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Canti popolari
 
Canti popolari di Terra di Lavoro: "Nenna Né"
 

Analisi e commento a cura di Antonio Martone
Il testo musicale è stato trascritto dal M° dott. Guglielmo De Maria
Analisi metrica
Coppie di endecasillabi, alla fine di ciascuno dei quali ricorre il ritornello, costituito dalla parola “nénna” ripetuta, però, alla fine del primo verso di ciascun distico essa è in forma tronca: “Nénna né”. In diverse strofe, secondo alcune versioni, il verso si allunga di una sillaba diventando dodecasillabo (in questi casi il ritmo musicale presenta una croma in più che con altre due forma una terzina): ciò si verifica al v. 3 (S'è fatta notte e lu padrone suspira), al 6 (chello che nun s'è fatto, manco se fane), al v. 9 (reposa reposa abbascio alla marina), al v. 11 (cuglienno cuglienno, je me pogno 'o rito) e a quello finale (nu pizzeco, nu garofano e nu vaso).
E dipende dal fatto che nel canto popolare il cantatore si prende molta libertà (le cosiddette licenze poetiche); ma la maggior parte di questi versi più lunghi è possibile riportarli al normale e più usuale endecasillabo (si legga perciò la nostra versione).
Analisi del contenuto
Ormai il sole è tramontato già da qualche ora: sono calate le prime ombre della notte; sulle spalle dei braccianti sta cadendo la “serena”, cioè l'umido della sera; ma essi stanno ancora lì e tardano a prendere la strada del ritorno a casa, trattenuti dal padrone. È questo il lamento del giovane bracciante alla sua nénna.
Il padrone dei campi (il massaro o il colono) sospira e si rammarica che la giornata, a suo modo di vedere, è stata corta; avrebbe desiderato, nella sua avidità, che non finisse mai affinché il lavoro fosse portato a termine quanto prima, purtroppo però il padrone deve rassegnarsi: non tutto s'è potuto fare, non si può continuare a lavorare al buio.
Il bracciante ricorda che s'è dovuto alzare molto preso dal pagliericcio dove stava riposando: “me so' sussuto 'e notte sta mmatina” (non “all'otto”, come qualcuno ha malamente scritto, per evidentissima contraddizione con l'usanza, che era anche necessità e obbligo, dei nostri avi dei secoli passati, di alzarsi la mattina molto presto, che era ancora buio): a qualche ora di notte egli è ritornato dai campi e di notte si è alzato per recarsi di nuovo negli stessi a lavorare per guadagnarsi quel tanto per campare.
A questo punto lo svolgimento del canto si complica con cambio di soggetto: dal sole che riposa giù alla marina si passa ad una giovinetta che coglie le rose in un giardino. È possibile che qui siano stati aggiunti, mescolandoli, versi di un altro canto, anche perché anche l'ambiente sembra mutato: dalla campagna del territorio interno capuano si passa alla marina napoletana; dal lavoro campestre del giovane bracciante protagonista della prima parte (le prime quattro strofe) si passa al tema dell'amore cantato da una ragazza (così possiamo tradurre “nénna”) per il suo nenniglio.
Addirittura alcuni allungano questo canto aggiungendo le tre strofe di “La padrona mia”, da noi inserite invece tra gli stornelli pubblicati in un'altra puntata di questo mensile.

Antonio Martone
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 07 Luglio)

Il testo musicale è stato trascritto dal M° dott. Guglielmo De Maria (Direttore del Coro polifonico di Pignataro)