TEANO
 
Tradizioni
 
Canti popolari
 
Canti popolari di Terra di Lavoro: i Mesi
 
(Canto tipico popolare aurunco)
 

Commento e analisi metrica a cura di Antonio Martone. La trascrizione del testo musicale è di Alberto Virgulto.

Commento
Per commentare la canzone dei Mesi, riprendiamo le pagine che lo stesso Borrelli le dedicò nel volume Tradizioni aurunche, pubblicato nel 1937 a Roma nella collana minturnese, ristampato nel 1984 a Perugia a cura di Gaetano Tamborrino Orsini, con alcune note introduttive di A. M. Villucci e G. Ciriello (l'introduzione alla edizione del '37 era firmata da Pietro Fedele, ministro della Pubblica Istruzione). Il volume si compone di una serie di saggi di folklore (sono precisamente 16, dal Carnevale e la Quaresima ai riti della Pasqua, i lavori dell'estate e dell'autunno, al ciclo natalizio ed altri) ed è opportuno ricordare che questo sui Mesi fu pubblicato nel 1925, nel 1° numero del 1925 in Folklore italiano.
“Tra le rappresentazioni popolari, che negli ultimi giorni del Carnevale allietano talvolta le popolazioni del­le nostre borgate rurali, - scrive il Borrelli - quella dei Mesi costituisce […] lo spettacolo classico; classica infatti è l'al­legorica personificazione dei periodi cronologici rispon­denti ai mesi dell'anno, classico il simbolico contenuto georgico del ciclo annuale, che, con tale rappresentazio­ne, intendesi celebrare. Grande importanza davasi un tempo allo spettacolo […] dal pubblico dei piccoli centri, il quale seguiva col più vivo interesse la preparazione del­la mascherata e che alla rappresentazione si divertiva un mondo; oggi, per ovvie ragioni, l'interesse è assai sce­mato, tanto che solo di rado e soltanto in qualche vil­laggio ove più tenacemente si conservano antiche tra­dizioni, suol festeggiarsi con la cavalcata dei Mesi l'ul­timo giorno di Carnevale”. Abbiamo già annotato che il saggio risale al 1925: già a quel tempo dunque solo in qualche paesino ancora veniva rappresentata la cavalcata dei Mesi.
A questo riguardo riportiamo un nostro ricordo: quando ero un ragazzetto, a metà dei anni Cinquanta del secolo scorso, la rappresentazione dei Mesi ancora resisteva a Pignataro Maggiore e dintorni: infatti nella piazza del paese si schierarono in bella mostra i 12 mesi a cavallo e cantarono ognuno la propria strofa; il ricordo è sbiadito, ma è rimasto impresso nella nostra memoria e in quella di altri amici coetanei. Dobbiamo precisare che il gruppo dei Mesi era costituito da elementi non del luogo, ma provenienti dalla vicina Pantuliano e pare che la stessa comitiva rappresentasse anche un'altra sceneggiata: Zingari e caurarari.
Ma torniamo alle pagine del Borrelli: “Lo spettacolo ha luogo naturalmente nella piazzetta del villaggio e in qualche crocicchio di esso, protagoni­sti i dodici mesi dell'anno, cui si accompagnano due personaggi secondari: Capodanno e Pulcinella. Meno quest'ultimo, che è a piedi, tutti gli altri sono a cavallo, Capodanno e Novembre su pacifici ronzini, gli altri su pazienti asinelli. Giunta sul luogo della rappresentazio­ne, la compagnia si dispone in circolo e lo spettacolo ha, senz'altro, principio.
Capodanno (veste di nero, con bande, alamari ed orlature d'oro; ha in testa un elmo; porta un grosso bastone ed un cestino con confetti) Il testo viene chiarito da alcune note. La casa è completa di tutto, perché nel giorno di Capodanno in ogni casa regna l'abbondanza. L'offerta di confetti agli astanti poi ricorda l'usanza di far regali appunto nel primo giorno dell'anno. Il bastone con cui minaccia i compagni è simbolo di autorità.
Pulcinella, nel ben noto abbigliamento della maschera napoletana; nelle mani un bastone da cui pendono nastri di vario colore (ziarèlle). Qui è da notare che la cantata di Pulcinella è ridotta alla metà di quella degli altri personaggi; probabilmente l'altra metà è andata perduta e il ricercatore non è riuscito a recuperarla.
Il termine meridionale “pazziare”, come è ben noto, significa: folleggiare, scherzare, divertirsi; circa lo sparlare nei riguardi della madre carnale di capodanno, scrive il Borrelli che Pulcinella “fingendo di fraintendere, ritiene lecito l'oltraggioso scherzo prima e dopo il Carnevale”, mentre esso può essere tollerato solo in quella occasione.
Dopo il preambolo dei due personaggi accessori, è la volta dei Mesi, i quali, a turno, nel modo più comico che sia loro possibile, tra le approvazioni ed i commen­ti del pubblico che si assiepa dintorno, cantano a voce stesa la propria «canzone».
GENNAIO (abito ornato di nastri e galloni, nastri al cappello, dita inanellate, in mano un ronchet­to): è nemico delle greggi a causa dei geli e delle nevi che fanno loro mancare erbe e pascoli. Per lo stesso motivo ostacola il lavoro della potatura delle viti; perciò è invidioso dei potatori. Dio castiga i peccatori (bestemmiatori) con le rovinose intemperie di gennaio che perciò diventa il vendicatore dei blasfemi: egli infatti scatenando il vento (uscio) manda in rovina (fruscio) i contadini che cercano di opporre un rimedio ricorrendo alla “coppa” che riscaldata serviva a lenire i dolori del corpo (questa l'interpretazione del Borrelli).
FEBBRAIO (abito e copricapo ugualmente ornati di na­stri e galloni; nelle mani una frusta sormontata da un mazzolino di fiori sempreverdi: per le sue frequenti tempeste è detto battagliero (fa guerra tutti i giorni)); a causa del freddo rende irrequiete le donne; prega il mese di agosto di non far cadere una goccia di pioggia, in modo che la terra non renda nulla.
MARZO in abito da pastore (pecoraro), con giacchettone di vello (pelliccióne); ha in mano un pezzo di pa­ne di granturco (pagnuótto) ed alcuni porri; è munito di zappella: il suo nutrimento è quasi un digiuno; è un mese povero, il cui lavoro ordinario – la sarchiatura del grano con la zappella – è mal remunerato; è un mese pazzo e incostante: ora piove, ora esce il sole.
APRILE in abito estivo (de stagione) gallonato ed or­nato, al cappello nastri multicolori svolazzanti e fiori; in mano un mazzo di fiori e alquanti uccelli vivi: in aprile sciamano le api; la terra e gli alberi, prima nudi, si rivestono di foglie; fa volare uccelli che si spandono sui monti e nelle valli; purtroppo però il cambiamento di stagione provoca frequenti infermità per cui i farmacisti faranno lauti guadagni (patacche e ducati sono monete); consegna un ramoscello a Maggio.
MAGGIO (identico abbigliamento di Aprile) ostenta bracciali, anelli e monili: “nel volgo si fa giustamente derivare da maggiore il nome di maggio” (in realtà esso deriva dalla dea romana Maia); “maturano le messi e s'approssimano i raccolti. È Maggio l'espressione della natura esuberante ed esultante”; gli asini vanno in calore; poi, inchinandosi al pubblico, se ne parte con buon vitto.
GIUGNO veste da mietitore: cappello ornato ed infio­rato; porta la falce messoria (sarréccia) nonché un cuc­chiaio di legno (cucciara) ed una pentola di argilla (pi­gnato) con entro verdura cotta (menèsta): agita la falcetta con cui miete quando “il prospero vegetare della pianta di cicerchia è indizio di abbondante raccolto di grano”; addenta avidamente quanto è nella pentola e inveisce contro quella vecchia (addita qualche vecchietta, ma allude alla Quaresima, “personificazione del malvisto periodo di astinenze”) e mostra la falcetta con l'intenzione di tagliarle la gola; farà il resto poi con abbondanti bevute di vino.
LUGLIO (in maniche di camicia, cappello ugual­mente ornato) ha in mano un piccolo carro sgan­gherato con entro alcune spighe di grano: il carro l'ha rotto arando nel mese di maggio, ma mostrando le spighe, dice che i covoni ne sono pieni, e augura al padrone abbondante raccolto; ora che il tempo è asciutto, egli si darà da fare a lavorare per guadagnare; poi in autunno verrà la pioggia ed egli sarà costretto a starsene inoperoso perdendo il vitto (le spese); si augura che il carro possa riempirsi tutto di covoni, diversamente che egli non possa più cantare il canto tradizionale del carreggiatore.
AGOSTO (anch'esso in maniche di camicia, nastri svolazzanti al cappello) ha colorito giallastro e reca un maglio e una gallina viva: la malattia di agosto è quella della malaria, a causa della quale la sua testa è stordita perché piena di infermità; fa mostra di colpirsi la testa col maglio; per seguire le ricette dei medici ha consumato tutte le medicine della farmacia; mostra poi la gallina di cui deve nutrirsi per guarire.
SETTEMBRE (medesimo abbigliamento, porta un ce­sto di frutta): mostra un fico appassito e un grappolo d'uva (fichi e uva, quali purganti, dimagrirebbero le persone) se qualche donna soffrisse di ernia, egli non correrebbe il rischio di urtarla in malo modo. Invita a dare poco ascolto ai gridi di venditori; egli vende i suoi fichi a miglior prezzo; un giorno poi si avvierà in cerca di uva lambrusca per maneggiare pesche e mele lisce (chiaro il contenuto erotico della frase a doppio senso).
OTTOBRE (veste come Settembre, porta anch'esso un cesto di frutta): mostra il cesto con frutti che afferma essere i migliori e offre dell'uva agli astanti; è l'uva conservata per la circostanza; le botti le ha già riempite per rallegrare tutti e, per far dispetto a medici e speziali, ha predisposto ben due rubinetti! Il buon vino fa sangue!
NOVEMBRE (veste di panno nero, con bande e orla­ture d'oro, cappello ugualmente ornato) ha in mano grano e confetti: è il mese della seminagione, fatta a tempo debito per rallegrare poi i padroni quando ci sarà abbondante raccolto. Egli ha bisogno di operai e fingendo di scavalcare chiede che qualcuno gli custodisca la giumenta; sparge poi il grano agli astanti e agli uccelli e getta i confetti alle donne belle.
DICEMBRE (veste come Novembre) porta una pi­gnatta con verdura cotta, una bambola (pupata) e un fia­sco di vino: è il mese in cui si ammazza il maiale di cui mostra qualche pezzo di carne che s'accompagna alla verdura della pignatta; poi si avvia in cerca di vino da offrire agli altri mesi; comunque lui qualche botte di “tardisco” (vino ricavato da uve tardive) ce l'ha, oltre a una bella moglie e a un letto per riposare.

Analisi metrica
Ottave di endecasillabi
Tranne che per Pulcinella, Capodanno e tutti i mesi cantano una ottava di endecasillabi che spesso sulla bocca del popolo s'accorciano o si allungano; nel caso di versi con una sillaba in più, non bisogna confonderlo con l'endecasillabo sdrucciolo che è correttamente formato da 12 sillabe; nella canzone in esame esso ricorre tre volte: il penultimo verso cantato da Marzo è: “ora ve faccio ricchi e ora poveri” in cui è da premettere che la congiunzione (e) si fonde con la vocale finale di “ricchi” mentre la vocale iniziale dell'avverbio seguente (ora) forma sillaba a sé; per cui questo verso risulta di 12 sillabe ma è un normale endecasillabo; la sillaba in più si spiega col fatto che la parola finale è sdrucciola (poveri, con l'accento sulla terz'ultima); in casi simili, in pratica si calcola una sillaba in meno; il contrario avviene se il verso termina con una parola tronca (per es. il verso manzoniano del 5 maggio: “la terra al nunzio sta” = la – ter- raal – nun – zio – sta; sono 6 sillabe, ma siccome la finale “sta” è tronca, se ne calcola una in più; pertanto quel verso è un settenario (tronco). Tornando alla Canzone dei mesi, si devono registrare altri due endecasillabi sdruccioli: sono i versi 5-6 del mese di settembre che terminano rispettivamente con caiuòtoli e ruotolo, che quindi rimano pure tra di loro se si considera che nei dialetti meridionali la vocale finale è muta.
Rime assonanze e consonanze
Manca uno schema preciso, ogni strofa presenta più o meno assonanze e/o rime.
In Capodanno rimano stagione e bastone; in Pulcinella, Carnevale e carnale. Gennaio ne presenta tre: entratura-putaturi, pecorari-putare, uscio-fruscio. In Febbraio, oltre alla rima perfetta costituita dalla ripetizione di “secca”, troviamo juorni-attuorno e frusta-Aùsto. In altri, alle rime si accostano delle assonanze: in Aprile: a versetto. giovinetto e ramoglietto si accosta sperta; in Giugno: troviamo sarreccia, spelleccio e veccia e anche cecercia. In Settembre, prescindendo dalla rima dei due versi sdruccioli di cui s'è già detto, domina il suono del gruppo -sc- : moscia, fernisce, paposcia, liscio, lisce (e c'è anche 'mbrosca che, pur di suono diverso, s'accosta comunque ai termini precedenti). Il mese di Ottobre ci sembra il meglio strutturato: rimano i versi dispari (frutti, tutti, fusti, cunnutti), rimano anche i pari (soprani, villano, Taliani e speziali), ma dobbiamo precisare che fusti e speziali sono delle assonanze. Anche gli ultimi due mesi presentano varie rime accompagnate da consonanze: semmenatura-lavuratore (Novembre vv. 1 e 5); menesta e fusti (dicembre, vv. 3 e 5).
L'auto-presentazione
È poi da notare che la parte iniziale del primo verso di ogni mese (anche Capodanno) presenta la stessa struttura; la semplice formula di autopresentazione: Io sono Gennaio, Io sono Febbraio, ecc.
Nella espressione dialettale il verbo essere viene troncato in so' davanti a Capodanno, Febbraio, Settembre, Novembre e Dicembre: da notare che questi nomi hanno più di due sillabe; invece sono diventa songo davanti a Marzo, Maggio, Giugno e Luglio, formati da due sole sillabe e iniziano per consonante; restano i mesi di Gennaio (in dialetto: Jennaro; la consonante G iniziale si è trasformata in una semiconsonante), Aprile, Agosto e Ottobre che sono trisillabi, ma iniziano per vocale: in questi casi sono diventa song'.
I gruppi vocalici
Si tenga poi presente che i poeti (e questo avviene anche e ancor di più nella poesia e canto popolari) spesso sfruttano a loro piacimento l'incontro di vocali. Prendiamo ad esempio il penultimo verso di Gennaio: “issi cu la coppa e io cu' l'uscio” dove il pronome personale (io) può essere utilizzato come formato da una o da due sillabe (qui sono due); idem per il terzo verso di Aprile: “ogni augello …” dove il dittongo au- vale due sillabe. E così di seguito: Di-o … all'inizio del v. 5° di Giugno; Settembre, v. 6: me-ie; Ottobre v. 3 sa- zi-a; ecc.

Note lessicali
Capodanno, v. 4: rongo: pres. ind., prima pers. sing. = do (come songo = sono).
Pulcinella, v. 2: pazziare = scherzare (dal gr. pàizo, gioco, messo dal popolo in relazione a “pazzo”).
Gennaio, v. 1. Jennaro dove si nota il passaggio da G a J, come in giorno > juorno, jénnero > genero, ecc.
Febbraio, v. 5: Aùsto dove si nota la caduta di G; v. 6: fa presente indicativo, invece che congiuntivo, il cui uso in dialetto è raro.
Aprile, v. 1: la lapa = l'ape: qui capita che l'articolo determinativo si fonde con il sostantivo (l'ape > lapa) per cui si ricorre ad un nuovo articolo (la). V. 6: patacche e ducatuni: la patacca era un'antica moneta di 5 carlini (dall'antico provenzale patac); il termine ha assunto poi un senso peggiorativo: moneta di poco valore = truffa. Ducatuni è accrescitivo di ducati, monete di 10 carlini.
Maggio, v. 2: àuti = altri, dove la L, seguita da consonante, si trasforma in U (come da altare > autare, alto > gàuto/jàuto. V. 8, rimano = rimango, usato transitivamente per lascio.
Giugno, v. 1: sarréccia (dal lat. serricula , diminutivo di serra) = falce. V. 8, carrafe, deformazione di caraffe, con scambio di raddoppiamento della consonante delle due ultime sillabe; dall'arabo garrafa: bottiglia molto panciuta.
Luglio, v. 2: maésa = maggese (derivato da maggio); pratica agricola consistente nel sottoporre un terreno ad una serie di lavorazioni per fargli acquistare fertilità. V. 3: regne = covoni di spighe (dal lat. gremium con mj > gn. V. 8: carrese, da un lat. volg. Carrensem, connesso con carrus = carrettiere e via maestra.
Agosto, v. 4: maglio = martello (dal lat. malleus: grosso martello a due teste, per lo più di legno; serve per battere sui pali, sui cerchi delle botti, ecc.
Settembre, v. 2: muscarella = moscatella, tipo di uva con chicchi piccoli che formano una pigna compatta (da muschio). V. 5: cajuotuli = persone spregevoli (cajotula: donna di facili costumi, diminutivo forse di catula = cagna (secondo R. De falco). V. 6: ruotolo, antica unità di misura di peso circa kg 0,80 (dall'arabo ratl). V. 8: percoche, varietà di pesca (dal lat. volg. percocam, alterazione di praecoquam = frutto precoce.
Ottobre, v. 2: cciù, forma dialettale antica, ora cchiù = più.
Novembre, v. 6: jummenta = giumenta con il passaggio di G > J come Gennaio.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 8 Agosto)

Testo dialettale:
CAPODANNO
Io so' Capuranno e so' cap'e gl'anno
E, cap'e gl'anno, chistu juorno aspetto.
A la casa mia c'è compito tutto,
a chiunche vene rongo l'offerta.
Tu, Pulcinella, che sei il mio seguace,
conta i dùrece misi r'a stagione,
che si issi 'n se l'apportano bona,
piglià' li voglio cu stu mio bastone.
PULCINELLA
E tu, Capuranno, tu hai ragione,
nui vulimmo nu poco pazziare;
primma e pure roppo de Carnevale,
vulimmo sparlà 'e mamma toja carnale
GENNAIO
Io song' Jennaro, de primma entratura,
nemico songo de li pecorari,
e caccia-uocchi de li putaturi:
nisciunu juorno li farò putare.
Voglio castigà' li bestemmiatori;
chi jastemmia lu nomme de Jennaro;
issi cu' la coppa e i-o cu l'uscio,
chi lu jastemma ce lu manno 'n fruscio.
FEBBRAIO
Io so' Frebbarieglio curto curto,
e guerra voglio fa' vintotto juorni;
voglio piglià' le femmene cu' la frusta,
le voglio fa' girare attuorno attuorno.
Voglio priare lu mese d'Aústo
che acqua non ne fa nisciuno juorno.
Si lu mese d'Aùsto mena secca,
lu giardinetto mio rènita secca.
MARZO
Io songo Marzo cu' la mia zappella,
pagnuótto e porro, faccio lu riúno!
Ogni villano chistu mese aspetta
pe' li jettà' li stracci e i pellicciúni.
Nun ve firàte de la mia fermezza;
io faccio le mutanze de la luna:
ora ve faccio ricchi e ora pòveri,
ora ve faccio assutti e ora 'nfusi.
APRILE
Io songo Abbrile cu' la lapa spèrta,
vèsto la terra e gli àrbori a la 'gnura.
Ogni a-ugello fa lu suo versetto,
pe' ne cuprì' montagne co' valluni.
Lu spezi-ale fa la sua rezzètta
pe' guaragnà' patacche e ducatuni.
Io songo Abbrile e so' bel giovinetto,
a Maggio ròno chistu ramogliètto.
MAGGIO
Io songo Maggio e so' maggior di tutti,
Maggior di tutti quanti 'st'àuti Misi.
D'oro e d'argento li guarnisco tutti,
pure li ciucci stanno allegramente!
Sunate chitarre e ogni strumento,
pe' fa' star lor signori allegramente.
Io me ne parto cu le bone spese,
rimano 'n fiore tutti 'st'àuti mesi.
GIUGNO
Io songo Giugno cu' la mia sarréccia,
ce mèto quanno ve' bòna cicèrcia.
Lu tengo 'nu pignato de menesta,
cu sta cucciara rénto ce spelléccio.
Di-o, avessi 'mmano chella vèccia:
truncare la vurría co' 'sta sarréccia!
Tutto all'intorno lu farò lu riesto...
Cu' sissanta carràfe a la fiaschetta.
LUGLIO
Io songo Luglio cu' lu carru rutto,
lu carru l'àggio rutto alla maésa,
ma tengo règne céne de bon frutto,
seimila tómmole farà 'sta méta.
Voglio correre mo' ch'è tiempo assutto,
po' ce ve muollo e ce perdo le spese
e si 'stu carro non s'annénce tutto,
cantènno 'n ce pozz' i' a la carrése.
AGOSTO
Io songo Aústo cu' la malatia,
lu miéreco m'ha rato na suppòsta.
Tengo 'na capa céna 'e 'nfermería
ce vattarí-a cu' 'stu maglio 'ncòppa.
Io l'àggio strutta 'na spezi-aría,
pe' l'ubberienza de la faccia vosta.
Pe' me guarì da chesta malatia,
me mangio ogni juorno 'na, vaglina!
SETTEMBRE
Io so' Settembre cu' la fica moscia;
e l'uva moscarèlla se fernisce!
Si cacche donna avesse la papóscia,
'a vaco pe' 'ntuppàre e passo liscio.
Quanno sentite 'ss'àuti cajuótuli,
le fiche me-ie vanno quatto a ruótolo.
Po' ve' 'nu juorno ca m'abbìo pe' mbròsca,
pe' mani-a' percòche e mele lisce.
OTTOBRE
Io song'Uttobre cu' li belli frutti,
li frutti miei songo li ciù suprani;
c'è l'uva fresca, che sazi-a tutti,
lu povero, lu ricco e lu villano.
Io l'àggio cini già tutti li fusti
pe' fa' cantà' Francisi e 'Taliani;
addrèto ci àggio puosto duje cunnutti
pe' dispietto d'e miérici e speziali.
NOVEMBRE
Io so' Nuvembre c'a semmenatúra,
l'ho semmenàta justa la semmenta,
l'ho semmenàta a la bona stagione,
pe' fa' sta' li padruni allegramente;
mo' m'abbisogna 'nu lavuratore,
n'ato che me mantène la jummènta.
Chesto lu meno a bui e a gli auciegli,
chesto lu meno a cheste donne belle!
DICEMBRE
Io so' Dicembre, l'urdimo de Misi,
'a sculatúra 'e chist'àuti Misi.
Lu tengo 'nu pignato de menèsta
e carne 'e puorco che mo' àggio accíso.
Mo' me voglio abbià' pe' li miei fusti,
pe' vere' si c'è vino a st'àutí Misi;
tengo 'na vótte céna de tardisco,
tengo mogliera bella e lietto frisco.

Traduzione:
CAPODANNO
Io sono Capodanno e sono capo dell'anno
E, capo dell'anno, questo giorno aspetto.
La casa mia è completa di tutto,
a chiunque viene do l'offerta.
Tu, Pulcinella, che sei il mio seguace,
conta i dodici mesi della stagione;
ché se essi non si comportano bene,
colpire li voglio con questo mio bastone.
PULCINELLA
E tu, Capodanno, tu hai ragione,
noi vogliamo un poco scherzare;
e prima e pure dopo Carnevale,
vogliamo sparlare di tua madre carnale.
GENNAIO
Io sono Gennaio, il primo ad entrare,
sono nemico dei pecorai,
e cavaocchi dei potatori:
nessun giorno li farò potare.
Voglio castigare i bestemmiatori
chi bestemmia il nome di Gennaio;
essi con il boccale ed io col vento,
chi lo bestemmia lo mando in rovina.
FEBBRAIO
Io sono Febbraio corto corto,
e guerra voglio fare ventotto giorni,
voglio pigliare le femmine con la frusta,
le voglio far girare intorno intorno.
Voglio pregare il mese di Agosto
che acqua non ne faccia nessun giorno.
Se il mese di agosto mena sécca,
il mio giardinetto non rende nulla.
MARZO
Io sono Marzo con la mia zappella,
(con) pagnotto e porro faccio il digiuno!
Ogni villano questo mese aspetta
per gettare via stracci e giacconi.
Non vi fidate della mia fermezza...
io faccio i mutamenti della luna,
ora vi faccio ricchi e ora poveri,
ora vi faccio asciutti e ora bagnati.
APRILE
Io sono Aprile con l'ape sperduta,
rivesto la terra e gli alberi nudi.
Ogni uccello fa il suo versetto
per coprirne montagne con valloni.
Lo speziale fa la sua ricetta
per guadagnare mezzi ducati e interi.
Io sono Aprile e sono bel giovinetto,
a Maggio dono questo rametto.
MAGGIO
Io sono Maggio e sono maggiore di tutti,
maggiore di tutti quanti questi altri mesi.
Di oro e d'argento li guarnisco tutti,
anche gli asini stanno allegramente!
Suonate chitarre e ogni strumento
per far stare lor Signori allegramente.
Io me ne parto con le buone spese
e lascio in fiore tutti questi altri mesi.
GIUGNO
Io sono Giugno con la mia falcetta,
con essa mieto quando viene buona cicerchia.
La tengo una pignatta di verdura
con la cucchiaia dentro ci addento.
Dio avessi in mano quella vecchia!”
Troncare la vorrei con questa falcetta!
Tutto intorno farò il resto...
con sessanta caraffe alla fiaschetta.
LUGLIO
Io sono Luglio con il carro rotto,
il carro l'ho rotto alla maggese,
ma tengo spighe piene di buon frutto,
seimila tomoli ne farà questa meta.
Voglio correre ora che è tempo asciutto,
poi viene la pioggia e ci perdo la spesa.
E se questo carro non si riempie tutto,
cantando non ci possa andare alla carrese.
AGOSTO
Io sono Agosto con la malattia,
il medico mi ha dato una supposta.
Tengo una testa piena di infermità,
ci batterei con questo maglio sopra.
L'ho consumata una spezieria,
per l'ubbidienza della faccia vostra.
Per guarirmi da questa malattia
mi mangio ogni giorno una gallina!
SETTEMBRE
Io sono Settembre con il fico moscio;
e l'uva moscarella finisce!
Se qualche donna avesse l'ernia,
non rischierei di andare ad urtarla.
Quando sentite questi altri venditori,
i miei fichi costano quattro soldi al chilo.
Poi viene un giorno che mi avvio per lambrusco
per toccare pesche e mele lisce.
OTTOBRE
Io sono Ottobre con i bei frutti,
i frutti miei sono i migliori:
c'è l'uva fresca che sazia tutti,
il povero, il ricco e il villano.
Le ho riempite già tutte le botti
per far cantare Francesi e Italiani;
dietro ci ho posto due rubinetti
per far dispetto a medici e speziali.
NOVEMBRE
Io sono Novembre con la seminagione,
l'ho seminata giusta la semente,
l'ho seminata di buona stagione,
per far stare i padroni allegramente;
ora ho bisogno di un lavoratore,
un altro che mi mantenga la giumenta.
Questo lo meno a voi e agli uccelli,
questo lo meno a queste donne belle.
DICEMBRE
Io sono Dicembre, l'ultimo dei Mesi,
il residuo di questi altri mesi.
La tengo una pignatta di verdura
e carne di maiale che ora ho ucciso.
Adesso mi voglio avviare per le mie botti,
per vedere se c'è vino per questi altri Mesi;
tengo una botte piena di vino tardisco,
tengo moglie bella e letto fresco.