TEANO
 
Arte e archeologia
 
L'architettura Catalana
 

Alcune note sull'architettura "catalana"

nell'alta Terra di Lavoro
Portale catalano in Corso Vittorio Emanuele II (foto di Mimmo Feola)
 

Con l'avvento degli Aragonesi nella prima metà del XV secolo e, in modo particolare, durante il regno di Alfonso d'Aragona, iniziò, per Napoli e il Mezzogiorno, un periodo culturale tra i più interessanti e fecondi per la diversità dei linguaggi artistici, che coniugavano caratteri di prevalente tradizione gotica e catalana con quelli provenienti dall'area toscana ispirati alla rivoluzione culturale dell'Umanesimo.
La precarietà della situazione politica caratterizzata dalla lunga guerra tra Angioini e Aragonesi (1435-42) e dalla prima congiura dei baroni nei confronti di Ferrante di Aragona (1456-61)3, contribuirono a creare una situazione instabile da un punto di vista economico, amministrativo e sociale, particolarmente in Campania, che si concluse solo nel 1465 con la vittoria aragonese. In questo complesso clima, il linguaggio artistico del regno di Napoli, a differenza delle esperienze che andavano maturando nell'Italia centrale improntate al Rinascimento toscano, si aprì ai molteplici contributi provenienti da diverse parti dell'Europa occidentale, rielaborandoli su basi culturali di origine gotico-ispanica.
Infatti, dopo la metà del XV secolo, iniziò a diffondersi, in tutto il Mezzogiorno d'Italia, un linguaggio artistico nel campo pittorico, scultoreo ed architettonico frutto di una combinazione di elementi legati da una parte alla tradizione medievale e dall'altra alle rivoluzionarie innovazioni introdotte dalla imperante cultura rinascimentale. Quindi, un repertorio che utilizzava diverse matrici linguistiche, che si diffuse velocemente da Napoli verso le maggiori città del regno, fino a raggiungere le zone più periferiche, evidentemente attraverso l'opera di abili maestranze itineranti, certamente coordinate ed istruite da grandi architetti, laddove furono realizzati edifici di grande valenza strutturale ed architettonica.
L'adesione al gusto scultoreo-decorativo, introdotto dai maestri maiorchini, si manifestava nell'edilizia pubblica, religiosa e privata con elementi architettonici riccamente intagliati in un tufo grigio e tenero, con un gusto ornamentale esuberante, virtuoso e dinamico.
Molte zone della Campania settentrionale, principalmente per la presenza dei potenti duchi di Sessa, promotori di numerose iniziative nella costruzione di chiese, conventi e palazzi nei centri di Sessa, Teano, Carinola e Marzano Appio, conobbero una vera rinascita urbanistica e architettonica, ove parteciparono attivamente architetti di provenienza ispanica. Si tratta di un linguaggio conservatore che riflette pienamente la mentalità dei potenti feudatari della zona, ma che, rispetto alle esperienze della capitale del regno, si presenta con caratteri più omogenei e, talvolta, più innovativi nelle soluzioni spaziali e decorative.
Di questo periodo rimangono tuttora molte testimonianze che, seppure nella loro frammentarietà e carenti di un certo rigore stilistico, mostrano una certa autonomia di gusto tanto da caratterizzare ancora oggi, malgrado le trasformazioni e le mutilazioni subite nel tempo, l'aspetto architettonico e urbanistico di numerosi abitati della Campania settentrionale.
I pesanti i cambiamenti edilizi subiti dalla città di Napoli tra il XVII e il XVIII secolo, che stravolsero il volto della capitale aragonese, rendono più preziose le sopravvivenze di edilizia quattrocentesca che si colgono tuttora nei centri di Capua, Pontelatone, Carinola, Sessa, Teano, Marzano Appio e Roccamonfina.
Alcuni quartieri di questi abitati, come acutamente già evidenziava Massimo Rosi, si configuravano come veri e propri “barrios catalani” dalla forte connotazione di stampo commerciale e militare.
Con la monarchia di Alfonso di Aragona giunsero a Napoli numerosi maestri catalani, i quali, attraverso officine itineranti, innovarono, almeno in parte, i processi di progettazione e gli apparati decorativi dell'architettura meridionale, tramite una maturazione linguistica di stampo internazionale, i cui capisaldi culturali richiamano precedenti esperienze artistiche di matrice angioina e durazzesca. Una prima ondata di maestri catalani, chiamati a realizzare fabbriche reali, fu degnamente rappresentata da Guillermo Sagrera e dallo scultore Pere Johan. Essi contribuirono, in modo determinante, ad elaborare un lessico architettonico di grande tensione spaziale, scandito da forme geometriche pure, con richiami e spunti verso la tradizione costruttiva locale e, talvolta, con evidenti rimandi all'architettura classica. Una seconda ondata di artisti spagnoli ebbe luogo all'indomani della sanguinosa guerra tra Ferrante d'Aragona e Giovanni d'Angiò.
Tra essi si ricorda, in modo particolare, Matteo Forsimanya, la cui presenza nella capitale del Regno è documentata già prima del 1467.
Nel 1471 si segnalava la presenza di Gil de Luna a Carinola e, nel 1473, quella di Matteo Forsymania a Gaeta e a Sessa. Quest'ultimo fu affiancato da Antonio Gorino, per alcuni lavori identificati con l'esecuzione delle finestre del Palazzo de Cordova.
A conferma di quanto detto è raro trovare nella nostra area geografica realizzazioni architettoniche propriamente rinascimentali, fatta eccezione per alcuni palazzi di Capua e Sessa e per elementi architettonici isolati, quali portali, cornici e stipiti di finestre, presenti nell'area posta tra Teano e Sessa.
L'opera architettonica più nota e certamente la più importante, attribuita a Guillem Sagrera e a suo figlio Jaymo, è il palazzo di Carinola, commissionato da Marinello Marzano, tra il 1449 ed il 1458.
Danneggiato nell'ultimo conflitto mondiale e da eventi naturali nel dicembre del 1974, esso conserva il cortile con lo scalone d'onore, il cui patio trova confronti con quello del Palacio della Generalitat di Valenza sul genere della produzione di Pere Johan. Bellissimo è il portale cuspidato che apriva al salone d'onore, ormai scomparso, simile a quelli della camera dorata nella loggia occidentale del Palazzo della Deputazione Generale di Catalogna a Barcellona e di quello tricuspidato del portale di palazzo Antignano a Capua.
Come già detto, le prime espressioni di arte catalana si manifestarono dal tardo periodo angioino, ma solo dopo l'avvento aragonese esse si moltiplicarono, con interventi architettonici volti alla realizzazione di residenze di corte, della nobiltà feudale, nonché di abitazioni la cui committenza era di estrazione mercantile.
La particolare fertilità delle campagne della Campania settentrionale esercitò un forte richiamo nei confronti di una nobiltà molto attenta ed interessata allo sfruttamento agricolo dei propri possedimenti, ma anche a tutte quelle attività connesse alla caccia e all'ozio, che furono di forte stimolo per la costruzione di edifici residenziali anche nelle aree più interne.
Per quanto riguarda gli aspetti costruttivi, è importante evidenziare che, a partire dalla metà del XV secolo, divenne sempre più frequente il ricorso all'uso del tufo grigio per la realizzazione delle strutture murarie e delle decorazioni architettoniche. La tenerezza e la duttilità del materiale consentiva, alle abili maestranze, di scolpirvi capitelli, pilastri a fasce e pannelli traforati utilizzati nelle finestre, impreziositi da complessi motivi vegetali. I risultati furono di grande raffinatezza e originalità. Quindi, l'abilità delle maestranze, unita alla duttilità del tufo tenero, contribuì ad arricchire le città meridionali di portali, di finestre e logge ornati con motivi vegetali esuberanti, sempre con varianti singolari nelle scelte dei programmi figurativi, i quali ne determinarono, quasi sempre, l'unicità.
A questo proposito, sarebbe utile e doveroso creare un repertorio, preceduto da un'adeguata schedatura, dei manufatti edilizi quattrocenteschi presenti nell'areale dell'attuale provincia di Caserta.
Lavoro tanto più necessario ed urgente per i continui danni che vengono provocati da interventi edilizi poco rispettosi dei caratteri peculiari di tali edifici. Sarebbe, inoltre, importante promuovere e incoraggiare concrete azioni di valorizzazione nei confronti di questo beni architettonici.
Passo adesso a presentare alcuni edifici di tradizione tardo gotica e catalana, tra i più significativi, quasi del tutto ignorati dalla ricerca, localizzati principalmente nel territorio di Teano e di Marzano Appio.
Nella piccola frazione di Pugliano, ubicata pochi chilometri a sud di Teano, si trova una bella casa di tradizione ispanica, del tutto inedita, edificata nel 1456, la quale ha conservato mirabilmente il suo aspetto esterno. La facciata si presenta allungata e stretta, sostanzialmente quella di una casa torre, conclusa da un tetto a doppio spiovente, nel cui timpano venne inserita un'apertura circolare fortemente strombata, contornata da una cornice in tufo composta da un toro a sagoma liscia e da un sottostante listello piatto.
La casa presenta due evidenti fasi edilizie: una più antica, costituita dalla casa torre in cui si colloca la finestra, l'apertura circolare e due stemmi araldici; l'altra, indubbiamente più recente, costituita da un corpo di fabbrica più basso, che s'appoggia al primo, coperto da un tetto ad una sola falda, da un portale con arco depresso, attualmente murato, e da uno stemma collocato nella parte alta della parete. Come sopra accennato, nella facciata del corpo di fabbrica più antico, vennero collocate, in tempi diversi, due insegne araldiche, le quali attestano che l'edificio fu possesso di famiglie tra le più importanti del regno.
Il primo stemma, che sembra essere il più antico, riporta, la data dell'edificio, in numeri romani, al 1456. L'insegna, realizzata in tufo grigio, ha forma rettangolare ed ha come base uno dei lati lunghi. Essa comprende una cornice fortemente incisa nel tufo, sulla quale è raffigurata, all'interno, una pianta dalla ricca vegetazione, la quale, probabilmente, simboleggia, con il suo vigore arboreo, l'albero della vita; un cuore trafitto, collocato nell'angolo basso a destra subito al di sotto di esso e la sopraccitata data del 1456.
Appena al di sopra, fu collocato un secondo stemma raffigurante un cuoio disteso con emblema centrale abraso, il quale ricorda le insegne della porta lignea del palazzo di Diomede Carafa a Napoli, edificato nel 1466 . Il terzo stemma, quello inserito verso l'estremità nord del corpo di fabbrica di seconda fase, reca le insegne della famiglia Marzano: croce rafforzata, forse sormontata in origine da un cimiero, di cui rimangono alcune tracce scarsamente leggibili.
L'elemento architettonico di maggiore pregio risulta essere la finestra, che risponde pienamente alla tradizione decorativa di gusto catalano, la quale è costituita dalla giustapposizione di elementi scultorei riccamente intagliati.
L'apertura, finemente scolpita, ha stipiti a larga fascia con semicolonnine angolari, sormontati da capitelli fioriti, da cui si diparte un arco inflesso cuspidato, decorato all'intradosso da tre pendagli floreali.
Una ulteriore modanatura, anch'essa inflessa, culmina in una cuspide vegetale sull'asse dell'apertura. Eccezion fatta per la mancanza delle cornici esterne, la finestra di Pugliano trova confronti: con alcune aperture di palazzo Petrucci; con una finestra posta in una casa lungo il vicolo del Sole e con un'altra finestra inserita nel prospetto posteriore del castello a Carinola.
Nel piccolo borgo di Gloriani, posto a nord del comune di Teano, troviamo un altro palazzo quattrocentesco, fortemente stravolto e danneggiato da recenti interventi edilizi, di cui rimangono notevoli elementi architettonici e scultorei d'impronta catalana.
Del palazzo, sicuramente appartenuto ad una famiglia di rango elevato per la qualità delle membrature architettoniche superstiti, si conserva l'elegante portale d'accesso al cortile interno. Tale elemento, realizzato in tufo grigio, si presenta molto slanciato in altezza, una caratteristica tipologica corrente in altri portali catalani del territorio di Teano, con arco depresso inscritto in una cornice rettangolare modanata e lavorata nella sua parte interna a punta di diamante. Nelle lunette sono posti due stemmi inseriti su cartigli floreali.
Al di sopra dell'arco, perfettamente in asse con esso, vi sono i resti di una finestra inquadrata da colonnine polistile sormontate da capitelli fioriti. All'interno della corte centrale si può, invece, ammirare un portale ad arco a tutto sesto, al di sopra del quale vi sono due bassorilievi in tufo raffiguranti due cani affrontati, separati da un'epigrafe che riporta la data di costruzione al 1591. Tale intervento è evidentemente successivo al palazzo del XV secolo.
Particolare importanza riveste l'abitato di Teano che, con Sessa Aurunca, costituiva la città più importante della Campania settentrionale dalla fine del XIV a tutto il XV secolo. La città si arricchì di numerosi palazzi ed edifici sacri di una certa valenza architettonica, per la presenza in loco e per l'azione di una committenza ricca e potente, talvolta, direttamente legata al potere centrale. In questo contesto, l'episodio architettonico di maggiore rilevanza, ancora poco noto e studiato, è l'edificio comunemente conosciuto come “Cavallerizza” o “Loggione”, edificato intorno al 1370 su committenza di Goffredo Marzano, feudatario di Teano.
Inserito nel circuito delle mura del castello, sul fianco est della città medievale, esso dominava, con la sua imponenza architettonica, l'intera città. Utilizzato come residenza del castello, fu più volte rimaneggiato nel tempo divenendo una delle più prestigiose sedi del potere dell'intera area, tanto da essere ricordato, in una veduta della città del Pacichelli degli inizi del XVIII secolo, come palazzo “Magnifico”.
La fabbrica era delimitata, a sud, dalle mura dell'acropoli della capitale Sidicina, avanzando dalla linea di esse con un avancorpo all'interno del quale si disporrà il complesso tardo gotico di cui stiamo trattando.
Il palazzo, di forma rettangolare, presenta caratteristiche costruttive di notevole interesse, le quali sono da porre in relazione a sopravvivenze architettoniche federiciane, per quanto riguarda la presenza delle due torrette poste agli angoli del lato orientale dell'edificio. Tale soluzione ricorda gli impianti ad ali delle Domus domini imperatori di Apice (Benevento), di San Gervasio Lagopesole (Potenza) e di Belvedere a Marano (Napoli). Nelle due torrette erano poste le scale elicoidali che collegavano il livello inferiore del complesso a quello superiore. L'ingresso all'edificio avveniva da un monumentale arco ad ogiva, uno dei più maestosi e belli del regno, sovrastato, in una fase edilizia successiva, da una loggia scandita da tre arcate a tutto sesto. Il complesso si disponeva su due livelli. Quello più basso era preceduto da un vestibolo composto da due campate con volte a crociera a sesto acuto, in origine aperto su tre lati da grandi arcate ad ogiva.
Esso, forse utilizzato come seggio della città, ripropone una tipologia simile ai seggi di Sessa e Carinola.
Dal vestibolo si accedeva ad una vasta sala divisa in due navate, diversamente larghe, da grandi pilastri cruciformi sormontati da cornici sagomate, realizzati in blocchi regolari di tufo, su cui scaricavano sei volte a crociera anch'esse a sesto acuto. Il livello superiore gravitava su un maestoso salone d'onore, non più esistente, di cui rimane una interessante descrizione in un resoconto della città scritto nei primi decenni del Settecento, il quale fu commissionato del conte austriaco Leopold von Daun, feudatario di Teano.
Dal documento si traggono preziose notizie sull'intero complesso. Esse raccontano non solo la bellezza dei giardini, arricchiti da giochi d'acqua, ma anche, in particolare, la maestosità del salone d'onore del palazzo. Questo, posto al secondo livello, è descritto tanto ampio e spazioso da potervisi girare con una carrozza trainata da sei cavalli e con le pareti affrescate dal massimo pittore manierista meridionale, Belisario Corenzio. Corenzio tenne bottega a Teano fin dal 1593 e la sua presenza nella città è attestata almeno fino al 1595. Durante questo periodo eseguì diverse opere, purtroppo tutte perdute, ad eccezione di un quadro identificabile col Martirio di Santa Caterina, molto rovinato, tuttora conservato nella bella chiesa del convento benedettino, a Lei consacrato, adiacente al palazzo del “Loggione”.
Il salone del medesimo “Loggione” andò in rovina dopo il primo quarto del XVIII secolo, probabilmente a causa di un evento sismico. Il vuoto rimasto fu utilizzato come terrazzo e diede il nome attuale all'intero complesso. Tuttavia del secondo livello rimangono alcuni ambienti, posti su due piani, ove sono visibili alcuni elementi strutturali e architettonici pertinenti all'impianto del XV e del XVII secolo, quando il palazzo venne ingrandito ed abbellito dal principe di Stigliano di casa Carafa.

Pugliano - Finestra catalana (foto di Mimmo Feola)

Nell'abitato di Teano si segnalano altri elementi architettonici di stampo quattrocentesco (portali e finestre di tipo catalano si incontrano in molti edifici del centro storico), tra cui spicca un raro esempio di portale monumentale ad arco a tutto sesto a grandi conci (dovelas) di schietta provenienza catalana. Tale manufatto si differenzia dai portali di tradizione napoletana, che seguono un percorso stilistico autonomo, essendo caratterizzati dall'uso dell'arco a sesto depresso inquadrato da una cornice modanata a stampella.
A poca distanza dall'abitato di Teano, su di una collina che sovrasta la città, fu edificato, nel 1428, il Convento di S. Antonio, dei frati Minori, su committenza di Ludovico Galluccio e di Giovanni Antonio Marzano. Della chiesa originaria, ricostruita nei secoli XVIII e XX, non rimane quasi più nulla, ma si conserva il bellissimo chiostro a pianta quadrilatera, il cui impianto architettonico è analogo a quello dei conventi francescani di Casanova di Carinola, di Mondragone, di Sessa e di Roccamonfina.
Nonostante la superfetazione in falso gotico del primo piano, il chiostro conserva l'impianto planimetrico quattrocentesco contrassegnato sui quattro lati da volte a crociera a sesto acuto, sostenute da robusti pilastri polistili in tufo collegati da arcate a sesto acuto e, in basso, da un muretto pure in tufo. Le volte, invece, poggiano direttamente sulle pareti di fondo mediante peducci sagomati in tufo.
I pilastri polistili sono sormontati da capitelli decorati da motivi fitomorfi e zoomorfi, purtroppo rovinati recentemente da un pessimo intervento di restauro. La ricca decorazione dei capitelli rivela reminiscenze stilistiche tardo gotiche attribuibili, con molta probabilità, ad abili maestranze locali. I capitelli trovano precisi confronti, per la qualità della tecnica esecutiva e delle decorazioni, con quelli del convento di Casanova di Carinola.
Tutt'altra situazione si riscontra per i portali polistili ubicati all'interno dei corridoi del chiostro, i quali, per l'incorniciatura a giogo con peducci pensili poggianti su capitelli floreali, per la triplice incorniciatura del vano-porta e per le esili colonnine laterali, si confrontano con i pilastri e le cornici di palazzo Marzano a Carinola. Attraverso i portali si accedeva agli ambienti della clausura, alla chiesa, al giardino esterno e al refettorio, coperto da volte a crociera a sesto acuto poggianti su peducci e con pareti rivestite da maioliche del XVIII secolo.
Passando ora all'abitato di Marzano Appio, centro posto sulle pendici orientali del vulcano di Roccamonfina, infeudato alla potente famiglia eponima dal 1180 circa, fino al 1464.
Con la signoria di Giovanni Antonio e Marinello Marzano, il paese godette di un periodo di particolare splendore come sede, seppure saltuaria, di una corte principesca la quale, per ricchezza e potenza politica, rivaleggiava con quelle dei maggiori feudatari del Regno.
Di questo periodo, infatti, restano cospicue testimonianze architettoniche, scultoree e pittoriche nel tessuto edilizio medievale della località Terracorpo, ove il termine “terra” denota un abitato importante provvisto di mura. L'abitato medievale è dominato dalla mole del castello, nel quale sono evidenti diverse fasi edilizie, tra le quali emerge quella relativa ad un rifacimento tardo cinquecentesco, che gli conferì l'aspetto di una residenza principesca più che quello di una roccaforte. La facciata, infatti, venne dotata di grandi aperture modanate al piano nobile, estese anche alle due torri, poste alle due estremità di essa.
In una zona dell'abitato, conosciuta come “Curia”, passando al di sotto di un bel portale a sesto leggermente ribassato, si segnala un'abitazione quattrocentesca, “Casa Imondi”, in cui sono sopravvissuti alcuni elementi architettonici in stile gotico catalano.
Sulla verticale dell'ingresso, che si trova a livello stradale, si conserva poco più della metà di una finestra caratterizzata da una cornice rettangolare poggiante su pilastrini polistili sormontati da capitelli floreali.
La decorazione della finestra sembra trovare confronti con alcune aperture di casa Novelli a Carinol e con quelle del palazzo De Cordova a Sessa Aurunca.
Da notare, inoltre, che il capitello relativo al peduccio pensile e quello su cui s'innestano le cornici interne della finestra, sono analoghi, nel forte intaglio dei cespugli delle foglie, ad alcuni capitelli del palazzo Marzano a Carinola.
All'interno della casa si trova un elegante portalino, poggiante su larghi stipiti in tufo, inquadrato da una sagoma a sezione cilindrica e sormontato da un arco inflesso, che trova confronti con la porta d'accesso alla scala di servizio a chiocciola di palazzo Marzano a Carinola.
Nel giardino della casa, si trova reimpiegato un frammento architettonico, pertinente ad una finestra a croce, decorato con un intaglio a dente di lupo.
Nelle vicinanze di Palazzo Imondi si trova un palazzo edificato a ridosso della cortina delle mura, il quale conserva un portichetto in origine aperto su tre lati. Di essi, il lato verso l'esterno del borgo fungeva da posterla, la quale era preceduta da un vestibolo con arcate a sesto acuto. Lo stesso vestibolo è coperto con una bella volta a crociera, nella cui chiave è presente un ornamento in tufo, a rilievo, che rappresenta un demone barbato.All'interno del portico si aprivano due portali, di cui uno murato, poggianti su un pilastro ottagonale sormontato da un bellissimo capitello corinzieggiante, riccamente intagliato, simile ai capitelli a foglia di palma del chiostro di S. Francesco a Fondi, restaurato dai Caetani nel 1479.
Infine, lungo il tracciato delle mura poste a sud-est del castello è ubicata quella che sembra essere la porta principalis, dalla quale si accedeva al borgo.
La porta, mirabilmente conservata verso il lato campagna, è concepita, secondo un impianto di stampo rinascimentale, con motivi architettonici e araldici che ne accentuano la funzione d'accesso all'abitato, alla stregua di un piccolo arco celebrativo inneggiante alla potenza dei Marzano.
Ritengo, a tale proposito, che non è casuale che la chiave di volta dell'arco a tutto sesto sia decorata con un motivo a squame e da una voluta.
Tali elementi, infatti, richiamano le chiavi degli archi trionfali di tradizione classica. Questo simbolismo è accentuato dalla presenza, al di sopra della chiave dell'arco, dello stemma dei Marzano con il privilegio di condividere le proprie insegne con quelle dei d'Angiò-Durazzo come segno della loro alleanza nella seconda guerra angioina.

Alfredo Balasco
(da Il Sidicino - Anno VII 2010 - n. 10 Ottobre)

Museo Archeologico di Teanum Sidicinum - Vestibolo (foto di Vincenzo Lerro)
Museo Archeologico di Teanum Sidicinum - Interno (foto di Martino Amendola)