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Le parole nel silenzio

 

Alla fine del mese di Febbraio di quest'anno 2020 c'era nell'aria qualcosa di drammatico di cui nessuno voleva parlare ma tutti immaginavano ciò che sarebbe accaduto.
Un dramma umanitario aveva colpito una zona del mondo lontana da noi che prima o dopo avrebbe colpito chiunque.
Il mese di Febbraio, nella tradizione, è stato sempre definito “mese corto ed amaro” e sino allo scorso Febbraio 2020 nessuno avrebbe mai immaginato che la saggezza contadina anticipasse nei suoi adagi il dramma che si sarebbe concretizzato negli ultimi giorni del mese condizionando la vita di tutti ed annullando la certezza di esseri intoccabili e resistenti ad ogni assalto di malattie che, lo stiamo vivendo, possono devastare intere nazioni.
Il Carnevale con le sue sfilate e con la sua allegria, in quei giorni, aveva offerto gli ultimi momenti di spensieratezza perché già una parola nuova e minacciosa girava in modo sommesso quasi la si volesse esorcizzare e cacciarla in un angolo buio e silenzioso. Si avvertiva il forte desiderio di cancellarla dalla quotidianità ma non era più possibile: la parola “pandemia” già faceva parte, ormai, del nostro vocabolario quotidiano.
Non è mancato chi, nella sua consapevole ignoranza di sapere tutto ma che nulla sapeva sulla rapidità silenziosa e sugli effetti mortali del virus Covid-19, minimizzava la paura perché sicuro che ancora un volta nulla avrebbe toccato nessuno perché protetti da un qualcosa o da qualcuno che altri non avevano.
Si desiderava esorcizzare qualcosa di cui nessuno ne conosceva la vera portata ma che tutti ne prevedevano le conseguenze e le parole usate per convincere il popolo che,ancora una volta, la stella buona avrebbe salvato il tutto, svanirono di colpo nel nulla sostituite da paura e diffidenza.
Siamo stati, così, catapultati attraverso la porta del tempo in un mondo che non avremmo mai voluto immaginare perché abituati ad agire in libertà, ad impostare la nostra vita e le nostre giornate come meglio gradivano, a scegliere quando e dove andare ed avere una vita di relazione con gli altri che ci rendeva socievoli e liberi.
Volontariamente ci siamo esiliati paurosi che qualche untore del virus potesse tenderci un agguato e colpirci a sorpresa. Ci siamo chiusi in casa ed abbiamo iniziato a parlare con noi stessi, a porci domande che prima potevano sembrare stupide ed inutili ma che erano essenziali e di conforto.
Questo silenzio assordante che si era creato intorno a noi ci aveva fatto riscoprire valori e sentimenti essenziali per la nostra vita: il parlare del nostro vivere con chi era ed è ancora con noi, dire le nostre preoccupazioni più profonde senza il velo della ipocrisia, esprimere l'amore nei confronti della vita anche a coloro che la distruggono con i loro atti indiscriminati di autolesionismo, apprezzare un'alba o un tramonto, sentire il rintocco delle campane che scandiscono le ore di un giorno che passa, entusiasmarsi dei colori di un mondo che tutti vogliamo nostro ma che ora, al tempo del coronavirus, ci accorgiamo che lo stiamo perdendo per la nostra incapacità di proteggerlo.
Parole dette a noi stessi, anche ad alta voce, ma che si persero nel nulla del silenzio.
Ed allora il dramma lo si è cercato di condividere utilizzando uno strumento che può apparentemente sembrare futile ma che può riportare a vivere, anche a distanza, con gli altri che, forse, vivono gli stessi tuoi pensieri.
Parlarsi e vedersi per mezzo di uno strumento che la tecnologia, per fortuna, ci ha messo a disposizione, un semplice smartphone, che oggi tutti posseggono, pur essendo un mezzo di comunicazione a volte diabolico e devastante, servì e può servire in questi giorni di solitudine forzata, ancora una volta saremo costretti, a recuperare ciò che di buono ed interessante è ancora rimasto in ogni persona.
Questo mezzo freddo ed insensibile permette di scambiarci le nostre sofferenze, di ricercare attraverso il dialogo la risposta giusta alle preoccupazioni che ci condizionano e ci coinvolgono, di confidarsi situazioni che in tempo della normalità di vita giammai avresti confidato, di proporre pensieri per ricostruire un rapporto che si era perso ma che ora si vuole ricostruire come risposta ad un futuro che si annunzia diverso ma che si dovrà assolutamente vivere in unione e sintonia tra tutti, è stato il filo rosso che sta raccontando la quotidianità di ognuno di noi in questo tempo di coronavirus.
Sono stati riscoperti, così, sentimenti e propositi che tutti noi abbiamo egoisticamente tenuto nascosto in noi stessi perché non abbiamo avuto, nei momenti della normalità di vita, il coraggio di dirlo a viso aperto nemmeno ai nostri più intimi.
Ora questi sentimenti li affermiamo con spontaneità perché quasi sorpresi e coscienti che, forse, sarà l'ultima occasione per poterlo dire, quasi un ultimo messaggio di un naufrago disperato che non avrebbe toccato più terra.
Son parole, emozioni e sentimenti profondi che tutti abbiamo vissuto ed espresso con convinzione accompagnati da un sincero desiderio di togliersi una maschera che la società ha costretto a tutti di indossare.
Rimarranno questi propositi tali anche dopo il tempo del coronavirus oppure quando tutto sarà passato un silenzio coprirà ciò che di buono e di nobile un dramma epocale ci ha costretto a riscoprire?
Rimarranno, di sicuro, per sempre nel nostro ricordo immagini che non avremmo mai voluto vedere e che devono far ripensare a ciò che è stata la nostra vita sino al momento del coronavirus: eravamo onnipotenti, vivevamo di egoismo, disprezzavamo il diverso, rifiutavamo chi di colore chiedeva il nostro aiuto affidandosi al nostro mare della speranza, approfittavamo di chi aveva bisogno per ricattarlo e sottometterlo, distruggevamo con una corruzione assunta a norma di vita uno stato sociale frutto di sacrifici e di sudori.
Questo miserevole frutto della nostra incoscienza lo abbiamo visto nelle file dei camion dell'esercito che hanno trasportato le bare per cremarle in forni di mezza Italia, infermieri e dottori stremati per il loro lavoro e la loro dedizione ed i volontari che offrono la propria vita per la salvezza degli altri.
Si è riacquistato un dono che l'egoismo aveva fatto dimenticare: la solidarietà.
In ognuno è scattato il senso di responsabilità che era stato sopito dalla supponenza di considerare il proprio simile autosufficiente per provvedere a se stesso e quindi sentirsi libero di ignorare il vicino sofferente.
Gli slanci di altruismo sia di singoli che di gruppi di volontariato si sono manifestati con spontaneità in ogni città ed in ogni piccolo paese, in collaborazione con le amministrazioni locali, riempiendo i vuoti e le omissioni, mettendo in campo le loro migliori energie per assistere persone sole e famiglie bisognose del necessario per vivere.
Una lezione di vita e di altruismo che non deve assolutamente essere dimenticata. Questo dramma vissuto e che ci accingiamo a rivivere deve scrivere a caratteri indelebili in noi stessi il tempo del coronavirus per ricordarci della fragilità del nostro egoismo.
Vi sono state persone, per fortuna poche, che si sono allontanate da questo solco di solidarietà ed hanno strumentalizzato i mezzi e gli interventi ad uso della propria immagine e popolarità, le loro parole sono state inghiottite nel nulla dell'oblio.
Siamo stati costretti a rispettare una dura quarantena ci stiamo preparando a riviverla per difenderci dall'attacco subdolo e mortale del coronavirus, sofferenti e riottosi nel vedere limitare la nostra libertà personale che non è da confondersi con le imposizioni restrittive applicate in altre nazioni: é il minimo che ci è stato richiesto, e forse si ripeterà, per evitare la nostra fine.
Questi periodi di isolamento e di rinuncia alle nostre abituali occupazioni hanno fatto riscoprire, anche ai più restii, che la nostra vita, quella del nostro vicino e quella del mondo intero deve essere difesa sempre anche a costo di morire, sembra strano, per essa.
Ci siamo accorti che basta un soffio per spegnere la flebile fiammella della nostra esistenza.
Un piccolo, infinitesimale, molle mostriciattolo, qual è il coronavirus, ha usato la sua intelligenza, se così si può dire, per impiantarsi in noi approfittando dei momenti in cui la nostra umanità si esprime attraverso gesti che ci distinguono dagli altri esseri: una stretta di mano, un abbraccio, un bacio ed il sentire il respiro di chi ti è affettuosamente vicino.
Ora la fiammella della nostra esistenza è tenuta in vita dal sacrificio di quelle persone vestiste come degli extraterrestri, medici ed infermieri, che accolgono negli ospedali i nostri simili sofferenti che inavvertitamente sono stati contagiati e lottano per sopravvivere.
Hanno messo e mettono a rischio la loro vita, molti di loro non ce l'hanno fatta, pur di salvare la vita degli altri. Lo hanno fatto e lo fanno senza alcuna distinzione perché aiutando e salvando un loro simile salvano la loro stessa vita.
Gli studiosi di questa malattia si sono vestiti dell'umiltà di uomini di scienza ed hanno condiviso le loro le conoscenze e le fasi avanzate delle loro ricerche per creare un vaccino che possa dire a questa molla pallina microscopica, subdola ed intelligente, che ormai la sua corsa sta per terminare.
Dopo il tempo del coronavirus il nostro mondo certamente non sarà il mondo in cui abbiamo vissuto sino al mese di Febbraio 2020. Sarà diverso, anzi deve essere diverso perché pandemie come questa che stiamo vivendo ve ne saranno ancora e, forse, non avremo il tempo che ci è stato concesso ora per sconfiggerla.
Abbiamo ascoltato tante voci, tante parole, tanti discorsi su come sarà il nostro futuro. Vivremo sicuramente una crisi economica che porterà con sé sacrifici e restrizioni non prevedibili, ma pochi sono coloro che hanno indicato una strada sicura che possa mettere in salvaguardia il genere umano di fronte all'assalto di un piccolo, modesto, molle ed insignificante virus che è diventato nel giro di pochi mesi il padrone assoluto del mondo con il potere di vita e di morte su ognuno di noi.
E' un sfida che dobbiamo affrontare e vincere mettendo in gioco noi stessi eliminando divisioni e sfide, coinvolgendo tutte le forze migliori per salvarci da una distruzione che è solo nelle nostre mani e non di altri.
Le parole belle, affascinanti, convincenti e suadenti usate per convincerci che tutto sarà come prima lasciamole cadere nella profondità del silenzio perché potrebbe improvvisamente apparire un altro piccolo ed insignificante mostriciattolo di virus che potrebbe segnare la nostra fine e quella di un mondo irripetibile come il nostro.
Questi sono i pensieri e le parole nel silenzio di una tragedia che avrà, prima o dopo, una sua fine.

Giuseppe Toscano
(da Il Sidicino - Anno XVII 2020 - n. 8 Ottobre)