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Il terremoto di Aquila

 

Da noi si è appena avvertito, ma i nostri genitori ricordavano spesso e con sofferenza i disastrosi effetti che ebbe nelle nostre zone il terremoto della Marsica che rase al suolo Avezzano il 13 gennaio 1915.
Siamo legati all'Abruzzo, prima ancora che dalla comune appartenenza all'Italia sorta nel 1861, da una stessa ininterrotta identità nazionale vecchia di ben nove secoli che risale a quando Ruggero il Normanno riunì la parte meridionale della Penisola in unico regno. Per questa comune “Napoletanità” ci siamo sentiti feriti nell'ascoltare gli ignobili paragoni che certi giornali, e soprattutto le cronache televisive, hanno fatto tra gli effetti del sisma nel Meridione e nel Settentrione d'Italia. È stato detto che nel Nord della penisola gli effetti delle scosse sismiche sono sempre meno devastanti perché lì si costruisce meglio. Sarà vero, ma la ragione vera è nel fatto che noi fummo abbandonati alla nostra sorte quando la penisola fu (malamente) unificata. Prima non era così: potevamo, e sapemmo dare, lezione a Piemontesi, Lombardi e papalini.
Dopo il terribile sisma del 5 febbraio 1783, che fece 30.000 vittime nelle sole Calabrie (Citra e Ultra), Ferdinando IV di Borbone dispose la riallocazione di ben trenta centri devastati dal sisma e lo Stato avviò, portandola a compimento, un'imponente opera di rifacimento della rete stradale e delle opere pubbliche, utilizzando i beni espropriati in precedenza agli enti ecclesiastici e fatti confluire nella cosiddetta “Cassa Sacra”, efficientissima Cassa del Mezzogiorno ante litteram. E non solo. Furono dettate norme per la ricostruzione che costituirono in assoluto la prima, seppur embrionale, legislazione antisismica al mondo!
E poi, nel 1857, dopo il terremoto del Vallo di Teggiano e Basilicata, ulteriori piani innovativi ispirarono la ricostruzione. Ferdinando II fece costruire le “Comprese” di Battipaglia, colonie agricole di medie dimensioni in un sito che era già interessato a imponenti opere di bonifica della piana del Sele. Da quelle “Comprese” è poi sorta la grande Battipaglia, città nuova e fiorente, autentica new town! Ferdinando II, un re amato dal popolo, potette realizzarla; Berlusconi ha solo accennato alla possibilità di fare lo stesso a L'Aquila e subito si è gridato alla bestemmia.
Se qualche lettore pensa che queste siano farneticazioni da filoborbonico, potrà assicurarsi che sto dicendo il vero leggendo quanto ha scritto Paolo Granzotto su “Il Giornale” di Milano del 17 aprile scorso, una fonte non sospettabile di simpatie meridionaliste.
Tra le tante cose che sono state dette a proposito di Nord e Sud nelle emergenze-terremoto dobbiamo però riconoscere come giusta la corale condanna della nostra incapacità, dopo l'ultimo grande sisma del 1980, di gestire una ricostruzione costata un mare di soldi a tutti gli Italiani. Il paragone tra la ricostruzione nel Friuli e quella in Irpinia è per noi solo fonte di vergogna. La ricostruzione dopo il 1980, quella dell'Irpiniagate, è un disonore per il Sud, ma per quello della Prima Repubblica, e per l'Irpinia di De Mita. Quando, invece, dopo il terremoto del Vulture del 23 luglio 1930, la ricostruzione in Basilicata, Puglia e Irpinia fu gestita dal più grande ministro dei Lavori Pubblici che l'Italia abbia avuto, Araldo di Crollalanza, le case furono ricostruite con i criteri antisismici del tempo e con un risparmio di mezzo milione di lire sulle somme stanziate. Quelle case furono le uniche a resistere, cinquant'anni dopo, al devastante sisma del 23 novembre 1980.
Speriamo di non dover mai assistere alla verifica sul campo della resistenza sismica delle ricostruzioni effettuate dalle nostre parti dopo il 1980 con la famosa legge 219!

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno VI 2009 - n. 5 Maggio)