Testimonianze scultoree presenti nella cripta del duomo di Teano danno una chiara lettura di quella che fu l’arte longobarda nell’alto medioevo.
Frammenti di plutei marmorei, ben conservati riproducono un partito decorativo a rosette che trovano un evidente riscontro iconografico e stilistico con moduli formali tardo-antichi. Tuttavia questo motivo figurativo ritorna frequentemente nelle sculture alto-medioevali, dove è spesso associato a raffigurazioni astratto-geometriche e a nastri viminei a triplice cordonatura o a girali d’acanto. Questi elementi decorativi, espressi in maniera ritmica ed ordinata, con resa formale ad intaglio più che di un vero e proprio rilievo, la condotta plastica caratterizzata da accenti naturalistici, come l’elemento vegetale, orientano la datazione agli inizi del IX secolo, momento in cui l’attività delle officine dei lapicidi sembrano contrassegnate da una forte inclinazione al recupero di forme tardo-antiche.
Un frammento di pluteo o transenna esibisce un repertorio figurativo familiare ai lapicidi alto-medievali: tralci di vite, balauste, l’albero, combinati con soggetto animale (leone rampante). Si tratta di una figurazione molto diffusa in Campania, tra il X-XI secolo e se ne ritrovano esempi similari in quelli di Sant’ Aspreno a Napoli, nel protiro di San Felice in Pincis e dei S.S. Martiri di Cimitile (per citare solo qualche esempio).
Questa rappresentazione appartiene alle ultime espressioni del filone artistico bizantineggiante della scultura locale in quanto presenta una maggiore caratterizzazione volumetrica e gli scultori, messo da parte il repertorio figurativo occidentale, hanno attinto a piene mani a modelli iconografici medio - orientali, mediati da tessuti con una rinnovata attenzione a moduli formali tardo-antichi e bizantini. La cultura longobarda tra il IX e XI secolo, subisce quindi una trasformazione a contatto con il mondo romano. Fu proprio la città di Roma che nel IX secolo elaborò e produsse tali figurazioni e intrattenne importanti relazioni culturali con le città costiere d’Amalfi e Salerno, dove il materiale portato a riscontro trovò larga diffusione e penetrò per via terra nei principali centri del mezzogiorno. Le rappresentazioni decorative architettoniche devono essere intese come l’adattamento della popolazione longobarda al contesto mediterraneo e commissionate per arricchire chiese come S. Benedetto, S. Maria de Intus, la Cattedrale di Mauro, S. Maria de Foris, S. Pietro. Si pongono in quella ripresa d’attività culturale e s’innestano nel filone generale dell’arte della Longobardia Minor tra la fine dell’VIII, la prima metà del IX, per arrivare al X-XI secolo. Si è in presenza dunque di “componenti linguistiche” che coincidono ed emergono in una sorte di “memoria collettiva” che confluirà nel più ampio bacino dell’arte europea nonostante la fine del mondo longobardo nello scontro con il mondo franco.
Carmen Autieri
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 1 Gennaio) |