TEANO

 
Arte e archeologia
 
Il Grottone di Casi
 
Il Grottone di Casi l'antica cava dei Sidicini

L'abitato di Casi, ubicato ad ovest di Teano e probabile sede di un pagus del territorio sidicino, è sovrastato da una cupola di tufi tefritici appartenente ad una bocca eccentrica della cinta calderica del complesso vulcanico di Roccamonfina.
In seguito alle ultime manifestazioni vulcaniche, l'area fu interessata da fenomeni effusivi che determinarono l'accumularsi di strati di ignimbrite trachifonolitica (tufo grigio campano) lungo il versante orientale del vulcano.
Il tufo litoide del Roccamonfina, dal colore uniforme tendente al giallo, per le sue particolari caratteristiche fisico meccaniche, fu estratto fin dall'antichità per la costruzione di edifici, a volte di notevole impegno architettonico, ma anche nella statuaria, nelle modanature e negli elementi figurati più piccoli e sottili.
Alcune cave antiche di materiale basaltico, ubicate nella zona, furono già segnalate da Scipione Breislak, a cui si deve l'inizio degli studi sulla costituzione geologica della Campania, nella seconda metà del XVIII secolo. In tali cave riconobbe quelle che fornirono i basoli per la costruzione di alcuni tratti dei diverticoli della Via Appia e della Via Latina attraversanti il territorio compreso tra Sessa, Teano e Roccamonfina.
Tuttavia, le prime notizie sull'esistenza di una cava antica di tufo nei pressi della frazione Casi furono pubblicate nel 1922 da Giuseppe Raiola, importante studioso di storia locale, il quale intuì che da essa furono estratti i blocchi della cinta dell'acropoli di Teanum Sidicinum datata al IV sec. a. C.
Poco ad est del paese di Casi, in località “Acciarello” nelle vicinanze di un corso d'acqua e di una strada, probabilmente antica, che volge in direzione di Teano, s'intravede tra la folta vegetazione una grande parete verticale di tufo dai toni giallastri. Un piccolo sentiero in salita, ricavato nel fianco della scarpata formata dagli abbondanti detriti risultanti dall'attività estrattiva del tufo, conduce a quello che sembra il fronte principale della cava.
La massa imponente della parete verticale è interrotta nella parte bassa da una grotta artificiale, chiaramente in connessione con la coltivazione della pietra, delimitata da tre pareti inclinate e convergenti verso il centro dell'ambiente. Lungo le sue pareti sono tuttora visibili alcuni fori di forma rettangolare forse utilizzati per appoggiarvi le travi sorreggenti un impalcato ligneo e delle piccole cavità di forma triangolare occorrenti per l'appoggio delle lucerne.
Molto evidenti sono i segni i curvi lasciati dal piccone, fossoria dolabra , sulla superficie della pietra e che equivalevano al movimento che il cavapietre eseguiva per il taglio dei blocchi. Questa tecnica, che trova ampi confronti in tutto il mondo antico, consentiva di cavare il tufo per tagli orizzontali successivi con il vantaggio di determinare la forma e le dimensioni dei blocchi prossime a quelle che avrebbero assunto nella messa in opera definitiva.
Nella cava di Casi i tagli orizzontali sulle pareti sono mediamente alti dai 40 ai 50 cm , misura vicinissima alla grandezza dei blocchi in tufo dell'acropoli sidicina.
Rivestono grande interesse la presenza, su alcuni punti delle pareti e in posizione elevata, di triangoli isoscele sormontati ai vertici da tre piccole circonferenze. I segni, già visti e segnalati dal Raiola, possono credibilmente interpretarsi come segni distintivi attinenti alla proprietà della cava e che nel caso specifico potrebbe indicarsi nello stesso Stato Sidicino . Solamente un ampio programma di monumentalizzazione della città, con molta probabilità già concepito nel momento della sua formazione nel IV sec. a. C., può giustificare un'attività estrattiva così imponente ed impegnativa.
Non è da escludere che l'estrazione del tufo sia proseguita in epoca romana e nel medioevo, comunque è certo che gli ultimi materiali da essa cavati sono stati quelli impiegati nella ricostruzione della cattedrale romanica di Teano e della Curia Vescovile, ambedue devastate dai bombardamenti dell'ultimo conflitto mondiale.
Ancora, vale la pena di segnalare l'esistenza, poco a nord della cava, di un piccolo ipogeo interamente scavato nel tufo e sul cui fondo è ricavato un letto che occupa l'intera larghezza dell'ambiente. In prossimità dell'entrata alla camera si conservano tuttora tracce d'intonaco di spessore molto sottile.
L'uso originario di questo ambiente è forse da porsi in relazione ad una piccola tomba a camera probabilmente eseguita tra il IV e il III sec. a. C.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 3 Marzo)

(foto di Alfredo Balasco)