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Indice Martino Amendola
 
 

La Collina di S. Antonio dal "Romanzo della vita" di

Adamoli al progetto tradito
 
Idee,  interventi e inerzia  tra  strabismo e miopia
 

La quotidianità paradossale, che alimenta la vita della nostra comunità, c’induce a vivere le scelte operate dai nostri amministratori con malcelato timore e con  preoccupazione. Sembra quasi che uno spiritello guercio e miope abbia occupato le stanze  del comune e di lì si diverta a giocare con la popolazione tutta.
Paradigma  di questa situazione  possono essere considerate le contrastanti, e contrastate, vicende  legate a due dei progetti  che hanno investito negli ultimi anni la nostra cittadina e che, nelle intenzioni, dovevano  servire  a far decollare un’opera  di risanamento  e di valorizzazione di una zona periferica di enorme interesse ambientale  e storico,  e un’altra di riqualificazione di una  parte del centro storico. Ci riferiamo, qui, al progetto del “Parco della collina di S. Antonio” e  a quello di sistemazione di Piazza Umberto I e della “Casina” in cui, ad onta dell’approccio sistemico, dell’omogeneità tecnico-politica, della continuità amministrativa, si è proceduto in maniera estemporanea e contraddittoria.
Infatti, per quanto riguarda Piazza Umberto I e La “Casina”, non si è avvertita minimamente la necessità di attivare un confronto, e un coinvolgimento dei cittadini, su scelte che incidono sull’assetto urbanistico del centro storico. Senza tener conto che, inoltre, proprio per la complessità dell’intervento e per l’importanza del contesto urbanistico in oggetto, si sarebbe necessariamente dovuto attivare un meccanismo di garanzia, per il livello e la qualità prevista e pretesa, che solo il “Concorso d’Idee” poteva dare.
Prevedendo, invece, in sede di “Conferenza dei Servizi”, la “demolizione” (come recita testualmente il progetto definitivo) di una parte del tessuto urbano, ”la Casina”, senza  che  tale necessità fosse mai stata sussurrata o palesata da chicchessia, e senza porsi il problema della condivisione delle scelte tecnico progettuali.
In più, alle rimostranze decise e argomentate del “Comitato per la salvaguardia  della Casina”,  immediatamente costituitosi, che chiedeva, corroborato da una petizione con oltre mille firme raccolte in pochi giorni (soli due sabati), il congelamento del progetto e l’avvio di una procedura  condivisa, si è risposto in maniera risentita  e senza bloccare o  rallentare  minimamente l’iter burocratico.
Di segno nettamente opposto la storia del  “Progetto per il recupero, la tutela  e la valorizzazione della collina di S. Antonio”; in questo caso, intervenire per riqualificare una delle zone più  belle e amene  del paese era un’esigenza avvertita da tutti, e da tempo.
Questo luogo, da sempre meta privilegiata delle passeggiate dei teanesi per il paesaggio, il panorama, per gli impianti sportivi presenti, per un  piccolo parco giochi,  per l’annuale “Fiera” che si svolge nel mese di giugno, e  per il  Santuario di S. Antonio, che presenta un notevole chiostro  quattrocentesco (opera di maestranze catalane), versava, e versa ancora, in condizioni d’abbandono e di degrado, ridotto ad area di sversamento abusivo di rifiuti d’ogni genere.
Operare era d’obbligo e, in questo caso, si è anche attivato il giusto procedimento e  percorsa la via maestra del confronto e della condivisione. Difatti,  si è discusso nelle sedi deputate, nelle commissioni consiliari e in Consiglio comunale, e lì si sono individuate le linee guida delle opere da progettare e, per non trascurare alcunché e “….per ottenere il meglio….è nata  la convinzione di ricorrere ad un Concorso di Idee a livello nazionale creando le condizioni per una vasta partecipazione, dando al concorso stesso la massima pubblicità” (deliberazione di C.C. n. 70/”96).
Istituendo, quindi, una Commissione esaminatrice composta di vari esperti, tra cui il prof. Giancarlo Alisio, recentemente scomparso, della Facoltà d’architettura di Napoli,  autore di fondamentali lavori sul Risanamento e su Lamont Young. Commissione che ha,  poi, premiato il progetto presentato dal gruppo del prof. arch. Massimo Rosi, tra i maggiori esperti di architettura meridionale del “400 d’ influenza catalana, e composto tra gli altri, dagli architetti Vincenzo Lerro e Alfredo Balasco.
L’idea progettuale era quella del “Parco della collina di S.Antonio” dando al termine Parco il significato di entità omogenea territoriale, prevedendo la sistemazione dell’area della Fiera in funzione di un’attività fieristica permanente,  con l’ubicazione di servizi,  percorsi coperti attrezzati,  pavimentazioni, punto ristoro permanente e padiglioni smontabili e componibili, oltre ad un ampio parcheggio. Contemplando un edificio principale destinato ad essere la sede dell’Ente Parco della collina, dell’Ente Fiera e come sezione didattica per la conoscenza del territorio. E raccordando l’area superiore (creatasi nel tempo, con terreno di riporto e di risulta) e quella inferiore con una cavea addossata in parte al terrapieno, in modo da creare un Teatro all’aperto. Ancora, la sistemazione dell’area a nord del Santuario, molto degradata,  e la realizzazione di un giardino paesistico con l’inserimento di un “Teatro di Verzura” . Infine la sistemazione del sagrato  e la realizzazione delle stazione della Via Crucis.
Un progetto davvero  organico e complessivo  che avrebbe potuto riscattare anni di colpevole incuranza  e d’inerzia amministrativa, ridando decoro e dignità al paesaggio, al tesoro architettonico presente; rilanciando, contestualmente, la Fiera, un tempo rinomata in tutta la regione e che faceva affluire a Teano migliaia di visitatori e d’allevatori per quella che era  una delle più importanti fiere del bestiame.
Fiera che lasciava impronte durature in coloro che avevano la fortuna di parteciparvi.
Ci piace, al proposito, trascrivere il ricordo vivido e colorito di Umberto Adamoli, vissuto a Teano  agli inizi del secolo scorso, e che nello scritto autobiografico  “Romanzo della vita” ne fece una descrizione di forte impatto espressivo.
“Vivevamo a Teano a pochi chilometri dalla città, non molto lontano dalla storica località, ove avvenne l'incontro, nel luminoso risorgimento, di Vittorio Emanuele secondo con Garibaldi: dalla città già capitale dei Sidicini, gloriosa di storia, di ruderi, di romani monumenti, che noi visitavamo religiosamente. Dai suoi bastioni, dove gli abitanti s'erano forse adunati, per osservare di sotto gli eventi storici, che vi si svolgevano, s'ammirava una vasta rigogliosa pianura, disseminata di case, di villaggi, di popolosi importanti centri. Laggiù, lontano, verso il mare, ove s'indovinava Napoli, si vedeva fumare il Vesuvio. Invitava quella veduta, nebulosa nella sua vastità, e molte fantasticherie, ma altri erano i pensieri che turbavano il nostro animo. Poche volte, d'altra parte, uscivamo dall'eremo, in cui vivevamo. La solitudine era, però, compensata dal magnifico paesaggio, costituito da amene collinette, da pittoreschi valloncelli, freschi di verde e di acque, molte delle quali carboniche ferruginose che, nel berle, sviluppavano un appetito pericoloso per la modesta nostra mensa. Nella salute del babbo, o per il cambiamento d'aria, o per quell'acqua che beveva abbondantemente, era avvenuto un confortante miglioramento. A Teano, in occasione della fiera di S. Antonio, che durava tredici giorni, assistevamo, con curiosità ed interesse, alle manifestazioni d'ozio e di lavoro, di miseria e di ricchezza, d'inganni e di rettitudine, di buffoneria e di serietà, che rappresentavano, in sintesi, la vera grande umana commedia. Quella fiera si estendeva su un terreno, quasi di collina, per molti chilometri. Era, in ogni parte, un gridio, un muoversi affannato, un frastuono continuo. Ognuno cercava d'attirare, nel modo più chiassoso, sulla propria attività, l'altrui attenzione. Lungo le strade, che conducevano a quella specie di bolgia, vi si osservavano fattucchieri, giocolieri, indovini, carovane di zingari, giuntivi da ogni parte. Vi si osservava ancora, destando ribrezzo e profonda pietà, uno schieramento di storpi, di ogni specie. Pareva che fosse stata molto minuzioso la scelta per condurre, a scopo speculativo, su uno dei più infami mercati, gli aborti più mostruosi della ingrata natura. Tutti si commuovevano alle grida, agli alti lamenti, alle invocazioni di quegli esseri infelici, e davano danaro. Baracche sorgevano, inoltre, ovunque, padiglioni, case di legno. Vi erano scimmie, serpenti, bestie feroci, nani, giganti posticci, in continua trasformazione, e pagliacci di ogni colore e di ogni valore. Non vi mancavano, a spesa dei semplicioni, dei gonzi, gli inganni, i furti organizzati, gli abili borseggi. Ma di là da queste ed altre affermazioni, la Campania felice, in questa adunata, mostrava il largo spirito d'iniziativa, la capacità di ricchezza, i prodotti della sua terra feconda. Vi erano stati aperti, per l'occasione, molte cantine, molti ristoranti, adorni di verde, con esposizione di vino e di ghiotte vivande, ove, gli intervenuti alla fiera, andavano a festeggiare i guadagni più o meno onesti. Vi andammo, punti dall'appetito ed attratti dal buon odore, a cena anche noi. Scelto un posto, in fondo alla sala da pranzo d'uno di quei ristoranti, ordinammo un gustoso spezzatino, melanzane alla parmigiana ed un bel fiasco di vino, di quello duro pugliese ed altro. Nella sala, dinanzi ai piatti e alle bottiglie, che si vuotavano speditamente, regnava la più schietta allegria. I commensali avevano, quasi tutti, visi rubicondi, spalle ben quadrate, mani ruvide, modi grossolani. Erano, evidentemente, uomini che passavano di mercato in mercato, di fiera in fiera, acquistando, vendendo, imbrogliando, facendo ottimi affari. Parlavano chiassosamente, senza riguardi per nessuno. Anche le donne, ornate di collane, di orecchini, di ciondoli d'oro, vi erano largamente rappresentate. Completavano il quadro rusticano i molti suonatori ambulanti, che si susseguivano ad allegrare il già allegro ritrovo”.
Questa rievocazione di una scena pittoresca e vitale, di manifestazione pubblica e collettiva,  cozza duramente con la realtà odierna, in cui, dell’antica “grande umana commedia”, resta solo qualche brandello, qualche minuscolo frammento, ridotta com’è,  la Fiera, a  misero mercatino rionale.
Chiaramente, proprio perché il nostro “spiritello” è guercio e miope, tale progetto non poteva avere che l’esito che ha avuto, rinchiuso in qualche cassetto, dopo tanto lavorio e spese (oltre 150.000 €.) e lì dimenticato. Utile documento, però, per coloro che tra qualche tempo avranno la ventura di studiare e analizzare la nostra Città, e di capire le ragioni per cui “tutto scorre, tutto diviene e si modifica ” tranne Teano,  che resta caparbiamente immobile, sempre uguale a sé stessa.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 6 Giugno)