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Da Teano fu annunciata la Pace di Casa Lanza

 
La notizia, ignorata dalla storiografia locale, è tratta da una lettera autografa di Leopoldo di Borbone conservata nell'Archivio di Stato di Napoli. Il 20 maggio 1815, da Teano, sede del Quartier Generale, il principe spedì il corriere a Palermo per annunciare a Ferdinando IV la riconquista del regno.
 

Per oltre venticinque secoli Teano è stata spettatrice o protagonista di innumerevoli eventi, ma nella memoria collettiva resta solo il ricordo dominante dell'Incontro del 26 ottobre 1860 e forse di qualche altro avvenimento, come l'assedio di Papone del 1648 o la redazione del Placito del 963. Degli altri incontri, tra consoli romani o tra cospiratori del medioevo, delle visite e dei soggiorni di papi e di sovrani nessuno parla. Un evento non trascurabile, tra quelli sconosciuti ai più, è l'annuncio della pace di Casa Lanza, che fu dato da Teano nel maggio 1815. E non a caso la notizia della pace riconquistata partì da Teano, perché qui gli alleati avevano posto il Quartier Generale. Il comandante austriaco dimorava in casa di D. Carlo Iannazzi e quello dell'armata inglese in casa di D. Pietro Rozzera, come annota il Pezzulli.
Nel maggio 1815 Murat resisteva ancora nella difesa del trono di Napoli, sul quale il cognato lo aveva posto nel 1808, ma l'epopea napoleonica volgeva ormai verso l'inesorabile fine. Isolato, senza alcuna speranza di efficace soccorso, Murat fu infine costretto alla resa che fu firmata dai generali Bianchi e Carascosa nei pressi di Capua, in un podere della famiglia Lanza, il 20 maggio 1815.
Ferdinando IV, che all'epoca non era ancora Ferdinando I, si era trasferito con la corte in Sicilia, ma sapeva bene che se avesse lasciato ogni iniziativa agli alleati avrebbe rischiato di non far più ritorno sul trono di Napoli. Mandò quindi nei Domini di qua del faro (così veniva definita la parte peninsulare del regno) il secondogenito Leopoldo, principe di Salerno.
Leopoldo era nato nel 1790, quindicesimo dei diciassette figli di Ferdinando IV e di Maria Carolina; con il principe ereditario Francesco fu l'unico maschio a superare la diffusa mortalità infantile dell'epoca. La posizione di secondogenito sembrava quasi una beffa giocata dal destino alla sua forte personalità, tanto più se la si paragonava a quella del fratello maggiore, il mite Francesco I, destinato a regnare solo un quinquennio. Per antica tradizione, poi sanzionata in una norma, i principi della Casa di Borbone delle Due Sicilie assumevano un titolo comitale, mentre al principe ereditario era riservato l'antichissimo titolo di Duca di Calabria e a suo figlio quello di Duca di Noto. A Leopoldo, sposato a Maria Clementina d'Asburgo, figlia dell'imperatore Francesco I, fu concesso, nel 1817, il titolo di Principe di Salerno ed ebbe come residenza il palazzo accanto alla reggia che a Napoli chiamano ancora Palazzo Salerno. Ebbe quindi, tra tutti i principi del sangue, un trattamento particolarissimo.
Don Leopoldo giunse a Teano il 19 maggio 1815 e fu ospitato dal sindaco, Michele Gigli, nella sua casa lungo la Rua dove viveva anche il figlio quindicenne Nicola, che sarà poi, nel 1848, ministro di grazia e giustizia di Ferdinando II e Pari del Regno. Da casa Gigli il principe indirizzò al fratello Francesco questa lettera che si conserva nell'Archivio di Stato di Napoli (fondo Archivio Borbone, 536):

Quartiere Generale di Teano li 20 maggio 1815
Mi affretto di scrivervi queste quattro righe, che vi saranno presentate da Salvatore Brancaccio che spedisco come corriere al Caro Papà, per recarti la grata nuova del riacquisto del regno di Napoli. Oggi il Gen. Bianchi avendo firmato con Carascosa una convenzione (Trattato di Casalanza) in virtù della quale domani entreremo a Capua, posdomani in Aversa ed il 23 sarà consegnato Napoli e tutto il Regno, all'infuori delle piazze di Gaeta e Pescara che sono comandate dai francesi. Murat è fuggiasco e non si dubita che dovrà rendersi prigioniero, la sua Armata non consiste più che in Generali ed ufficiali tutti i soldati essendo disertati. Il spirito nel regno è eccellente e l'attaccamento pel Re, spinto all'ultimo eccesso e di ciò posso far fede.
Leopoldo aveva ricevuto il compito di seguire gli alleati nell'avanzata verso la capitale e perciò il 21 maggio partì da Teano. Il giorno seguente entrò nella capitale tra il giubilo del popolo che cantava: “Se n'è fuiuto lo Mariuolone, e se ne vene lo Nasone”. Andò a rendere omaggio a S. Gennaro nel duomo e poi a palazzo per assumere, in nome del “Caro Papà”, la Reggenza che tenne fino al 2 giugno.

Mentre Murat ancora sperava di riconquistare il trono, illudendosi di avere il popolo dalla sua parte, Michele Gigli si affrettò a chiedere a Re Ferdinando il privilegio della catena alla porta di casa, prerogativa che veniva elargita in occasione del soggiorno, e talvolta anche di una semplice visita, del sovrano presso abitazioni private e che le rendeva immuni dai poteri di polizia come sotto una forma di protezione regia. Lo stesso privilegio, a Teano, sarà concesso al palazzo S. Agapito, dove fu ospitato Ferdinando II nel 1840.
Poiché all'epoca la burocrazia era efficiente, il Gigli fu presto accontentato. Il 14 ottobre 1815 Ferdinando IV firmò a Portici il decreto che sanciva: “ È dato per grazia speciale a D. Michele Giglio il privilegio di poter porre la Catena alla porta della casa che possiede in Tiano, per memoria di avere in essa ultimamente albergato il Real Principe D. Leopoldo nostro dilettissimo figliuolo. Questo privilegio sarà in perpetuo inerente alla detta casa”.
Il giorno precedente Murat era stato fucilato a Pizzo, in Calabria, condannato a morte in base alle leggi da lui stesso emanate per reprimere i moti insurrezionali, donde il noto detto popolare “Giacchino facette 'a legge, e Giacchino fui condannato”. La corte marziale che ne decretò la fine era composta in maggioranza da suoi ex ufficiali, tra i quali il colonnello Raffaele Scalfaro, ascendente del più noto Oscar Luigi. Appena un anno prima il colonnello Scalfaro era riuscito ad ottenere da Murat il sospirato titolo di barone per i meriti acquisiti nella cruenta repressione della lotta antifrancese che era costata la vita a trentamila Calabresi.
Don Michele Gigli fece subito porre ai lati del portone le due colonnine di pietra lavica che ancora vi sono, alle quali veniva agganciata una pesante catena di ferro. Poi venne l'autunno del 1860 e la catena opportunamente scomparve. Come tante altre cose, dalle strade e anche dalla memoria.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno II 2005 - n. 2 Febbraio)

Leopoldo di Borbone