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San Massimo: arte, agricoltura e turismo

 
Restaurato attentamente e arricchito di un curatissimo parco, il complesso costituisce un fiore all'occhiello del nascente apparato agrituristico dell'intera Regione. Per i pregi architettonici dei fabbricati, per la ricchezza degli elementi decorativi e per le memorie dell'antico latifondo appartenuto ai Galluccio è un autentico bene culturale.
 

Dopo le tante edizioni del Piano Verde, esaurito il ciclo delle integrazioni economiche a carico della Comunità Europea e conclusa l'epopea degli smisurati conferimenti dell'Aima, l'agricoltura italiana affida ora le sue speranze all'apporto dell'agriturismo. Dovunque sono sorte attività agrituristiche d'ogni genere: da quelle modestissime, dotate appena di una sobria mensa, a quelle con tanto di maneggio, campo da golf e centro di benessere. In questo singolare apparato, l'azienda agrituristica di San Massimo rappresenta forse un capitolo a parte.
Adagiata sulle prime alture del monte di Casi (gl'Iamonte), tra olivi e querce secolari, propone all'ospite la vista del panorama occidentale di Teano, quello dove più evidente è il tracciato delle inespugnabili mura dell'antica Sidicinum, e offre un soggiorno fatto soprattutto di quiete, a mala pena interrotta dal rintocco delle vicine campane di S. Antonio nelle ore canoniche.
La masseria di San Massimo fu per secoli il centro aziendale di un vasto latifondo che iniziava sotto le mura del vescovado, con l'Orto delle Cerase, si espandeva, allargandosi progressivamente, oltre quel ramo del Savone detto di S. Antonio e giungeva fino alle alture di Casi, includendo la Masseria della Starza e appunto quella di S. Massimo che ne costituiva il centro. Il latifondo appartenne alla famiglia Galluccio, le cui origini risalgono ai conti longobardi di Teano e dai quali ebbe ad ereditarlo come terra allodiale. Parte di questi orti e masserie passarono poi, per successione femminile, ad altre famiglie. San Massimo, l'Orto delle Cerase e altri fondi vicini pervennero da ultimo alla famiglia Caracciolo del ramo dei Principi di Pettoranello, nella quale in breve si estinsero, a causa di due matrimoni senza discendenza maschile, i rami teanesi dei Galluccio e dei De Angelis.
Anche il toponimo di S. Massimo, derivato con ogni probabilità da qualche edicola o cappella eretta nel fondo, riporta all'epoca dei Longobardi, quando il culto del santo ebbe grande diffusione particolarmente a Benevento e a Salerno.
Il vecchio fabbricato colonico, nel 1975, quando la masseria fu ceduta dai Caracciolo al notaio Romano Naschi che dette inizio al restauro, denotava tutte le caratteristiche di una struttura aziendale concepita per essere al servizio di un'entità produttiva ben più grande della solo masseria, che è posta in accentuato pendio e da secoli è coltivata prevalentemente ad oliveto. Il cadente fabbricato aveva si un bel frantoio per la molitura delle olive, ma era dotato anche di una vasta cantina per conservare il vino, di aie, di ampi cortili e di capienti magazzini per le derrate. Due di questi, coperti da ampie volte a botte, potrebbe rivelare nella muratura le origini romane del primitivo fabbricato. Origini romane più che probabili perché, fino al 1512, quando Giovanni Luigi Galluccio fece costruire il ponte di S. Antonio, l'antica e unica strada per Casi passava per un tracciato antistante la masseria. Di là si è svolto per secoli il trasporto del piperno estratto da quelle cave, che fu ampiamente utilizzato sin dall'antichità per la costruzione dei maggiori monumenti di Teano, dalla cinta muraria preromana ai campanili delle principali chiese.
Sottoposta a rilevanti opere di reimpianto degli oliveti e rinnovata nelle fabbriche, oggi S. Massimo è tra le aziende agrituristiche, quelle autentiche, una delle più apprezzate della regione. Il vecchio fabbricato principale e quelli che gli fanno da corona sono in grado di offrire ospitalità per 13 posti letto e grande ricettività per banchetti e cerimonie. In esercizio da pochissimi anni, l'azienda agrituristica, curata da Orlando Vagelli, già può menare il vanto di un registro degli ospiti di tutto rilievo: artisti come Catherine Spaak, Orso Maria Guerrini, Adriana Russo, i New Trolls, e personalità del mondo culturale come Fausto Zevi, Rocco Filippini e Giancarlo Alisio.
Grandi nomi della cultura e dell'arte per un'azienda attrezzata per un confortevole turismo, ma che costituisce anche un sito di rilevanza monumentale. I fabbricati mostrano nelle strutture pregevoli elementi architettonici e ostentano negli arredi autentiche opere d'arte. Nell'antico frantoio, al possente torchio ora fanno corona consolle, poltrone e trofei di caccia; è stata ricostruita la cappellina dedicata a S. Massimo; tutti gli ambienti a piano terra sono adorni di rare suppellettili. Il giardino, impreziosito da fontane, tempietti, piscina, coffee house, ecc., ospita una tale varietà di essenze che quasi sembra di stare in un orto botanico. Progettato dal dott. Naschi, con la consulenza di Orlando Vagelli, il giardino è stato pubblicato in varie opere e in riviste specializzate come Ville e giardini, CMD, Giardini.
Amore per la natura e passione per l'arte, ispirandone il monumentale recupero, hanno fatto di quest'antica masseria un'autentico bene culturale.

Guido Zarone
(da Il Sidicino - Anno I 2004 - n. 8 Agosto)