo emigrare.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 5 Maggio)

 

Vincenzo Ragosta