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La morte non ha colore

 

In un caldo ed afoso pomeriggio di Giugno del 2021 lungo la provinciale che collega Brindisi a Tuturano si accasciava sull’asfalto, abbandonando la bicicletta che usava per andare a lavorare nei campi del brindisino, un giovane di 27 anni del Mali giunto tre giorni prima da Eboli.
Era stato chiamato dal fratello Amadu per lavorare nei campi perché c’era bisogno di altro personale visto l’abbondanza dei frutti che già erano giunti a maturazione e dovevano essere raccolti.
Amadu già lavorava da tempo in quei campi, aveva chiamato il fratello per averlo vicino perché Camara da pochi giorni era giunto in Italia ed aveva trovato una sistemazione provvisoria ad Eboli in Campania.
Amadu voleva il fratello con sé per evitargli i disagi e le incomprensioni che capitano a giovani di colore ancora inesperti ma bisognosi di lavorare per poter sopravvivere e poi c’era la garanzia di un compenso sicuro anche se in nero e senza nessuna garanzia e protezione.
Camara Fantamadi era un giovane ben messo e forte ed il suo capo non rispettando i patti stabiliti con il fratello l’aveva destinato a zappare il terreno e non nella raccolta della frutta e degli ortaggi.
Il compenso, considerato il mercato della manodopera di lavoratori immigrati, era di euro 6 all’ora in nero. Non poteva avere un diverso trattamento in un mondo in cui lo sfruttamento di esseri invisibili, ma necessari per far girare l’economia del mondo agricolo, è una regola imprescindibile ed immodificabile.
Tutti le fonti di informazioni, saputo della morte di Camara e del modo in cui era morto, per un paio di giorni hanno sollevato un gran polverone sulla sua morte e poi è sceso un velo di silenzio relegando il tutto ad una convinzione assurda che tali episodi possono accadere solo a questi diseredati ed invisibili e che tale prezzo deve essere messo in conto per chi si vuol avventurare nella ricerca del riscatto da un miseria atavica che si vive nel proprio paese di origine.
È un modo sbrigativo per eliminare un problema umano e sociale: con il silenzio si deve cancellare sempre l’attenzione su tematiche di vita e di civiltà che il nostro mondo civile non vuole sentirne parlare per non turbare il suo vivere e rinunziare alle comodità legate ad esso.
Le morti di tanti immigrati che sputano sangue e bagnano con il loro sudore le nostre terre sono un nulla e non devono turbare le nostre coscienze.
Questa morte ha avuto più clamore delle altre perché Camara è morto su una strada pubblica agli inizi della stagione estiva di raccolta dei frutti della terra pugliese.
Se fosse morto, come ne muoiono tanti, nei casolari abbandonati delle nostre campagne un velo, non pietoso, di silenzio avrebbe coperto tutto e non avrebbe recato disturbo a nessuno.
Eppure non è il solo che ci ha rimesso la vita dopo aver lavorato zappando la terra sotto il sole rovente di un giorno di luglio pur di guadagnare una misera ricompensa.
La morte di Camara ha sollevato il velo di indifferenza che era calato su episodi simili e sulle morti causate dal continuo sfruttamento ed abbrutimento di questi esseri umani considerati un nulla perché immigrati e di pelle nera.
C’è voluto il Covid 19 per far scoprire i braccianti bulgari di Mondragone e la loro condizione di sfruttati da parte del caporalato locale. Quasi nulla si è fatto per migliorare le loro condizioni di vita anzi si può affermare che la situazione è peggiorata in quanto su di loro è calata una coltre di indifferenza e di abbandono.
Chi ha sentito parlare di Thomas Yeboah immigrato di 33 anni del Ghana che sfruttato e deriso da parte dei suoi padroni si è impiccato ad un albero a San Severo lasciando nella solitudine la moglie ed un bambino? Solo poche righe su di un giornale locale e nulla più.
Due giovani di colore Fatty e Yaya di 20 anni della Guinea e del Senegal sono stati di proposito investiti e schiacciati da una macchina guidata da un bianco a Teverola, in provincia di Caserta. L’investitore non si è fermato a soccorrerli perché secondo lui “avevo preso un palo”.
Al processo di primo grado è stato condannato a 6 anni di reclusione ridotti a 2 nel processo d’appello. Eppure questi due giovani erano ospiti in uno Sprar ma il decreto Salvini li aveva rimessi in strada dove hanno trovato la morte.
Shaumalia Sacko stava prendendo delle lamiere abbandonate per realizzare una sua baracca nelle campagne del foggiano ma trova sulla sua strada Antonio Pontoriero che gli spara a vista perché considera quest’azione un furto di qualcosa che era “sulla sua terra”.
Ed i 13 morti tra le fiamme della baraccopoli di San Ferdinando di Puglia ed i morti per esalazione di monossido di carbonio in un casolare di Borgo Mezzanone?
Sarebbe lungo enumerare tante altre morti di cui nessuno ne è venuto e ne verrà a conoscenza perché la malavita ed il caporalato locale le fa passare come morti naturali, sono morte dovute a stenti ed allo sfruttamento .La morte sul lavoro non ha colore perché non solo gli invisibili dalla pelle di colore nero muoiono nell’indifferenza e nella solitudine ma anche chi ha il colore della pelle bianca subisce la stessa sorte. Pur di portare a casa il necessario per sopravvivere, si muore nei campi assolati di fatica come è morta Paola Clemente nelle campagne di Adria.
A nulla è valsa la modifica all’art. 603/bis del Codice Penale portata dalla Legge 29 0ttobre 2016 (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) perché quei fenomeni denunciati dalla Legge ancora persistono e pochi sono coloro che denunciano lo sfruttamento ed il lavoro nero in agricoltura ed il grave fenomeno del caporalato che ha mano libera nel gestire questa forza lavoro.
Quando andiamo al mercato e vediamo esposti sui banchi in vendita tutto ciò che il mondo agricolo produce per le nostre tavole un pensiero di riconoscenza deve andare a tutti quei lavoratori di pelle nera o bianca che hanno dato la loro vita per garantirci quei prodotti necessari per la nostra alimentazione.
La maggior parte di questi forzati della terra sono stati costretti a lavorare in maniera disumana e di grave sfruttamento in violazione oltre della legge citata ma soprattutto delle più elementari norme di rispetto per degli esseri umani.

Giuseppe Toscano
(da Il Sidicino - Anno XVIII 2021 - n. 7 Luglio)