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Canti popolari di Terra di Lavoro: Gl' auciéglio grifone
 

Analisi e commento a cura di Antonio Martone.

Introduzione
Si tratta di un canto, formato da una sola strofa, che viene ripetuto con i dovuti adattamenti, nel corso di un racconto, quello appunto dell'uccello Grifone.
Questo fu raccolto nel napoletano dallo studioso Raffaele Della Campa e pubblicato nella Rivista “G. B. Basile”, archivio di letteratura popolare (Direttore: L. Molinaro Del Chiaro) a partire dal 1883 (tutto il pubblicato fino al 1907 è stato ristampato anastaticamente nel 1979 dall'edit. Forni di Bologna).
Il racconto che possiamo leggere in versione dialettale nel “Basile”, anno IV (1886), n. 4, pp. 25-27, è stato tradotto in lingua italiana e si trova in “Fiabe campane, scelte da Michele Rak e tradotte da Domenico Rea, Oscar Mondatori, 1984, pp. 155-161.
Noi lo abbiamo riassunto e lo presentiamo ai lettori de “il Sidicino”, facendolo precedere da qualche annotazione.
Per quanto riguarda la struttura del racconto riportiamo l'annotazione conclusiva di pag. 161 dell'Oscar Mondadori: “un tipico racconto di famiglia che sviluppa il suo intreccio componendo il motivo della ricerca dell'oggetto impossibile (l'uccello grifone era già nel bestiario medievale) in cui il più giovane di tre fratelli cattura la penna magica con l'aiuto di un vecchio (l'aiutante magico) e di un fischietto (l'oggetto magico) con un secondo motivo da cronaca, che prevede l'uccisione del fratello più giovane e in seguito la scoperta e la punizione del colpevole”.
La parentesi in cui si cita l'uccello grifone ci suggerisce un approfondimento: consultando infatti il Bestiario medievale di F. Maspero e A. Granata (Piemme, Casale Monferrato 1999), notiamo che al grifone sono dedicate le pagine 208-220; da esse apprendiamo che il grifone è citato da Dante in Purgatorio, Canto XXIX, v. 108: esso traina un carro trionfale a due ruote e punta le ali verso il cielo; inoltre Marco Polo, nel Milione ne fa cenno, tra le altre notizie su Mogadiscio; scrive però che gli uccelli grifoni non sono così fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo leone, ma sono fatti come aguglie (cioè aquile). Il racconto prosegue facendoci sapere che il Gran Can, all'udire tali meraviglie, invia suoi nunzi sull'isola donde riportano un servo il quale reca al Gran Can una penna di detto uccello.
La tradizione cristiana vedeva nel grifone un simbolo della resurrezione di Cristo; si spiega così come una sua penna possa offrire guarigione agli occhi del re del racconto. Il canto ricorre nella parte finale del “cunto”, dove subisce la variazione del primo verso, a seconda del personaggio che fa suonare il fischietto: prima il capraio, poi il re, la regina, la figlia, il figlio minore, infine il maggiore; e qui si nota il cambio dell'aggettivo caro/cara in infame riferito al fratello assassino; da notare poi il passaggio dalla terza persona (fràtemo è stato nu traditore; idem per i tre verbi successivi) alla seconda: tu si' stato nu traditore e naturalmente per gli altri verbi del distico finale.
Sul piano metrico, il canto è costituito da una sestina, composta da tre distici, con una rima perfetta nell'ultimo, e una assonanza in quello centrale (grifone/ traditore); la prima coppia di versi invece non presenta né rima né assonanza; vi si può notare la ripresa del verbo “tenere” che lega la fine del primo verso all'inizio del secondo. Quanto alla lunghezza dei versi, c'è difformità: endecasillabo il primo, decasillabi: secondo (ma tronco) terzo e quarto; settenario il penultimo; novenario l'ultimo.
Ben noto è il fenomeno dell'aggettivo possessivo che s'appoggia al nome di parentela (fràtemo = mio fratello); una considerazione merita il verso 5 con l'uso dei due sinonimi uccidere e ammazzare: il primo, dal lat. caedere = tagliare, fa riferimento per lo più ad armi da taglio, il secondo deriva chiaramente da “mazza”; si ha l'impressione che il secondo verbo abbia un valore più forte, che gli deriva dalla sua sonorità nella pronuncia, piuttosto che dal senso etimologico.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno VIII 2011 - n. 5 Maggio)

IL RACCONTO DELL'UCCELLO GRIFONE

C'era una volta un re che aveva quattro figli.
A questo re venne una malattia agli occhi e un medico più esperto gli disse che se voleva guarire doveva strofinare sul volto una penna dell'uccello Grifone.
Il re allora emanò un bando per cui a chiunque gli avesse portato una penna del­l'uccello Grifone avrebbe dato la sua corona di re.
I tre figli, allora, dissero al padre che volevano essi stessi partire per andare a cercare questa pen­na.
Camminarono, finché giunsero in un bosco dove decisero di dividersi col patto che, dopo tre giorni, dovessero incontrarsi allo stesso posto.
Ognuno dei fratelli prese la propria strada. Giovannino il più piccolo incontrò un vecchio che gli chiese dove andasse e il ragazzo gli spiegò il motivo. Il vecchio si disse disposto ad aiutarlo. Gli donò un fischietto, suonando il quale avrebbe attirato molti uccelli. “Il più grande - disse - ha una coda lunga lunga, fischiando fischiando afferratelo e strappategli una penna dalla coda, perché quello è l'uccello Grifone”.
Il figlio del re ringraziò il vecchio, prese il fischietto e si mise in cammino. Seguendo i suoi consigli riuscì a impossessarsi della penna.
I fratelli lo stavano aspettando perché non avevano trovato niente e, saputo che Giovannino aveva trovato la penna, il fratello maggiore, preso da invidia, con la complicità dell'altro, decise di ucciderlo.
Poi tornarono a casa e riferirono al padre che Giovannino s'era perduto tra i boschi; il re si rattristò per questo, comunque appena si strofinò la penna sugli occhi subito guarì; trascorse del tempo e siccome di Giovannino non si ebbe più notizia, il padre gli fece fare un gran funerale, ritenendo che fosse stato sbranato da qualche animale nei boschi. Era passato più di un anno da quando era stato uc­ciso il povero Giovannino e un giorno mentre la figlia del re stava affacciata, vide passare un capraio con un fischietto. Ma il fischietto, invece di suonare, cantava. Il capraio fu invitato a salire nella reggia dove si riunì tutta la famiglia reale. Qui raccontò come si era procurato questo strano fischietto. «Un giorno, mentre pascolava, il suo cane cominciò a scavare sotto un albero; afferrò un osso (era l'osso di un braccio di un uomo) e lui lo tagliò da una parte, lo ripulì, vi fece un buco e si costruì questo fischietto. Ma quando lo mise in bocca, invece di fischiare cantò; e canta sempre la solita canzone»:
Caro capraio che in mano mi tieni
tienimi stretto e non lasciarmi,
per una penna di uccello Grifone,
mio fratello mi ha tradito,
mi ha ucciso e mi ha ammazzato
e in questo fosso mi ha buttato.

Il re, la regina e la principessa, atterriti, appena senti­rono che per una penna di uccello Grifone qualcuno era stato ucciso, guardarono i principi. I figli del re impallidirono. Ciò vedendo, il re prese il fischietto dalle mani del capraio e cominciò a soffiare e il fischietto comincio a cantare:
Caro padre che in mano mi tieni, ecc.
La regina subito afferrò il fischietto dalle mani del re e cominciò a soffiarci dentro pure lei e il fischietto:
Cara mamma che in mano mi tieni, ecc.
Dopo la regina la principessa suonò pure lei e il fi­schietto cominciò a dire:
Cara sorella che in mano mi tieni, ecc.
Appena la figlia smise, il re prese il fischietto e lo die­de in mano a uno dei due principi, ma essi non volevano suonare. Alla fine il principe più piccolo prese il fischietto e cominciò a suonare e il fischietto disse:
Caro fratello che in mano mi tieni, ecc.
Allora toccò suonare al fratello più grande e il fi­schietto disse:
Fratello infame che in mano mi tieni
tienimi stretto e non lasciarmi,
per una penna di uccello Grifone,
tu sei stato un traditore,
mi hai ucciso e mi hai ammazzato
e in questo fosso mi hai buttato.

Il re e la regina appena sentirono ciò per poco non morivano.
Il re fece prendere il figlio più grande e lo fece bruciare in una botte di pece. Poi mandò tutti i suoi cavalieri e i soldati a prendere le ossa di Giovannino e gli fece un bel monumento. Il capraio ebbe una borsa di danaro e gli altri restarono felici e contenti.

Il testo musicale è stato trascritto dal M° dott. Guglielmo De Maria (Direttore del Coro polifonico di Pignataro)