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Presepi teanesi di un tempo: il presepe più strano

 
 

Fu allestito nella cattedrale, alla fine degli anni Settanta.
Dopo l'epopea dei grandiosi presepi realizzati dal maresciallo Salvi, che occupavano quasi per intero il cappellone di sinistra, e quelli di Benito Martino nell'ampio battistero, il presepe della cattedrale languiva. Scomparsi da tempo i pastori di stoffa che il buon Luigino adagiava sul presepe di carta nella chiesa di S. Francesco, dopo aver spruzzato con la classica pompa del flit i vari colori, il presepe della cattedrale era diventato un piccolo presepe, come quelli domestici. Don Aurelio De Tora, allora parroco della cattedrale, voleva fare di più, ma il tempo stringeva, era novembre inoltrato. Di antico erano sopravvissute solo due statue di legno del quattrocento, Maria e Giuseppe oranti, che in un tempo molto lontano avevano tenuto scena nell'antica cattedrale e poi erano passate nei depositi della sacrestia, sfuggendo così alla distruzione bellica e all'inesorabile dispersione dell'intero popolo di pastori di stoffa e di legno dell'antico presepe. Maria assorta, ma alquanto smarrita; Giuseppe con grandi occhi sbarrati, quasi sgomento. Erano due statue belle ma piuttosto grandi per un presepe ed erano sole. Venne così l'idea di fare una bizzarria: affiancarle al grande feretro di ottone e cristallo decorato, guamito di velluto, che anticamente veniva posto sul catafalco dei confratelli del Monte dei Morti, fortunatamente scampato alla distruzione della chiesa del Monte.
Fu quindi realizzata una grande pedana nel cappellone di S. Paride con dietro una serie irregolare di assi di legno verticali che culminavano, nell'angolo sinistro, con una nuda croce issata molto alta su una delle assi. Sul piano cosparso di paglia, Giuseppe e Maria in preghiera intorno alla culla; ai piedi delle assi, in un angolo, il feretro nero e dorato, quasi interamente coperto da un drappo rosso che scendeva dall'altissima croce e lasciava scoperto quel tanto che bastava per far capire che si trattava di un attrezzo funerario.
Il significato era reso evidente da due cartelli laterali. Sul primo c'era un brano di S. Agostino; sul secondo, un brano tratto dai Discorsi di S. Leone Magno che recitava: "Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce una vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne".
La notte di Natale, nella cattedrale stracolma, Mons. Sperandeo tenne la consueta non breve omelia ma nessuno si accorse del tempo che impiegava. Fu un inno alla vita cadenzato sulla prosa di Leone Magno.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno III 2006 - n. 12 Dicembre)