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Totò a Teano

 
 

All’interno del cartellone della “Settimana della Cultura”, del maggio scorso, organizzata dal Comune di Teano, in collaborazione con l’associazione “Architempo” e la “libreria Guida” di Capua si è svolta nella splendida cornice della chiesa di S. Pietro in Aquariis, nel cuore del quartiere medievale e popolare di Teano, la serata dedicata a Totò.
L’evento, voluto in modo particolare da Liliana De Curtis, figlia del nostro amatissimo artista, prevedeva la proiezione del filmato inedito “Lei non sa chi è Totò”.
Si tratta di un documentario con sequenze inedite tratte dal film di Pasolini “Uccellacci e uccellini” con l’episodio chiamato “Totò al circo”, in cui un domatore (Totò), tenta di ammaestrare un’aquila, ma ne resta soggiogato e finisce per sentirsi e diventare infine lui stesso un uccello e librarsi leggero e libero nel cielo.
Seguono poi, le interviste e le testimonianze d’attori, autori, critici cinematografici, personalità del mondo culturale, e d’alcuni degli interpreti delle canzoni di Totò.
Notevole è stata la risposta della città, con la chiesa stracolma di un pubblico estremamente variegato, ma uniformemente ed emotivamente coinvolto e partecipe.
Bastava che sullo schermo venissero accennati soltanto alcuni degli innumerevoli episodi tratti dai suoi film e sketch teatrali e televisivi che, immediatamente, s’innescava il meccanismo mentale del riconoscimento del personaggio, della maschera, della situazione comica, della dissacrante ironia con cui tutto demoliva.
Grandissimo artista, immenso comico degno di figurare, in un ipotetico olimpo, accanto a pochi altri della sua stessa levatura (Chaplin, B. Keaton, i fratelli Marx), è stato per anni ignorato dall’ ”Intellighenzia” nostrana; riscoperto poi, come d’incanto, solamente agli inizi degli anni settanta, a pochi anni dalla sua morte, con la proiezione dei suoi film nei cinema popolari e nei cine club, o cinema “d’essai”, tanto in voga allora.
E’ stato il pubblico giovanile figlio del “68” a tributargli per primo gli onori che meritava, avviando, così, una revisione critica che, oggi, uniforma in maniera perfetta il pubblico, che lo ha sempre amato, tributandogli grossi successi commerciali, e la critica che, finalmente, riconosce in lui l’artista sublime, il genio della risata.
“Il 15 febbraio 1898, alle ore 7,30 del mattino, nel rione “Sanità” Antonio Clemente (non ancora principe), fa il suo debutto in commedia è sull’immenso palcoscenico di Napoli, dunque, che dobbiamo immaginare fin dall’inizio Totò, a Napoli il primo, immenso teatro è la strada, lì nasce la recitazione spontanea dei napoletani, … anche qualcosa di più radicale, … qualcosa che rimanda a una storia fatta di dominati e di dominatori, retta da un atavica, necessaria forza di sopravvivenza” (Roberto Escobar). Comincia con il Varietà e la Rivista, in un duro e, a volte, umiliante apprendistato in “teatrucoli” di provincia, dove a poco a poco nasce il burattino inarticolato e la maschera “Totò” che incatena le platee in un crescendo parossistico di lazzi e sberleffi che scatenano un riso irrefrenabile.
Improvvisatore geniale, gli basta un labile canovaccio per costruire, con una velocità straordinaria, e con la sua inarrivabile mimica, uno spettacolo intero e reggerlo da solo con la complicità di poche spalle che faticano non poco per seguirlo. Perché il suo vero copione è la miseria, come dirà più volte “… non si può far ridere se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, l’amore senza speranza, la disperazione della solitudine di certe squallide camerette ammobiliate alla fine di una recita in un teatrucolo di provincia; e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffelatte, la prepotenza degli impresari, la cattiveria di un pubblico senza educazione, insomma, non si può essere un vero comico senza aver fatto la guerra con la vita”.
Il suo primo film è del ‘37, “Fermo con le mani”, cui seguiranno altre 120 pellicole e più, inframmezzate fino agli anni  “50” dal lavoro teatrale.
Sono in maggioranza film senza pretese da parte di produttori con pochi scrupoli e di registi che sopperiscono alla mancanza di soggetti e di sceneggiature degne con l’estro e l’inventiva di Totò, che con pirotecniche trovate e eruzioni comiche tutto nobilita.
I registi girano film “di Totò” e non con Totò, lasciandolo libero di improvvisare e creare, seguendolo e assecondandolo, sicuri che la sua straripante comicità, la dissacrante ironia e l’infinita serie di travestimenti, di giochi linguistici, di “nonsense” e di demolizione d’ogni autorità costituita, vista con gli occhi degli ultimi, dei diseredati degli esclusi, riempirà di senso quell’ora e mezza di spettacolo; cui sempre arride il consenso del pubblico e il successo ai botteghini.
Qui emerge il carattere primo di Totò, il suo rincorrere le necessità primarie e più vere, gli appetiti elementari dei personaggi che avevano fatto “la guerra della vita”: la fame, il desiderio carnale, la casa, gli affetti. E come tutti quelli che hanno sofferto e soffrono d’ogni privazione, nel momento in cui per fatalità arride un attimo di fortuna, tratta il denaro, il “dio denaro”, per quello che è: un mero strumento per soddisfare quelle necessità.
Così i film diventano esplosioni di gioia collettiva, inno alla vita, lode al “carpe diem”. Fifa e arena, Totò le Mokò, Un turco napoletano, Miseria e nobiltà, Totò cerca casa, Totòtruffa 62, Totò sceicco, Sette ore di guai, Animali pazzi, Il ratto delle sabine, Totò al Giro d’Italia, Che fine ha fatto Totò Baby, Totò diabolikus, L’imperatore di Capri, Totò a colori, Totò Peppino e la malafemmina, sono alcuni di quei film; Mattoli, Alessi, Bragaglia, Palermi, Bonnard, Mastrocinque, Comencini, Steno e Monicelli,  i registi.
“Può essere apparentato tra i grandi comici internazionali, ai fratelli Marx, con loro divide il gusto del gesto incoerente, della rapidità delle soluzioni, e delle rotture, la spregiudicatezza dell’invenzione, ma ad essi assomiglia soprattutto per quell’incredibile e sovrana libertà dell’azione, che lo porta a distruggere la quiete, a creare il casino, a distruggere la normalità attraverso le molle fondamentali del desiderio irriverente, ma tanto il loro gioco era determinato dall’assurdo, e dunque nettamente surreale e provocatorio, tanto quello di Totò ha una base di concretezza nella spinta: è la differenza che passa tra il desiderio e la fame, tra il rifiuto delle convenzioni, per partito preso o per ansia d’azzardo e infine di conoscenza, e quello che è determinato, rigidamente determinato, dalla necessità” (Goffredo Fofi).
Per Fellini, Totò “il fatato omino lunare” che lo incanta, in uno di quei “teatrucoli” di provincia, e che non dirigerà mai (unico vero rimpianto di Totò) perché “nessun film può essere in grado di contenerlo”, è immenso e unico. “Considero una fortuna appartenere a una generazione che può testimoniare di averlo visto veramente su un palcoscenico e, lacrimando di gioia, di godimento, di averlo applaudito insieme a platee esaltanti di contentezza e gratitudine. Perché non si pensa di santificare questo generosissimo benefattore dell’umanità? Un santo clown… San Francesco amava definirsi giullare di Dio, e allora coraggio, San Totò! del resto non faceva già piccoli miracoli sul palcoscenico?”
L’incontro con Pasolini, avviene poco prima che il sipario della vita cali su di lui, sul finire degli anni 60, girerà “Uccellacci e uccellini” e due episodi “La terra vista dalla luna” e “Cosa sono le nuvole” tratti da  “Le streghe” e “Capriccio all’italiana”.
Totò, chiamato per incarnare l’ingenuo candore degli umili all’interno della favola “Ideocomica”, apologo irriverente dell’Italia del boom economico, anche se al di fuori dei canoni abituali della sua comicità, ma con momenti di puro lirismo, in particolare con l’episodio della predica agli uccelli assieme a Ninetto Davoli, darà un interpretazione felice e piena d’invenzioni fantastiche.
“Tra tante difficoltà, ho avuto in compenso la gioia di dirigere Totò e Ninetto: concerto per Stradivarius e zufolo. Quale stupendo concerto” (P.P. Pasolini).
Il Principe della risata, è divenuto, oggi, un’icona formidabile, i suoi film vengono riproposti con immutato interesse e studiati e amati dalle nuove generazioni.
Ogni aspetto della sua arte vivisezionata e analizzata; il suo linguaggio tema di convegni e studi.
“Totò, con un operazione gaddiana, sapeva muoversi dentro la lingua italiana utilizzando tutti i 23 significati che si potevano tirar fuori da un solo termine” (Matteo Palumbo, storico della letteratura). E l’Università “Federico II” recentemente, nel 2004, l’ha celebrato con un convegno di linguisti e studiosi internazionali ove, emblematicamente, è stato ricordato l’episodio de “La terrazza” di Scola: quello del personaggio che voleva a tutti i costi scrivere un saggio su Totò e Wittgestein.
Vedere un film di Totò è godimento dell’animo e esercizio intellettuale.

Martino Amendola
(da Il Sidicino - Anno II 2005 - n. 7 Novembre)