L'ASSOCIAZIONE
 
il Sidicino
 
Indice per autore
 
Indice Giuseppe Toscano
 
 

Il Falerno non deve morire

 

Ho tra le mani una raccolta degli Epigrammi del simpatico Marco Valerio Marziale e li rileggo incuriosito dall'amenità del contenuto e dall'arguzia pungente che usa nel tratteggiare personaggi reali, vestiti dalla sua ironia istrionica, che fanno vivere direttamente azioni ed emozioni di un cliens, come è stato Marco Valerio Marziale, nella Roma della seconda metà del primo secolo d.C.
Ho la fortuna di vivere in una cittadina che è il centro dell'Ager Falernus, quella parte del territorio campano che si distende dal Monte Massico per tutta la piana sino al suo naturale confine, un canale – fiume che oggi si chiama Savone nei cui pressi, forse, si trovava il Pons Campanus.
Questo ponte romano, introvabile ancora oggi per i vari sconvolgimenti che il territorio ha subito e per la naturale incuria degli abitanti della piana, ha scatenato ipotesi inverosimili da parte di vari studiosi sino a scatenare un vera rissa tra loro.
Comunque questo mitico ponte e il luogo dove era, oggi è affidato sempre di più alla fantasia dei ricercatori, ma ognuno di essi propone sempre nuove ipotesi che poco collimano con un serio riscontro sul campo.
Un frutto, lo chiamo tale, perché è un dono che questa terra ha dato e continua a dare ai suoi abitanti, qual'é il vino che si ricava dalle uve di questa terra, è presente costantemente negli Epigrammi di Marco Valerio Marziale e vuol dire che il Nostro salace epigrammista oltre a gustare quel vino ne era un cultore affezionato tanto da considerarlo il migliore dei vini che comunemente erano presenti sulle ricche tavole imbandite dei padroni di Roma.
Non desidero sostenere o sminuire argomenti o tesi che altri, con saggezza e preparazione, hanno affrontato e svolto per avvalorare le loro opinioni che, a volte, rasentano la pura invenzione fantastica.
L'argomentazione che propongo rappresenta una libera interpretazione di epigrammi scritti da un Autore che ha vissuto in un periodo molto lontano dal nostro, descrivendo un mondo difficile a riprodursi oggi perché ne manca la materia prima che sono gli uomini di quell'epoca.
Seguendo con serietà gli scritti che gli intellettuali di quel mondo ci hanno consegnato, accogliendo i fatti e le storie che ci narrano si può immaginare, quasi dopo oltre duemila anni, il tempo in cui Marco Valerio Marziale fotografava con ironia i suoi contemporanei e li consegnava a noi non per giudicarli ma per conservarli come memoria.
Non manca di rappresentare ai futuri lettori, come raccontano quasi tutti gli intellettuali di quel tempo, che pur tra le tante conquiste che quel mondo ha realizzato e perfezionato (lascio a tutti immaginare il vivere nel periodo dello splendore e grandezza di Roma Imperiale), scene di vita e di costume particolari che rappresentassero in modo veritiero un modello di vita e di società che solo Roma poteva realizzare.
Non si poteva imbandire una mensa durante una cena sul fare della sera in una villa o in una domus di un facoltoso romano senza la presenza di un vino che incantava tutti per il suo colore, il suo sapore, i suoi profumi e la sua robusta potenza che solo il generoso Ager Falernus poteva dare: il Falernum.
Queste cene vengono raccontate in tutti i loro particolari immaginando i tanti lettori che avrebbero letto queste cronache in futuro. Tutti gli autori che descrivono tali cene tengono a sottolineare e ricordare che non poteva mancare la presenza su quei tavoli il Falerno, più era invecchiato e più era apprezzato.
Una cena non sarebbe stata una cena senza il Falerno e la bontà e la ricchezza del padrone di casa sarebbero state offuscate dalla mancanza di questo vino.
Il problema che assilla commentatori e studiosi è il ricercare il luogo dettagliato e preciso dove si produceva questo vino ed anche di qualche divinità inviata dagli dei per scegliere i luoghi dove il vitigno potesse attecchire e vivere.
A chi ama il Falerno interessa poco, anzi è una perdita di tempo ed un dispendio di energie inutili.
È un falso problema creato ad arte per confondere le idee e manipolarle ad uso e consumo delle proprie tesi e di interessi commerciali.
Se si vuole fantasticare sull'origine del Falernum basta leggere la favola di Silio Italico che immagina una visita inaspettata del dio Bacco al vecchio pastore Falerno che in cambio dell'ospitalità avuta trasforma i boschi prospicienti la capanna del vecchio in tanti filari di uva.
Non bisogna fare nessun sforzo creativo e né ricorrere alle favole per dare una risposta sensata: si chiama Falerno perché i Romani avevano fondata nel 318, nei luoghi descritti e non altrove, una tribù dandogli il nome di Falerna ed al territorio che la tribù occupò fu dato il nome di Ager Falernus.
Questo è il luogo dove cresceva una vite che dava un'uva rossa scura, un vino profumato, rosso e gustoso al palato, il Falernum, che accompagnava le cene e le feste del mondo romano. Lo si beveva ancora sobri all'inizio dei banchetti per poterlo gustare meglio raccogliendone il profumo ed il sapore.
I commensali adagiati sui triclini durante la cena poco importava sapere, come oggi si pongono vari studiosi, chi avesse portato e da dove o avesse iniziato, prima che i Romani occupassero la Campania Felix, a coltivare questi vitigni in questa terra e li avesse curati per avere un vino inimitabile. A loro interessava bere quel vino e solo quel vino, il Falernum.
Tutte le storie e leggende che si narrano possono essere condivise perché ne nobilitano il nome, ma non possono aggiungere altro perché solo la bontà e la ricchezza del suolo delle falde del Monte Massico e dell'Ager Falernus accompagnate dall'azione benefica dell'irradiazione solare poteva dare quel vino, il Falernum, superiore ad ogni altro vino di sempre.
I vari nomi che hanno accompagnato, come fosse un'etichetta al giorno d'oggi, questo vino, il Falernum, nell'antica Roma non cambiano la sostanza e l'unicità di questo vino. Il vino è sempre lo stesso, ma come oggi accade ed accadeva anche allora chi possedeva del terreno nell'Ager Falernus accompagnava il suo vino con il suo nome o con il nome della luogo dove crescevano le viti.
Marziale ha frequentato le ville e le domus dei personaggi che hanno fatto la storia del suo periodo ed è stato un ospite ricercato alle mense dei potenti di allora.
Quando commenta con ironia e sarcasmo i frequentatori di tali mense non manca mai di esaltare con gusto e piacevolezza un vino che per lui è unico qual è il vino Falerno.
Per il poeta dissacratore e fustigatore dei vizi e delle virtù dei suoi contemporanei questo vino divenne quasi un dio da venerare e da conservare e si rivolge ad un certo Papilo in modo chiaro e schietto senza mezze parole diffidandolo a non usare per la sua bramosia di accumulare le doti delle donne ricche che sposava offrendo loro il calice profumato dell'incantevole e dolce Falerno con l'aggiunta di veleno.
Era una dolce morte per le sue amanti!
Non avrebbe mai rinunciato ad un calice di vino Falerno, ma a quello di Papilo sì, perché il vino Falerno, soprattutto se speziato, annullava l'amarezza del veleno ma non ne distruggeva la sua mortale pericolosità.
L'avaro Tacca quando invitava i suoi amici a cena pur non avendo del vino Falerno sufficiente, per non fare la figura del meschino e dell'avaro allungava di solito il Falerno con qualche vinello di pessimo gusto.
Marco Valerio Marziale glielo dice in faccia e senza preamboli usando un verbo forte ed impressionante “ scelus est jugulare Falernum” “è da delinquenti uccidere il Falerno” e chiude l'epigramma con una frase che esprime tutto l'amore sconfinato che aveva per questo nobile e famoso vino Falerno ”Anphora non meruit tam pretiosa mori” “Una così preziosa anfora non merita una tale morte”.
Marco Valerio Marziale vedeva nel territorio dell'Ager Falernus e nel suo vino, il Falernum, un dono che altri non avevano e non avranno mai.
Questo accadeva verso la fine del primo secolo d.C.
Anche se il Falerno di oggi non è quello del tempo di Marco Valerio Marziale, il vino che si produce alle falde di Monte Massico e nel territorio dell'Ager Falernus è sempre frutto di una terra che produsse quel vino irripetibile e come tale a questo territorio gli si deve rispetto e tutela.

Giuseppe Toscano
(da Il Sidicino - Anno XVI 2019 - n. 12 Dicembre)