TEANO

 
Il passato
 
Manifatture e vecchi mestieri
 
Carrettieri, Scassacarrette e Ferracavalli
 
L’articolo rievoca imprese e personaggi dell’artigianato teanese dell’anteguerra, quando asini, cavalli e buoi erano la forza motrice nel lavoro dei campi. Lo accompagnano tre splendide foto di Sergio Cirelli che ringraziamo.
 
Ecco Linardo in campo! Il palatino
Ò palatino 'e Francia cchiù putente!
Teneva nu cavallo, Vigliantino,
ca se magnava pe' grammegna 'a gente!
Comme veveva, neh! Na votta 'e vino,
na votta sana, 'un le faceva niente!
Nu surzo sulo, nu varrilo chino!
e se magnava 'e zeppole vullente!
 

Da studente di scuola media, leggendo questi versi de 'O cantastorie di Ferdinando Russo, immaginavo Vigliantino simile a Rafaniello, l'asino di Luigi 'a Titella, per la strana alimentazione: a dire del padrone mangiava quinnece chili al giorno di spaghetti di Gragnano, annaffiati da tre quartarùli (quarta parte del barile, corrispondente a 11 litri) di vino e un abbondante vassoio di sfogliatelle del famoso pasticciere Fabio Cirelli. La differenza era che Rafaniello non aveva mai la forza sufficiente a trainare la carretta e il povero Titella era costretto ad aiutarlo.
Luigi 'a Titella, carrettiere e banditore, era tarchiato, col ventre prominente sotto il camicione sempre fuori dalle brache e con un'andatura molto dinoccolata. Era sempre allegro e manifestava un gran senso dell'umorismo. La mattina, prima di partire, mentre bardava Rafaniello, un'esplosione di battute e di sfottò accompagnate da sonore risate svegliava tutte le famiglie di Via S. Agostino, oggi via Porta Roma. Anche il parroco si svegliava e, data una sbirciatina dalla finestra della canonica, correva a prepararsi per la prima messa, annunciata dai rintocchi delle campane suonate da 'Ngiulella, sacrestana a mezzo tempo e bidella dell'Istituto Regina Margherita. Rafaniello non era da meno del padrone e di 'Ngiulella, partecipava pure lui alla sveglia con la prima ragliata mattutina. Ormai tutta la zona di S. Agostino era sveglia e come in una commedia di Eduardo cominciava l'operosa giornata di stagnini, falegnami, barbieri, calzolai e dell'assonnato sarto che aveva lavorato fino a tarda sera. Anche la macelleria di Gerardo apriva i battenti ed esponeva sulla strada, appese alle porte di ferro, quarti di bovini e qualche capretto appena macellato.
Rafaniello era un asino dal manto rossiccio, malandato, invecchiato insieme al padrone dopo aver tirato la carretta un'intera vita. In diverse ore del giorno Luigi e il somaro giravano per Teano trasportando carichi diversi: farina, barili di vino, fasci di frasche, carboni e altro. La fornitura dei carboni alle varie botteghe avveniva partendo da S. Antonio Abate e salendo la lunga famosa Discesa dei Calzolai e fare questa strada in forte salita era per il povero Rafaniello molto faticoso e anche pericoloso. Molto più pericoloso sarebbe stato farla in discesa. Durante l'estate Luigi gli fasciava le zampe con strisce di sacchi di iuta per evitare che le femmine dei tafani potessero suggergli quel poco sangue che gli rimaneva.
'A Titella non era l'unico carrettiere di Teano, ma era il più conosciuto tra i tanti che facevano lo stesso mestiere. C'erano allora delle rimesse che avevano alle dipendenze più carrettieri e avevano carrette e carri trainati anche da due o tre bestie. Queste carrette a tiro speciale erano impiegate soprattutto per il trasporto di materiale edile. Poi, dopo la seconda guerra mondiale, le carrette cominciarono a essere sostituite dagli autocarri ed ebbe inizio la crisi del mestiere di carrettiere. I più giovani diventarono camionisti, i più anziani cercarono di arrangiarsi o finirono per fare un altro lavoro.
Con i carrettieri entrarono in crisi anche gli Scassacarrette - i carradori – che costruivano e riparavano carrette, birocci, carrozzelle, ecc. Dei tre o quattro carradori che ricordo il più bravo aveva bottega poco distante dalla mia abitazione e lo vedevo spesso al lavoro. Era Mast' Filippo - Filippiello per gli amici - artigiano di poche parole ma di molto talento. Mi affascinava vederlo calcolare, con il gesso alla lavagna, la circonferenza di una ruota o la distanza e il numero dei raggi. Già, perché prima di battere i cerchi sull'incudine, intagliare le stanghe del carretto, costruire al tornio il grande mozzo, bisognava calcolare le misure esatte di ogni pezzo e la collocazione di ogni incastro. A volte, notandomi sull'uscio della bottega a guardare il suo lavoro con accanito interesse, mi faceva entrare e mi dava spiegazioni sull'opera. Diceva che per imparare bene quel mestiere ci volevano vent'anni di apprendistato e tanta esperienza. Bisognava conoscere i vari legnami, saperne valutare la stagionatura e la venatura. Assemblava i pezzi, dopo averli preparati e allineati tutti, senza mai usare chiodi o colla, ma solo bulloni e incastri. I carri dovevano avere elasticità per sopportare gli strattoni della partenza e gli scossoni di quando viaggiavano a pieno carico.
Affine al carradore era il mannese, mezzo carradore e mezzo fabbro, che costruiva attrezzi agricoli, la cui attività è finita quando i trattori hanno sostituito i buoi. Il mannese solitamente abitava e aveva bottega in campagna avendo bisogno di grandi spazi. Costruiva robusti carri per buoi a una sola stanga centrale, con sponde molto alte per trasportare foraggio, che nulla avevano della finezza dell'intaglio dei carrozzini o delle carrette per cavalli. Dalla sua bottega uscivano ancora: l'aratro di legno a cuneo centrale ricoperto dal vomere di ferro; la stravòla o stràula, una pesante slitta costituita da due panconi di legno di quercia dello spessore di una trentina di centimetri e con le parti anteriori piegate verso l'alto, con un piano di carico fatto di robuste traverse di legno, che veniva trascinata da una coppia di buoi; il mangano, un erpice in legno utilizzato per pianeggiare il terreno e rompere le zolle dopo l'aratura; il manganiello che a differenza del mangano aveva i cunei di ferro (talvolta vecchi perni per fissare le rotaie ferroviarie) e serviva a fare piccoli solchi allineati per la semina a mano di fagioli, granturco, erba medica ecc. La grande abilità di un mannese si rivelava nella costruzione del giogo (’u julo) per i buoi che non doveva essere eccessivamente spesso e pesante, ma doveva resistere a tutto lo sforzo del traino e perciò doveva essere di buon legno modellato secondo la giusta venatura.
Allo scassacarrette e al mannese ci si rivolgeva episodicamente per commissionare carri e attrezzi che duravano una vita. Con molta frequenza ci si rivolgeva invece al maniscalco, il calzolaio degli equini, le cui botteghe in Teano erano numerosissime.
Ricordo Paruccio, chiamato 'u Cancelliere o 'u Cancellese perché originario di Cancello Arnone, Masto Vicienzo, Masto Pietro, Giosuele e Carlino, tutti provetti artigiani. Il mestiere di ferracavallo non era facile perché bisognava essere capaci di forgiare i ferri in perfetta aderenza alla forma degli zoccoli e inoltre le “ferrature” dovevano avere foggia diversa, a seconda delle necessità, da quella più robusta per i muli e i cavalli da lavoro, a quella con caucciù per i cavalli che percorrevano strade selciate. I ferri, quindi, dovevano essere forgiati al momento e su misura e prima di essere inchiodati venivano misurati e rimisurati più volte. Poi veniva pareggiato lo zoccolo con l'asportazione della parte di unghia crescita dall'ultima ferratura. Il maniscalco, anche quando era preso dal lavoro, stava sempre molto attento a balzare di lato al minimo movimento della bestia per evitare qualche brutto calcio. Per ferrare un equino spesso occorrevano anche tre persone se la bestia aveva il vizio di mordere. Uno doveva strizzare il labbro superiore, un altro doveva mantenere alzata la zampa da ferrare e il terzo procedeva alla ferratura. Per gli animali meno docili veniva usato lo strizzamusso che consisteva in un bastone con alla punta un foro contenente un piccolo cerchio di nerbo di bue. Si metteva in questo cerchietto l'estremità del labbro superiore della bestia, si girava il bastone e si strizzava il muso per fargli male e costringerlo a stare fermo.
Non perché fosse più bravo degli altri, ma forse per la posizione strategica della bottega al Largo di Settecannelle dove ora Provolino vende frutta e verdura, Masto Vicienzo era quello che aveva più clienti. La bottega disponeva del lungo fronte di strada sotto il “Muraglione”, una parete priva di aperture che si prestava benissimo come parcheggio di cavalli, asini e muli. Nella bottega lavorava con i figli e vari apprendisti.
Il sabato, al mercato settimanale, confluivano a Teano non solo gli abitanti delle borgate ma anche molta gente dei comuni limitrofi che arrivavano con asini, cavalli e muli, su carrette, biroccini e sciarabbàlli. Masto Vicienzo, come faceva anche Giosuele lungo l'ultima rampa del Vescovado, prendeva in custodia gli animali, dietro pagamento di cinquanta lire per tutta la durata della sosta e per ogni capo. Le bestie venivano legate per la cavezza, una accanto all'altra, senza togliere la bardatura e il traino, a una lunga fune distesa alla base del Muraglione ed oltre. Molti appendevano al collo del cavallo una borsa di iuta contenente biada e crusca in modo che l'animale, mangiando, era tranquillo durante la sosta. Di tanto in tanto gli apprendisti di bottega facevano il giro per controllare se tutto era tranquillo. Purtroppo, non sempre era tranquillo.
A questo punto, anche se con un pizzico di vergogna, mi tocca fare una parentesi. Con la chiusura delle scuole a noi ragazzi piaceva molto poter finalmente girare per il mercato. Un giorno, giunti sul Muraglione, restammo incantati nel vedere allineate e tranquille tante bestie. “Mi è venuta un'idea” disse uno di noi e… detto, fatto. Una brutta mascalzonata diventò il divertimento settimanale del sabato mattina.
Comprammo del filo di lenza da pesca nell'armeria De Giglio nella vicina piazza, legammo a un capo una mezza sigaretta bene accesa e con abile manovra l'ideatore della scoperta, l'inserì dall'alto del Muraglione nell'orecchio di un grosso e giovane asino. Quando la tranquilla bestiola provò dolore per la scottatura, cominciò a saltare e scalciare. Colpì l'asino vicino e questo l'altro e cosi via, fino a quando, come in una reazione a catena, tutti gli animali s'imbizzarrirono. Più si urtavano, più i traìni facevano rumore e più gli animali s'imbestialivano. Fu per Masto Vicienzo e i sui aiutanti una giornata indimenticabile. La calma ritornò dopo molto tempo perché nessuno riusciva ad avvicinarsi alle bestie imbizzarrite, neanche Umberto, l'apprendista più anziano della bottega, abile conoscitore di animali ed esperto domatore di focose bestie. Tornata finalmente la calma, si riunì un “consiglio di bottega” per capire cosa fosse successo. Ognuno azzardava la sua ipotesi e infine prevalse l'ipotesi che uno degli asini, incalorito da una subitanea urgenza d'amore, si era scatenato in mezzo alle altre bestie.
Il sabato successivo ritornammo con molto entusiasmo alla carica, ma trovammo una sorveglianza bene organizzata. Per ripetere la bravata dovemmo aspettare molte settimane. Per tutto l'estate e l'estate successiva avevamo trovato come divertici. Dopo circa un anno dal primo evento, qualche gestore delle vicine bancarelle si accorse che a provocare i disordini eravamo noi e fece la spia al maniscalco. Scoperti, rischiammo di essere linciati e per anni il sabato fummo costretti a tenerci il più lontano possibile dal Muraglione.
Vive ancora a Teano Umberto, l’ultimo maniscalco, allievo di Masto Vicienzo, che cambiò mestiere e divenne un ottimo fabbro. Ora, in pensione, favorisce ancora qualche raro possessore di cavalli rifacendo le ferrature. In pochi decenni, con questi millenari mestieri, è scomparso un mondo da favola e forse anche un modo, non proprio innocuo, di divertirsi. Anche quel poco che resta è destinato a sparire presto.

Pasquale Giorgio
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 07 Luglio)

 

L’aratro di legno incorniciato dal ventre della vacca

 

Il carro trainato dal cavallo, quello trainato dai buoi aveva una sola stanga centrale

 

La “stràula” trascinata dalle mucche aggiogate

 
(Foto di Sergio Cirelli)