In Borgonuovo, dove il gruppo vulcanico di Rocca Monfina degrada in grossi emmetoni tufacei e più in là si ergono i primi contrafforti calcarei del Matese, la morfologia del terreno favorisce da millenni l’incrociarsi di vie di comunicazione che dopo Teano s'inoltrano per quella che una volta era detta la Campania Felix. Oggi s’intersecano in non più di qualche centinaio di metri una strada nazionale, una Provinciale, un’autostrada e la ferrovia ad alta velocità di ultima costruzione. Costretto in questo groviglio di tracciati, modificati negli anni a seconda delle necessità e delle tecniche di costruzione, resiste stoicamente un nascente, ordinato borgo ove spicca un’amena chiesetta da poco ristrutturata. Essa è lì con certezza, sulla via Latina, da almeno quattro secoli come ce lo attesta l’utilissima Carta topografica Theanensis Dioecesis di Monsignor De Guevara del 1635. Ma certo la sua costruzione potrebbe rimontare in età paleocristiana, visto il rio (allora forse un fiumiciattolo) che la circonda dal lato Ovest (dove certamente in età antica sorgeva qualche ninfeo), là dove la via Latina, venendo da Caianello per via Campone presso S. M. Versano, guadava il rio e faceva e fa tuttora gomito decisamente verso Teano. A tal proposito si ha notizia di antichi lavatoi e ruderi che costeggiavano la via presso il guado, adesso scomparsi o forse coperti da terreno di risulta. Della via Latina, la più antica via d'Italia, in quel di Caianello vi sono tratti ancor ben conservati, anche per la via Campone, presso Borgonuovo, vi è qualche rudere ancora visibile e le murregene ai lati della via con pietre di basalto ne sono un’evidente testimonianza. Negli ultimi anni dell’ottocento, la costruzione della chiesa è stata sostanzialmente ripresa, con l’aggiunta del campanile intorno ai primi del ‘900, tutto ciò reso possibile dalle munifiche elargizioni dei numerosi devoti emigrati in America alla fine dell’Ottocento. Del luogo di Borgonuovo e della sua antica esistenza ne abbiamo ancora notizia da un episodio tratto dal tragico flagello della peste del 1656 che interessò il Regno di Napoli: in primavera attaccò la città di Napoli ove morì più della metà della sua gente, agli inizi dell’estate già imperversava nella nostra città di Teano ed in tutti i villaggi e le masserie del nostro territorio. Le cronache ci danno ragguagli impressionanti della situazione: su di una popolazione di seimila anime i sopravvissuti non arrivarono a mille, alcuni quartieri della città come la Viola, la Palombara, S. Nazario furono murati a fabbrica abbandonando i loro abitanti alla propria sorte; né era raro vedere nelle campagne i morti lasciati sui cigli dei fossi senza cristiana sepoltura. Accadeva che in tutta questa miseria ognuno cercava di sfuggirvi come poteva e come credeva, molti abbandonavano la città per rifugiarsi in luoghi isolati. Così risolse di fare anche un nobile teanese: Don Francesco Zola di anni 53, il quale si andò a ricoverare nel romitaggio della madonna di Borgonuovo (che allora doveva essere un tranquillo éremo fra folta vegetazione ed acque limpide). Il poveretto però per quanto si adoperasse non sfuggì alla terribile epidemia. Nel 1672 gli fu innalzato un marmo commemorativo, per volontà dell’allora vescovo Monsignor Boldoni, nel chiostro del monastero di S. Francesco dei P. Minori Conventuali, poi soppresso e adesso sede Comunale:
Sacra denique Resp. Episcopalem Insulam
Semel iterumque obtudit reluctanti
Tantum Heroem
Concine fama Coelo demissum Coeloque
Restitutum heu ex Epidemia
Quo confugerat in Templo Burginovi
Secundo ab Theano lapide cum in
Sacram Imaginem Deiparae
Defixos usque teneret oculos
P.non.J.an.Salutis MDCLVI. Aet.suae LIII
Franciscus Zola J. V. C.
Patrui Sonorum in posteritae nomen
Ut hoc etiam marmore reflectatur
Octavi Boldonii mediol. Episc. Theani
Elogio perficiundum curavit MDCLXXII.
Da questo episodio sappiamo un’altra cosa del luogo, praticamente esso doveva essere un eremitaggio: l'insieme di una piccola cappella con una modestissima dimora con deposito di provviste per l’eremita. A riprova di ciò, molti ricorderanno ancora, erano gli anni ’50, che nella chiesetta viveva il così detto ‘Remita/monacu laico con moglie, che attendeva alle cose della chiesa e viveva di questue, la chiesa non faceva parte di nessuna parrocchia, era gestita dai fedeli e quando vi si diceva messa il prete doveva essere pagato con gli oboli delle offerte.
Qualcosa va detto, per lasciarne traccia ai posteri, dei due magnifici platani che si ergono maestosi davanti la chiesa: essi furono piantati lì nel 1861. In quell’anno gli amministratori di Teano disposero di alberare la circumvallazione della città e la strada che porta allo scalo ferroviario ed alleviare così le calure estive per i viandanti. Lo stesso anno fu inaugurata, anche, l’apertura della strada Borgonuovo - Versano, l’attuale provinciale, che avrebbe evitato il giro per via Campone e quindi evitare, per recarsi a Versano, di passare per forza per S. Maria Versano. Per ricordare l’evento furono piantati i due platani che oggi stupendamente ombreggiano davanti alla chiesa, avanzati dalla alberazione voluta in Teano.
La festività della Madonna della Libera di Borgonuovo cade il lunedì in Albis, una volta molto sentita e seguita: con essa si dava il via alle festività patronali della stagione estiva di tutto il territorio, per l’occasione arrivavano pellegrini da tutta la Diocesi, dell’evento si approfittava per fare delle magnifiche scampagnate. Ma il periodo più sentito e più bello della festa, come sempre accade a voler scomodare Leopardi, era quello che precede il dì di festa: le novene, quel ciclo di preghiere e di pii esercizi che si giaculano per nove giorni a scopo di devozione per un santo, erano una vera e propria occasione per il ritrovo della gioventù del luogo (sto parlando di cinquanta anni fa!). Così, la sera, verso l’imbrunire, quando giovani e giovanette avevano atteso alle loro incombenze campagnole, ci si ammutava (cambiava) in tutta fretta e ci s’incontrava alla fine delle carrere e per strada era un gran vociare, ove tutti parlavano e nessuno ascoltava, qualcuno rimaneva indietro, si appartava per comunicarsi qualche sentimento, ma la timidezza senza rimedio che ci pervadeva rimandava tutto sine die. Durante la funzione per attivare l’organo a mantice si azionava una pesante manovella e per quanto cercassimo di sgattaiolare ai richiami dell’eremita finiva sempre che qualcuno saliva sulla cantoria, per una scala di ferro a chiocciola, e lì per tutta la funzione, dava una mano al vecchio.
Carlo Antuono
(Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 1 - Gennaio) |