TEANO
 
Tradizioni
 
Credenze e superstizioni
 
La festa dei morti e/o il “Cunto della messa dei morti”
 

Presso tutte le culture incontriamo riti che presuppongono una forma di contatto fra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti e che affondano le loro radici nella notte dei tempi. Nei templi degli antichi Greci vi era un luogo buio, spesso presso uno specchio, considerato oggetto magico, ove ci si concentrava per varcarne la soglia ed entrare in contatto coi defunti. I Romani nei giorni che si onoravano gli avi usavano far visita alla tomba di famiglia: una cripta con terrazza ove si riunivano per banchettare ed attraverso un passaggio simbolico venivano lasciate cadere vivande per i morti. Antiche tradizioni celtiche, giunte fino a noi, festeggiavano queste ricorrenze il giorno 31 Ottobre e 1 Novembre. La chiesa per contrastare tali tradizioni, molto radicate fra la gente, istituì nel 610 con Papa Bonifacio IV la festa di tutti i Santi che cadeva il 13 Maggio: in quel giorno venivano onorati i cristiani uccisi in nome della fede. Tale espediente non sortì alcun effetto, così nel 910, per volontà di Odilone abate dell’abbazia di Cluny, si finì per far coincidere la commemorazione dei morti con l’antica data celtica del 31 Ottobre/1 Novembre, per sminuire così l’importanza di questa e dare nuovo significato ai culti pagani.
Giova dare qualche breve notizia in più sulla diffusione della “festa dei morti” in Europa ad opera degli antichi riti celtici. Le due feste più importanti del calendario celtico venivano festeggiate a Samhain (31 Ott./1Nov., che rappresentava anche l’inizio dell’anno) ed a Beltan (30 Aprile/1 Maggio): esse segnavano la divisione dell’anno in due parti, una oscura e l’altra luminosa (inverno ed estate). Ogni mese era lungo 29 o 30 giorni, il mese di 29 giorni era considerato infausto, credenza giunta fino ai giorni nostri, il giorno era calcolato da tramonto a tramonto: ogni festa di conseguenza si celebrava a partire dalla notte precedente e perciò dalla sua vigilia. Se si considera la disposizione di molte feste cristiane del nostro calendario ci fa pensare che esse siano state influenzate da tali usanze. Questa notte fra il 31 Ott/1Nov. era considerata “la notte di Samhain”, non si sa con certezza se Samhain fosse anche una divinità, si sa però che i riti più importanti si svolgevano in questo periodo di passaggio fra la fine dell’anno pastorale e della raccolta e l’inizio dell’altra metà, fredda ed oscura. In questo periodo, tutte le leggi dello spazio e del tempo sembravano essere sospese, il velo fra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti si assottigliava a tal punto che i morti potevano venire fra i vivi.
Ciò che resta oggi di queste antiche credenze, filtrate dal periodo romano e poi cristiano, non sono poche: la sera di Ognissanti, si possono ancora scorgere cerogini e lumini accesisui davanzali, agli incroci dei vicoli, nei porticati o sugli afetiegli per dar luce al passaggio dei morti. Nelle case la sera per antichissima tradizione non si sparecchia la mesa, le vivande, in onore dei morti, non vengono riposte, e le giaculatorie ed i rosari in questa sera sciorinano litanie particolari ossequianti i morti. Una volta solo i più coraggiosi si attardavano a rincasare, e comunque si racconta che le imposte venivano chiuse e le vie ed i sentieri meno battuti già al primo crepuscolo venivano evitati per lasciare il passo ai morti, perché potessero raggiungere o ritornare dalle proprie mete. E’ ancora molto conosciuto fra i più anziani il cunto della “messa dei morti”: esso ha origini molto antiche e comunque già conosciuto prima dell’editto di Saint Cloud con il quale Napoleone dispose, nel 1804, che i morti non dovessero essere più seppelliti nelle chiese ma in appositi cimiteri fuori dalle mura cittadine. Si racconta che una volta “ …nella notte dei morti una povera donna, che abitava in un casolare ai margini di un paesello, fu svegliata dagli insistenti guaiti dei cani. La donna pensò di svegliare il marito perché andasse a dare un’occhiata con il “ribbotto”, per controllare se fosse la solita volpe che gironzolava attorno al pollaio; poi vedendolo dormire profondamente, stanco per il duro lavoro del giorno, risolse di andare lei stessa. Così con circospezione socchiuse l’uscio e affacciatasi da sopra “l’afetieglio” per dare uno sguardo verso il pollaio fu subito distratta da alcune luci che si muovevano nei sentieri vicini, la campagna intorno era scarna e piena di rovi, guardò meglio e scorse delle persone che andavano verso il paese coi “cerogini” in mano: una fitta nebbiolina novembrina spegneva ogni tanto quelle lucine che d’incanto si riaccendevano, la luna da dietro le nuvole dava quel chiarore come di quando vuole albeggiare. Non aveva sentito le campane, ma quelle persone certo andavano alla prima messa mattutina, le sembrò un po’ ”currenno” ma si sa che a Novembre non fa mai mattino, pensò la donna. Non poteva perdere la prima messa, più tardi aveva tanto da fare coi molti figli e gli animali da governare. Così andò piano verso il “cantarano” prese l’unico vestito buono che aveva, uno scialle e si “ammutò” in tutta fretta, quando prese per il sentiero verso la chiesa le nuvole s’erano infittite, il chiarore era diminuito e lei stava attenta a non rovinare le vesti sui pungiglioni dei “rusiegli”che ormai sapeva scansare per abitudine, ma per quanto andasse lesta non riusciva a raggiungere nessuna di quelle persone che la precedevano. Quando fu sulla piazzetta del villaggio la rincuorò la luce che veniva dal pesante portone aperto della chiesa, in un baleno fu dentro: la chiesa era piena, lei si accomodò su di uno spigolo di “scanno” che qualcuno le aveva liberato e stette a seguire la messa. La luce delle candele le pareva stranamente uniforme, nei “cantoni” più nascosti della chiesa vi era la stessa luce, e dietro le persone non v’era alcuna ombra, tutti avevano il velo in testa, quella volta, anche gli uomini, il prete che dava messa non sembrava conoscerlo e non lo sentiva mentre predicava, si voltò indietro e vide che non faceva ancora giorno: le prese una grande ansia. Cercò istintivamente in chi gli era intorno rassicurazione perché tutto tornasse più normale, quella che le era di fianco si girò: il viso era del colore del latte, lei lo conosceva quel viso, era la sua amica di gioventù morta di stenti a seguito di una forte carestia, gli occhi che pure sembravano cercarla la sorpassavano, a fatica le uscì di bocca un lieve sibilo: “Sora mia ca se fa vivi cu vivi e muorti cu muorti, si ai canzio vavattenne … fuitenne … fui …ch’e menutu tiempu re ce ne i”. Mentre si girava per correre verso il portone fece in tempo a scorgere le prime file di quelle anime che scendevano per una botola sotto la chiesa, il portone nel chiudersi cominciò a cigolare fra rumori di capaci chiavistelli e “caletti”, la malcapitata fu appena fuori mentre i pesanti battenti si serrarono trattenendole alcuni lembi delle vesti. La donna centuplicò le forze, strappò le vesti e nessuna voce gli usciva da dentro, mentre, atterrita, attraversava la piazza deserta, la nebbia si era tramutata in una pioggerellina insistente, sperò di svegliarsi accanto al suo uomo al caldo, ma il dolore che le provocavano le spine dei rovi quando, incespicando ad ogni passo, prese il sentiero di casa, la fecero ricredere. Giunse all’uscio più morta che viva:”stravisata”, fradicia di sudore e di pioggia mentre la campana della chiesa rintoccava la seconda ora dopo la mezza notte. Accudita dalle vecchie del paese con difficoltosi “ngiarmi” stette, per quaranta notti e quaranta giorni, fra la vita e la morte. In seguito, quando si ritornava sulla cosa nelle lunghe sere d’inverno, pare che ognuno volesse sapere dalla poverina se, a pensarci bene, avesse intravisto qualche proprio congiunto, perché di certo lei c’era stata a quella messa dei morti, in quanto la mattina furono ritrovati i lembi del suo vestito buono fra i battenti del portone, e rimasero, a testimonianza nella chiesa, per molte generazioni”.
Oggi va di moda Hallowen: anch’essa una popolare festa pre-cristiana di origine celtica, corrispondente alla vigilia della nostra festa di Ognissanti, festa tipicamente Statunitense e Canadese, che si sta diffondendo in tutto l’occidente; il suo simbolo è una zucca ritagliata ed illuminata. Di certo non è una trovata americana: da tempi remoti, nelle nostre zone (Campania, Basilicata, Puglia) si svuotano le zucche (cocce priatorje) e illuminandole coi cerogini si pongono ai crocicchi delle vie unitamente a delle spasere di vivande per rifocillare ed illuminare i morti che per quella ricorrenza ambiscono tornare nei luoghi a loro cari. Queste usanze partirono, fra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, insieme agli stracarichi bastimenti di emigranti per la “Merica” e da lì sono tornate indietro senza memoria. Praticamente questo fenomeno di Hallowen sta diventando un grosso affare commerciale: i bambini si sono impossessati della festa, grazie ad iniziative di grosse aziende che hanno dedicato a loro tutta una serie di costumi, maschere, dolci particolari di varie forme e colori e gadget di ogni genere che loro usano come per una festa di carnevale.
Le vie di una volta, ormai inselvatichite, sono diventate rifugi di animali, le strade moderne  percorse da veloci automobili non danno più spazi ad antiche credenze. Sempre più di frequente, approfittando di questa ricorrenza, ci confondiamo fra ponti e weekend e per i morti ritagliamo un ritmo sacrale sempre uguale fatto di tonnellate di grossi fiori da serra, che invadono i cimiteri. Qualcuno usa coltivarli ancora, per i propri cari, a ridosso dei muri d’orto fra il timo ed il rosmarino, sono più esili, hanno colori tenui, pastello, e si pensa che siano più graditi ai defunti.

Carlo Antuono
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 11 Novembre)