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S. Francesco Caracciolo: con gli ultimi ieri e oggi

 
Il convegno del 4 aprile a Napoli
 

Il parterre dei relatori del convegno, molto qualificato, ha provveduto ad offrire un inquadramento storico nonché, per così dire, "topografico" del luogo ove si è tenuto il Convegno.
Nel suo saluto iniziale, P. Raffaele Mandolesi, Preposito Generale dei Chierici Regolari Minori, ha tracciato un primo bilancio dell'anno giubilare Caracciolino iniziato nel 2007, in occasione del secondo centenario dalla canonizzazione del santo, e finalizzato a diffondere una nuova e più profonda conoscenza della sua personalità che presenta molteplici sfaccettature ed innumerevoli aspetti. Basti pensare alla sua diffusa opera di assistenza non solo verso i malati e i poveri, ma anche verso i condannati a morte e le loro famiglie (fatto assolutamente nuovo per l'epoca), svolta sempre nell'ottica di assoluta fedeltà alla Chiesa post-tridentina.
Nella prima relazione, la dott.ssa Marielva Torino ha ripercorso le vicende storiche dell'artistica Chiesa di S. Maria Maggiore e della presenza dei Caracciolini al suo interno.
Secondo una leggenda riportata da diversi storici locali, tra cui il Chioccarelli e il Ventre, sul luogo ove oggi sorge la Basilica si ergeva un tempio dedicato a Diana ove aveva trovato dimora un cinghiale che terrorizzava la popolazione. Pomponio, vescovo di Napoli, invocò contro l'animale l'aiuto divino che ottenne tramite la Vergine. Della vicenda resta testimonianza nell'affresco alla sinistra dell'altare che raffigura un cinghiale, che ora si intravede appena, dietro un angelo alla destra del vescovo. Secondo un'altra interpretazione, Pomponio avrebbe invece tratto spunto dalla presenza del cinghiale per sostituire un luogo di culto pagano - il tempio di Diana - con uno cristiano.
La chiesa, intitolata a Maria, fu detta "major" perché era la più grande tra tutte le chiese mariane di Napoli, ricevendo anche l'aggregazione alla basilica patriarcale romana di S. Maria Maggiore nel 1863. È meglio conosciuta dai Napoletani come chiesa "della Pietrasanta", poiché al suo ingresso era posta sin dal 6 agosto 1620 una pietra "crocesegnata" da Papa Giovanni II nell'anno 533, che recava cioè il segno della Croce e ricordava la concessione di indulgenze.
La chiesa fu concessa il 1 luglio 1589 da Sisto V alla neonata congregazione dei Chierici Regolari Minori; la cura parrocchiale, invece, restò affidata ad un collegio di "ebdomadari" che ebbero sin dall'inizio rapporti tempestosi con i Caracciolini. Nel 1592 Clemente VIII confermò la concessione dell'attiguo monastero ai Caracciolini che l'11 giugno 1608 vi tumularono il corpo del Fondatore.
A partire dal 1653 l'edificio pomponiano, molto malandato, fu sottoposto ad imponenti lavori in parte sostenuti dalla munificenza di Andrea De Ponte, il cui stemma campeggia sul portale. Con la venuta dei Francesi, i Caracciolini furono privati del monastero, che non fu restituito nemmeno dopo la Restaurazione. Furono perciò costretti a trasferirsi, nel 1823, nella chiesa di S. Pietro a Maiella (frattanto, il santo era stato canonizzato il 24 maggio 1807).
Ferdinando II, nel 1833, volendo dotare la capitale di un efficiente corpo di pompieri, ne stabilì la sede nel convento e nei locali attigui alla basilica, stravolgendone però l'impianto per eseguire i necessari adattamenti. Soppresse anche il collegio degli ebdomadari, i cui beni passarono allo Stato. Solo nel giugno 1877 la basilica potè essere riaperta al culto e solennemente riconsacrata.
Subì danni dal terremoto del 1930, ma ben più gravi danni riportò durante i bombardamenti degli Alleati, particolarmente in quello del 4 agosto 1943. Lo stato di abbandono e di degrado si protrasse per troppo tempo, tant'è vero che negli anni '60 e '70 era ridotta ad un deposito abusivo di rifiuti. È stata riaperta al culto il 21 giugno 2007, quasi a testimanianza della volontà di risorgere da parte di tutto il quartiere.
A questo punto la Prof.ssa Torino ha dato l'importante annuncio, particolarmente emozionante per noi teanesi, del ritrovamento nell'ipogeo del tempio dei resti mortali dell'insigne zoologo e fitopatologo Stefano Delle Chiaie.
Ha preso poi la parola il prof. Ulderico Parente, docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, nostro concittadino ora residente a Napoli, il quale ha parlato del contesto temporale in cui operò il Santo. Già la data di nascita - 13 ottobre 1563 - è emblematica: appena due mesi dopo, infatti, termina il Concilio di Trento e si apre per la Chiesa un lungo periodo di sperimentazione e di novità. Su questa lunghezza d'onda si sviluppano anche la vita e la personalità di S. Francesco. Egli è pienamente "uomo del suo tempo", come si può desumere da alcune circostanze: la fondazione di un nuovo ordine religioso, evento frequente nella Chiesa post-conciliare (il '500, tra l'altro, è un secolo di grande fioritura di ordini religiosi, come il '200 e l'800); la tensione spirituale verso la preghiera e l'adorazione eucaristica, anch'esso tratto caratterizzante dei chierici del XVI secolo; la grande attenzione dedicata alla vita pastorale quotidiana. Un altro elemento di novità è portato dai Caracciolini con la pronunzia del quarto voto, di non ricercare cariche ecclesistiche (non ambiendi dignitates), che ugualmente ben si colloca all'interno dell'orizzonte spirituale della Riforma Cattolica.
Straordinaria è anche la personalità del Santo che rivela una straordinaria capacità di assicurare rapida diffusione dell'ordine anche in Spagna. Altro dato da sottolineare è la velocità con cui si concluse il procedimento di approvazione pontificia dell'ordine, in soli tre anni, tra il 1585 ed il 1588.
Non sufficientemente adeguate, purtroppo, sono le biografie del santo di cui disponiamo, e difficoltose sono anche le ricerche dei suoi scritti e delle sue omelie: si avverte, oggi più che mai, la necessità di recuperare le fonti e di provvedere alla loro pubblicazione.
Nel successivo intervento, mons. Antonio Illibato, direttore dell'archivio storico diocesano di Napoli, ha tratteggiato la situazione napoletana del XVI secolo e il contesto in cui si inserisce l'opera di S. Francesco Caracciolo. Napoli viveva un tormentato momento nel decennio 1580 - 1590, aggravato dall'eccessiva onerosità del carico fiscale per le classi più umili, dallo squilibrio fra i prezzi ed i salari, e dal perdurare delle conseguenze della peste del 1558. Tutto ciò aveva determinato un allentamento dei freni morali, specialmente nei ceti più umili, come può desumersi dalle frequenti Prammatiche volte a colpire quello che era diventato un vero e proprio Eldorado del meretricio. In tale contesto, si era sviluppato un sistema di interessi patrimoniali che vedeva spesso nella cura delle anime uno strumento per conseguire scopi pratici, il tutto alimentato da una pastorale molto carente. Il cristianesimo era vissuto dal popolo più in virtù di fattori sociali che per autentici motivi spirituali.
Intensa era l'attività svolta dagli ordini religiosi per reagire a siffatta situazione: nel XVI secolo giunsero a Napoli prima i Cappuccini (1530), poi i Teatini (1533) e infine, nel gennaio del 1551, i Gesuiti. Rilevante era anche l'azione svolta dalla Compagnia dei Bianchi della Giustizia che per statuto non poteva superare i cento sodali, fra i quali almeno dodici dovevano essere chierici o religiosi di età non superiore ai venticinque anni. I suoi componenti, infatti, prestavano aiuto ai malati ricoverati presso l'Ospedale degli Incurabili nonché assistenza ai carcerati e ai condannati a morte. All'interno del sodalizio, che si sosteneva con le offerte raccolte nella giornata del sabato, spesso assumevano rilevanza anche interessi e affari personali dei sodali. tra l'altro, le controversie fra i nobili componenti il sodalizio e il duca d'Ossuna portarono allo scioglimento della Compagnia nel 1583: in seguito fu ricostituita, ma ne fu vietata la partecipazione ai laici.
Il giovane Ascanio Caracciolo chiese più volte di poter entrare a far parte della Compagnia dei Bianchi della Giustizia: le sue richieste furono infine accolte nel gennaio 1588: quasi sicuramente, la sua ordinazione presbiteriale avvenne il 16 giugno 1590, mentre il 9 aprile 1589 emise la professione solenne dei voti nell'Oratorio dei Bianchi, assumendo il nome di Francesco. Le forme del suo apostolato furono volte, in particolare, a confortare i condannati a morte che salivano sul patibolo, alla cura delle confessioni, a dirozzare gli ignoranti. Nella memoria dei Bianchi restò sempre vivo il ricordo del santo confratello, amato ed onorato dal popolo come tale ancor prima che l'autorità ecclesiastica ne avviasse il processo di canonizzazione.
Degno di interesse è stato, poi, l'intervento della duchessa Jacqueline Caracciolo di San Vito, la quale ha parlato della grafologia, intesa come scienza che mira a comprendere la personalità dell'individuo attraverso l'esame della sua scrittura. Essa consta di due fasi, vale a dire l'osservazione obiettiva dei quattro elementi essenziali del grafismo (tratto, forma, gesto e spazio grafico) e l'interpretazione psicologica. Compito del grafologo non è quello di esprimere un giudizio di valore, ma di descrivere e di capire, effettuando un'analisi approfondita di tutta la personalità dello scrivente. L'esposizione dei suddetti canoni scientifici ha introdotto l'ultimo intervento, svolto congiuntamente dal dott. Raffaele Caselli, grafologo, e dal P. Nello Morrea già Preposito Generale dei Chierici Regolari Minori, che ha fornito un'interpretazione della personalità di S. Francesco attrverso l'esame di alcune lettere scritte di pugno dal Santo in varie epoche. Siamo di fronte ad una scrittura aperta, vivace, briosa, espressione di un forte temperamento, come può notarsi ancor di più nei particolari, ove a volte le lettere delle parole non sono perfettamente completate, ma soltanto abbozzate. Una peculiarità della scrittura del Santo è l'abbreviazione del "per" con una "p" tagliata orizzontalmente in modo da formare un segno di croce, nonché l'inizio di tutte le sue lettere con l'invocazione a Gesù e Maria. A seconda delle situazioni, la scrittura del Santo acquista o meno connotati di regolarità, quasi a testimoniare che è padrone della situazione, e ha un andamento diverso a seconda che si tratti di una missiva indirizzata al Pontefice (e, dunque, ufficiale) oppure inviata ai familiari. Negli ultimi elaborati, si denota, dall'incertezza del tratto, la stanchezza della mano del Santo, ormai prossimo alla morte, non riesce più a guidare con fermezza.

Emanuele Verdolotti
(da Il Sidicino - Anno V 2008 - n. 5 Maggio)